Torna la Francia «a fin di bene»
di Philippe Leymarie, Le Monde Diplomatique
Gli elicotteri MI-24 bianchi delle Nazioni unite che lanciano razzi nelle ultime roccaforti di Laurent Gbagbo… Le «Gazzelle» francesi che distruggono con i cannoni i carri armati e le batterie delle forze fedeli al presidente uscente…
La «battaglia d’Abidjan», scoppiata dopo quattro mesi di proteste, blocchi, mediazioni, parole, in un contesto di guerra civile latente, di massacri inter-etnici e di caos urbano, si è giocata alla fine su questo coinvolgimento improvviso della «comunità internazionale», sino ad ora considerata «impotente». E dell’antica potenza coloniale, che aveva tuttavia giurato di non ripetere gli exploit del passato. Tutto questo al prezzo di far cadere pericolosamente la maschera… anche se, in principio, tutto questo è per la «buona causa».
Lo stato maggiore francese ha precisato che i suoi soldati hanno preso di mira solo «caserme, armi pesanti e blindati», in piena osservanza del mandato delle Nazioni unite. I blindati del distaccamento della gendarmeria di Agban, la polveriera e il campo di Akouedo (che ospita tre battaglioni pro-Gbagbo), il quartier generale della Guardia repubblicana e le batterie intorno alla residenza presidenziale e del palazzo sembrano essere state polverizzate.
Coperte dagli attacchi aerei che aspettavano da giorni, le Forze repubblicane (pro-Ouattara) hanno potuto avanzare nei quartieri di Abidjan. Secondo la maggior parte degli osservatori, nella giornata di martedì si trattava ormai di una «questione di ore».
A metà febbraio, l’operazione delle Nazioni unite in Costa d’Avorio (Onuci) – forte di una decina di migliaia di caschi blu, sebbene poco armati – aveva rivelato che alcuni elicotteri da combattimento erano stati messi a sua disposizione per permetterle di rafforzare il suo dispositivo di sicurezza, al fine di assicurare «la protezione dei civili, la protezione dell’Hotel Gulf (dove si trova trincerato il vincitore delle elezioni presidenziali ivoriane secondo la comunità internazionale, Alassane Ouattara) e la salvaguardia dei risultati dell’elezione presidenziale del 28 novembre». Inoltre, il mandato dei 500 caschi blu della Missione delle Nazioni unite in Liberia (Unmil), messi a disposizione dell’Onuci durante l’elezione presidenziale, era stato rinnovato per tre mesi, in attesa di rinforzi costituiti da 2000 soldati supplementari promessi dal Consiglio di sicurezza.
La Forza Licorne
Questa forza militare francese (900 uomini) era rimasta in loco per assicurare la protezione dell’importante comunità francese (12.000 persone, di cui più della metà con doppia nazionalità) e per servire come forza di reazione rapida a beneficio dell’Onuci. Essa faceva parte, insieme ai caschi blu, delle cosiddette «forze imparziali», per distinguerle da quelle belligeranti. In pratica, si era ritirata dall’antica linea del fronte che aveva separato Nord e Sud della Costa d’Avorio; rimaneva acquartierata presso Abidjan, e non era mai stata sollecitata dall’Onuci.
Nel contesto del deterioramento del clima politico, negli ultimi mesi, Licorne era stato rinforzata, passando a 1200 uomini a fine gennaio, e completata in questi ultimi giorni da tre compagnie di legionari, paracadutisti ed elementi delle forze speciali, prelevati in particolare dalle basi francesi in Gabon e Ciad – fino a costituire un effettivo totale di 1650 uomini. Quello che si verifica è che, ancora una volta, con questa rete di basi in Africa, attualmente in fase di smantellamento almeno parziale, Parigi dispone – sul piano tecnico o politico – di una «cassetta degli attrezzi» militare che non ha uguali nel suo genere.
Nel secolo scorso, molti interventi francesi di emergenza in Africa, portati avanti sotto il pretesto della salvaguardia della sicurezza dei cittadini, erano sfociati in processi di «pacificazione», in presenza di lungo periodo (con accuse di «occupazione»), in cooperazione militare più o meno segreta, ecc. come è successo in Zaire, in Congo, in Africa Centrale, in Ruanda, in Ciad…
L’ingranaggio inevitabile
Questa partecipazione, seppur limitata, ai combattimenti contro gli irrendentisti ivoriani, è valsa ai militari francesi l’essere nuovamente accusati, dai partigiani dell’ex presidente, di volere la morte di Gbagbo, di occupare la Costa d’Avorio, ecc… L’avvocato Jacques Vergès, che lunedì ha dichiarato di voler denunciare i responsabili francesi per «crimini contro l’umanità» e «crimini di guerra», è arrivato ad auspicare che Abidjan diventi la «tomba degli invasori».
La Francia si è ritrovata «risucchiata» nel conflitto in Costa d’Avorio quando era ossessionata dallo scenario del 2004, che si era risolto in uno scontro diretto.
Come l’Onu, Parigi si è difesa dall’accusa, dei sostenitori di Gbabo, di «entrare in guerra contro la Costa d’Avorio». Da parte francese, la giustificazione «politica» dell’intervento si è fondata su una serie di constatazioni: le truppe di Gbagbo sparavano, da settimane, granate in piena città; i loro obiettivi erano anche, da giorni, i soldati e la sede dell’Onuci; vuoto securitarioe e caos erano subentrati nella capitale economica e in provincia, come a Duékué, con centinaia di vittime; il presidente uscente aveva promesso di «bruciare» la capitale se il suo regime fosse stato attaccato, iniziando ad armare a metà della settimana scorsa i suoi giovani «patrioti» (per la maggior parte disoccupati); il governo eletto sotto l’egida dell’Onu, era assediato da più di tre mesi presso l’Hotel Gulf, ad Abdjan, senza poter esercitare i propri poteri; inoltre, da alcune settimane, le accuse si dirigevano sempre più direttamente al «doppio discorso» della « comunità internazionale»: offensiva in Libia, attendista in Costa d’Avorio…
Richiesta urgente
Il «rivestimento» politico/giuridico è quello della legalità internazionale: le risoluzioni del Consiglio di sicurezza hanno incaricato l’Onuci di far rispettare tale legalità. Il segretario Onu Ban Ki-Moon ha inviato in una lettera datata 3 aprile una richiesta d’aiuto a Nicolas Sarkozy: «E’ urgente lanciare le operazioni militari necessarie a rendere incapaci di nuocere le armi pesanti che sono usate contro le popolazioni civili e i caschi blu. L’Onuci ha identificato vari siti relativi a queste armi. Data la necessità di lanciare delle operazioni militari congiunte contro questi siti e dati i mezzi militari limitati dell’Onuci, le sarei grato di autorizzare, in via urgente, la Forza Licorne, incaricata dal Consiglio di sicurezza di sostenere l’Onuci, ad effettuare tali operazioni congiuntamente con l’Onuci».
«Gli elicotteri delle forze francesi hanno come obiettivo le armi pesanti e i commando di blindati utilizzati contro la popolazione civile», ha spiegato lunedì a Parigi il comandante delle forze armate in risposta alla domanda dell’Onu. I colpi lanciati dalle truppe francesi e quelle dell’Onu «miravano a proteggere i civili e non ad attaccare il presidente uscente Laurent Gbagbo», assicura il segretario generale Onu: ma – come nel caso libico – l’obiettivo finale celato era quello di sbarazzarsi, in un modo o nell’altro, del sobillatore del momento.
Europei ed americani se ne sono lavati le mani. Barack Obam+a ha semplicemente esortato di nuovo, lo scorso lunedì, il presidente uscente ivoriano a «smettere di reclamare la presidenza». Mentre Catherine Ashton si è accontentata, a nome della Ue, di ripetere la solita litania: «Alassane Ouattara è il presidente democraticamente eletto della Costa d’Avorio, ragion per cui Laurent Gbagbo deve immediatamente ritirarsi e consegnarsi alle autorità».
Alcuni europei sono tentati di lasciare la Francia sbrigarsela da sola, nel bene e nel male: del resto, essa ha relazioni storiche oltre che interessi concreti in Costa d’Avorio, perciò conosce meglio il terreno. Gli eserciti dei paesi europei sono occupati in Afganistan, in Iraq, alcuni in Libia; sono al limite delle loro capacità. Altri si scontrano con problemi costituzionali e tutti devono fare i conti con i tagli al bilancio.
Restano alcune questioni in sospeso: da chi sono pilotati gli elicotteri armati dell’Onu e qual è il loro status: sono caschi blu o mercenari, dato che l’Onu ha preso la strada della «privatizzazione» del suo esercito? Come hanno fatto le «nuove forze» degli ex ribelli del nord a ricostituirsi così in fretta e bene, al punto di possedere – come «Forze repubblicane» – un vero e proprio «esercito bis»? Come ha fatto Gbagbo, nonostante 4 mesi di sanzioni economiche e altre misure, a tenersi strette, fino alla fine, alcune unità d’élite del suo esercito?
E alcuni interrogativi maggiori: come la Costa d’Avorio, dove la legittimità è imposta a cannonate (come in Libia l’impongono i caccia della Nato) potrà risollevarsi? L’arrivo al potere di Ouattara, in questo modo, segnerà la svolta verso una Costa d’Avorio più «nordista» e musulmana? Si deve temere, come prezzo di questo ristabilimento di una legalità internazionale violata, il ritorno ad un’instabilità di fatto, che finirebbe per mettere la Costa d’Avorio in ginocchio e non sarebbe senza conseguenze per tutta la fragile Africa occidentale?
Traduzione di Luna Roveda da Il Manifesto
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