Meisino: la biodiversità di un territorio da difendere.
Il 18 marzo scorso, a margine della seduta della Commissione Ambiente in cui è stato annunciato l’avvio dei lavori della Cittadella dello Sport entro la fine della primavera, Bruno Morra, il portavoce del Comitato ‘Salviamo il Meisino’, aveva fatto presente all’Assessore al Verde Pubblico Francesco Tresso che la petizione online contro la realizzazione di tale progetto aveva superato gli 8.000 firmatari (8.400 attualmente). Tresso aveva sminuito tali sottoscrizioni, affermando che sicuramente non erano tutte di cittadini residenti.
Il parco del Meisino è il più ricco di biodiversità dell’intera Città Metropolitana, Zona a Protezione Speciale e area protetta del parco del Po piemontese: in quanto tale è evidentemente un bene comune la cui salvaguardia non è interesse esclusivo degli abitanti dei quartieri limitrofi. Il rifiuto di Tresso di dar peso alle firme dei non residenti appare quindi opportunistico; e in contraddizione con le accuse mosse dall’Amministrazione torinese ad altri Comitati, come quello di corso Belgio, di preoccuparsi solo del proprio pezzettino di territorio e di condurre una battaglia NIMBY, priva di una visione più generale della cosiddetta ‘infrastruttura verde’ torinese.
Per tacitare le obiezioni di Tresso, sabato 18 maggio, accompagnati da Riccardo Alba, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, diversi membri del Comitato e altri cittadini hanno visitato le aree su cui impatterebbe il progetto della Cittadella dello Sport, raccogliendo il dissenso di molti soggetti sicuramente residenti. Nella zona che sarebbe adibita a circuito di ciclocross si è presentato innanzitutto un pigliamosche, seguito nello spazio di pochissimi minuti da un rampichino, da un colombaccio, da un pettirosso, da un rigogolo e da un fringuello. Cinciallegre, cinciarelle e cince bigie, ghiandaie, tortore selvatiche, merli, oltre alle immancabili cornacchie e gazze, hanno pure fatto sentire la loro voce. Un picchio rosso maggiore ha manifestato la sua contrarietà, con delega degli altri picchi presenti nel parco: il picchio nero, il picchio verde, il raro picchio rosso minore e il picchio muratore (che non è un vero picchio, ma è pure dissenziente). Alcune di queste specie svernano in questo parco perché vi trovano un ambiente congeniale ormai raro altrove (il rigogolo, per esempio, predilige gli alberi molto alti). Il dott. Alba ci ha detto che, nel corso di un monitoraggio canoro, al Meisino si arrivano a individuare anche 16-18 specie nel raggio di 100 metri. Nel parco sono presenti inoltre numerose specie di uccelli acquatici: gabbiani comuni e gabbiani reali, folaghe, svassi maggiori, il tuffetto, la moretta, il germano reale, l’anatra mandarina, gli aironi cenerini, le nitticore, le garzette… Un rondone, una poiana e un nibbio ci hanno significato la loro contrarietà al progetto con traiettorie di volo intersecate che abbiamo interpretato come “mettiamoci una croce sopra”. Probabile che la pensino così anche il lodolaio e il gheppio, anche se sabato erano occupati altrove.
Speriamo che Tresso consideri valido il dissenso delle specie migratrici: la loro residenza nel Meisino è stagionale, è vero, nondimeno il parco appartiene a loro quanto alle specie stanziali. È probabile che l’Assessore storcerà il naso davanti al “no al progetto” delle mucche, delle pecore e di un’oca domestica che sabato è comparsa sul fiume, forse in appoggio alle anatre selvatiche. Ci auguriamo che, visto che si vuole aumentare l’attrattiva di Torino per i turisti, si vorrà tener conto che il Meisino già esercita un fascino magnetico su stranieri come la moretta dal collare, specie canadese avvistata qui nel 2008, o il gabbiano glauco o il gabbiano di Sabine… Esemplari di specie probabilmente finiti qui una tantum, portati da qualche tempesta, ma che all’epoca in cui furono osservati sembravano trovarsi benissimo al Meisino così com’è: un parco unico, alla confluenza di tre fiumi e quasi tutt’uno con il piede della collina. Un parco nel quale, oltre alle numerose specie di uccelli diurni di cui siamo riusciti a percepire la presenza in un’ora e mezza, vivono volatili notturni, anfibi (tra i quali i tritoni), rettili, piccoli mammiferi, chirotteri, insetti, aracnidi ecc.
Molti di tali animali saranno sicuramente disturbati già dai cantieri, della durata prevista di un anno e mezzo, senza interruzione neanche nei periodi di nidificazione e riproduzione: per la realizzazione della superflua passerella su corso Don Luigi Sturzo, per l’installazione delle attrezzature sportive ciclistiche, e per la ristrutturazione (non consentita dal Piano d’area) dell’ex galoppatoio militare. Dopo aver asportato l’anno scorso molta vegetazione delle sponde del Po e della Dora, compresi tanti alberi, in applicazione di un altro assurdo lotto dello stesso progetto di corso Belgio, ora si vogliono “pulire” le aree boschive in cui saranno collocate le attrezzature sportive, asportando la necromassa che costituisce nutrimento e rifugio per molte specie, e arricchisce, decomponendosi, il suolo.
In sostanza, si vuole adattare alla presenza umana un prezioso ecosistema ormai rinaturalizzatosi: ciò inevitabilmente significa lo sfratto delle specie che lo abitano, ossia l’impoverimento della biodiversità animale e vegetale. Il forte timore di chi ama questo parco per ciò che è, e non per quanto può rendere economicamente, è che coloro che verranno al Meisino attratti dalle nuove attrezzature (o opportunamente spinti a usarle dalle società sportive coinvolte nel progetto) non apprezzeranno – e quindi, fatalmente, non rispetteranno – il Meisino per ciò che è, per ciò che qui si può sentire e si può vedere (anche senza bisogno di un binocolo, tanto è ricca la fauna).
Nel contempo si è appreso che la frenesia di mercificazione impatterà anche sul dirimpettaio e affine parco della Confluenza, dove dovrebbe tenersi l’ultima settimana di agosto un rumoroso festival musicale, su un’area di 14.000 mq con affluenza prevista di oltre 5.000 persone. Contro questo sfruttamento sistematico dei parchi pubblici (già visto al Valentino con l’Eurovision e in piazza d’Armi con gli ATP Finals, con requisizione e devastazione dei rispettivi pratoni) cominciano a levarsi, in appoggio ai cittadini, voci autorevoli come quelle dei docenti universitari di sociologia Dario Padovan e Vittorio Martone. Speriamo vivamente che altri professori dei nostri atenei, soprattutto delle facoltà scientifiche, abbiano il coraggio di unirsi al loro dissenso. Che senso avrà insegnare, zoologia e botanica, biologia ed ecologia, quando non ci sarà più vita selvatica da preservare intorno a noi?
Riportiamo qui la lettera aperta scritta da due docenti dell’Università di Torino, Vittorio Martone e Dario Padovan, in merito al progetto previsto sul parco del Meisino.
Se salviamo il Meisino salviamo (un po’ di) democrazia ecologica.
Da almeno due anni Torino è tornata a essere sede di diffuse mobilitazioni a tutela del suolo e del verde urbano. Comitati spontanei e collettivi studenteschi, organizzazioni della società civile e abitanti, talvolta accanto a storiche organizzazioni ambientaliste e coordinamenti nati in precedenti stagioni di attivismo, stanno difendendo alberi e prati da tagli e riduzioni (es. i casi di Corso Belgio e Corso Umbria, del pratone Parella e dei Giardini Reali) e contestando la trasformazione di parchi e boschi urbani per investimenti privati (come nel caso del Parco Artiglieri da Montagna o il Giardino Prinz Eugen) anche quando mascherati da finalità pubbliche (l’ospedale alla Pellerina, il Parco dello Sport al Meisino).
Una vicenda ci sollecita particolarmente, il progetto del cosiddetto Parco dello Sport e dell’educazione ambientale al Meisino. Il Parco del Meisino è l’area di 245 ettari compresa tra l’ansa del Po e le confluenze di Stura e Dora Riparia, dal ponte Sassi fino al confine con San Mauro Torinese. Istituito come riserva naturale nel 1990 con legge regionale, la realizzazione del Parco avvenne nei primi anni del 2000, anche grazie alla mobilitazione di abitanti e associazioni ambientaliste. Oggi è una Zona a protezione speciale (ZPS), che include l’Isolone di Bertolla, ed è
inserita all’interno di Rete Natura 2000. L’Ente di gestione delle Aree Protette del Po piemontese la definisce una “vera oasi naturalistica in città”, in cui negli anni sono state censite 215 specie di uccelli. Ebbene, nel 2022 l’amministrazione comunale di Torino ha presentato un progetto per realizzare qui un “Parco dello sport”, ottenendo poi il finanziamento di 11,5 milioni di euro a valere su fondi del
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Come si legge nel portale Torino cambia, il progetto è suddiviso in due lotti: “Parco dello Sport” e “Riqualificazione dell’ex Galoppatoio militare”. Nel primo si dice che “Verranno realizzate strutture polivalenti, ad uso sportivo (per la pratica di fitwalking cross, arrampicata sportiva, tiro con l’arco, orienteering, biathlon, skiroll cross, cricket, pump track, ciclocross, mountain bike, Disc golf, corsa campestre, percorsi fitness inclusivi), ma anche destinate alla didattica ambientale, all’inclusione e agli sport a basso impatto”. Nel secondo si prevede la “realizzazione di locali spogliatoi, servizi igienici, locali ristoro e locali accessori alle attività sportive praticate nel Parco dello sport”. Il progetto viene presentato in consiglio comunale nel novembre del 2022 e solo in aprile 2023 viene finalmente esposto alla cittadinanza, in un’accesa assemblea pubblica con gli assessori allo sport e al verde, ovviamente senza possibilità di
ridiscutere o di incidere sulla sostanza dell’opera.
Anzi. Fino a oggi, nonostante l’opposizione di associazioni e comitati, abitanti e componenti della Consulta per il verde del Comune di Torino, il confronto è stato sistematicamente eluso. Così come i pareri dell’Ente di gestione delle Aree Protette del Po piemontese, che aveva definito non conforme il piano d’area e successivamente, con la richiesta di Valutazione di incidenza ambientale (Vinca), si era espresso con parere fortemente condizionato in merito all’impatto del cantiere. Nulla di fatto. Il progetto “definitivo” sarebbe in via di approvazione e tra qualche settimana (chissà) cominceranno i cantieri che per 18 mesi (almeno)
copriranno circa 394 mila metri quadri di questa “oasi naturalistica in città”, con un via vai di mezzi, merci, attrezzature e addetti ai lavori. Altro che Zona di Protezione Speciale! Come recita il portale Torino Cambia, “il piano va veloce”, e non vuol sentire ragioni. Neanche quelle di oltre 8.400 persone firmatarie della petizione contro il Parco dello Sport promossa dal “Comitato Salviamo il Meisino”, che dall’estate del 2022 ha prodotto – anche nella rete Resistenza Verde – documentazione e comunicazioni puntuali sulle anomalie dell’opera, organizzato convegni, seminari, passeggiate informative e giornate al parco, sollecitando gli enti preposti a partecipare e a confrontarsi. Enti che hanno accuratamente glissato, inquadrando tali opposizioni come problema di ingovernabilità e di ordine pubblico, irrazionali ed emotive, che non comprendono le promesse di
un futuro green disegnato dalla spinta modernizzatrice della transizione ecologica.
Non solo dissentiamo profondamente da queste miopi e faziose interpretazioni, ma ci preme mettere in luce la profonda ignoranza e pregiudizio che guida tali giudizi. Al di là della poco comprensibile scelta di localizzare un’opera di questo tipo in una riserva naturale, la vicenda del Meisino contiene molte delle storture ravvisabili nel governo del verde urbano. L’uso frenetico delle risorse del Pnrr,
giustificato da ragioni di necessità e urgenza e dalle scadenze del Piano, che escludono ogni possibile processo inclusivo e partecipato. La transizione ecologica intesa come mera opportunità economica, che trasforma aree protette in luoghi di consumo e di pratiche sportive avulse dal contesto. Un’idea di natura che gioca su coppie concettuali consuete, come produzione e conservazione, pieno e vuoto, decoro e degrado, ordine e disordine. In questa lettura, il parco del
Meisino merita sì “conservazione”, ma per trovare i finanziamenti occorre metterne porzioni crescenti “a produzione”, farne sedi di opere, eventi, attività commerciali, ludiche e sportive. Come giustificare queste pratiche in una riserva naturale? La si rappresenta come interamente vuota e abbandonata, inutilizzata, che urge riqualificazione. Ovviamente il vuoto si associa a un luogo pericoloso, oscuro, potenziale sede di pratiche immorali o criminali. Ma il parco del Meisino è
davvero un vuoto pericoloso? Decisamente no. Aree verdi e zone umide, ricche di avifauna e biodiversità, in cui proprio un certo “abbandono” ha reso possibile processi biofisici di rinaturalizzazione o ricolonizzazione boschiva. Eppure, ci serve questa idea di disordine da riordinare, che è anche un’idea di società e di controllo sociale. Trasformare le “erbacce” in giardini per l’intrattenimento e lo svago è anche un modo per disciplinare il comportamento di chi attraverserà quei giardini facendo sport competitivi e sparando ai bersagli, anziché passeggiare,
sedere, meditare. Vuota, abbandonata, caotica e ripugnante, la ‘natura’ del Meisino esigeva dunque interventi “tecnici” per essere aiutata a sopravvivere a sé stessa. Interventi assicurati dalla competenza di funzionari, consulenti e progettisti, ponendo chi abita di fronte a opere progettate da “esperti” o
“tecnici” considerati i profili più adatti per gestire le questioni ambientali. Non si tratta qui di scadere in forme di relativismo radicale o in posture anti-scientifiche ispirate da atteggiamenti emotivi. Piuttosto di ricordare a chi giustifica il Parco dello Sport al Meisino dietro argomenti presuntamente scientifici, che i modi con cui si affrontano problemi come la qualità della vita urbana sono influenzati dalla loro definizione.
Se il Meisino viene definito un luogo vuoto, disfunzionale e problematico, sottratto alla logica della commercializzazione, allora va piegato a esigenze aliene al luogo stesso. La logica del commercio lo deve pervadere, come si fa con il resto
della città, si tratti di turismo o di sport, di eventi o di centri commerciali. Invece di chiudere ogni dialogo, chi progetta il “cambiamento” dovrebbe arricchire la propria conoscenza con altre forme di saperi, anche con quelli dell’esperienza di chi da anni vive, attraversa e osserva il parco del Meisino. In questo modo si co-produce non solo la conoscenza, ma anche le circostanze sociali e politiche di integrazione degli interessi di chi abita.
Con questa riflessione intendiamo dunque difendere il Parco del Meisino non solo per difendere quel residuo di natura urbana che vuole essere ulteriormente colonizzata, ma anche per reclamare coinvolgimento diffuso e partecipazione sostanziale, per denunciare l’esclusione delle comunità locali dalle decisioni politiche finalizzate alla realizzazione di opere che andranno a ricadere proprio
sui territori e su chi li abita. Questioni che, a ben vedere, esprimono una domanda politica – e di politica – che pur di fronte a temi cruciali non trova canali per esprimersi, e che invita a riflettere sui dilemmi della rappresentanza e sulla capacità delle democrazie di tollerare e integrare il dissenso.
Vittorio Martone e Dario Padovan (Università degli Studi di Torino)
Alleghiamo anche un video che abbiamo prodotto durante la passeggiata ornitologica di sabato 18 maggio in compagnia di Riccardo Alba, ornitologo.
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