Non accettiamo ricatti tra ospedale e aree verdi: No all’ospedale alla Pellerina
Non accettiamo ricatti tra ospedale e aree verdi: No all’ospedale alla Pellerina
Dopo l’articolo sulla camminata informativa Pellerina-Thyssen ripreso da Un altro piano per Torino, continuiamo a seguire la vicenda legata al parco della Pellerina sul quale incombe un progetto di cementificazione riguardante il 10% della sua superficie, relativo alla costruzione del nuovo ospedale nord-ovest di Torino. Vogliamo in questo modo dare supporto alla lotta di “Assemblea Pellerina, No ospedale nel parco”, compota da cittadini, comitati e associazioni, che testimonia ancora una volta come il verde di Torino sia sotto attacco su più fronti e per ragioni diverse.
Riportiamo qui di seguito, a testimonianza del percorso informativo e condiviso di “Assemblea Pellerina, No ospedale nel parco”, alcuni estratti di due momenti assembleari molto partecipati: la giornata formativa inaugurale tenutasi il 15 ottobre 2023 all’interno del parco e la recente assemblea svoltasi il 2 dicembre 2024.
Riportiamo inoltre l’invito alla partecipazione dell’assemblea operativa di giovedi 12 dicembre alle ore 18:00 in via Michele Lessona 1bis. Sarà un momento di valutazione dei prossimi passi da compiere, in cui verranno prese decisioni collettive e si divideranno i compiti da fare per sostanziare il percorso in difesa del parco. Saranno presenti anche vari tecnici che sposano la causa e che rafforzeranno le tesi del comitato in materia urbanistica, idrogeologica e sanitaria.
Riportiamo il contributo del dottor Maurizio Stella in merito alla relazione tra salute, consumo di suolo e perdita di aree verdi all’interno delle città. Un concetto di cui l’attuale amministrazione, così come altre all’interno del panorama nazionale, sembra non tenere conto.
“Presenza e accessibilità degli spazi verdi sono requisiti fondamentali per città sane, sostenibili ed inclusive. Vivere vicino a spazi verdi riduce i problemi di salute e migliora lo stato fisico e psichico.
Ho letto questa chiara affermazione sul sito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’Ispra, un organismo creato nel 2008 per coordinare alcune istituzioni dedite alla ricerca ambientale.
Le città stanno diventando sempre più popolose: negli anni cinquanta solamente il 3% della popolazione mondiale viveva in area urbana, mentre ora siamo giunti al 54% e si pensa che nel 2050 nelle aree urbane si collocherà in tutto il mondo il 66% della popolazione. Ma in Italia la popolazione cittadina nel 2018 già raggiungeva il è il 70,5%, e si stima che nel 2050 oltre l’80% della popolazione vivrà in ambiente urbano.
L’estensione territoriale delle città di conseguenza cresce e si ritiene che a livello mondiale occupi il 3% della superficie terrestre.
Nelle città si consumano dal 60 al 80% delle risorse, si producono il 75% delle emissioni di anidride carbonica, si accumulano montagne di inquinanti e rifiuti pressochè ingestibili, e si generano ingenti quantità di calore.
In effetti il progressivo incremento del suolo urbano edificato va di pari passo con l’incremento delle temperature ambientali urbane.
Schematicamente possiamo distinguere, esaminando la mappa di una città:
• le superfici blu o azzurre, che sono quelle degli specchi d’acqua,
• le superfici verdi, i parchi, i giardini e i prati
• le superfici grigie: aree cosiddette impervie, cioè aree cementificate, in cui il suolo è coperto da uno strato impermeabile di cemento.
In Italia l’urbanizzazione e la cementificazione avanzano ad una velocità di circa 2 metri quadrati al secondo e la percentuale di terreno impermeabilizzato, raggiunge il 7,8%, una quota quasi doppia rispetto all’ Europa in cui la media è 4,6%.
I dati pubblicati dall’Ispra ci rivelano che tra il 2006 e il 2021 in Italia sono stati consumati 1153 chilometri quadrati di suolo naturale o semi naturale, a causa delle espansioni urbane e delle sue trasformazioni collaterali; quindi la media annuale di consumo del suolo è di 77 chilometri quadrati, pari alla superficie intera di alcuni comuni italiani, come Sauze di Cesana o Termini Imerese, Perdasdefogu, Noasca, Correggio, Otranto, Palma di Montechiaro. Ogni anno si cementifica una superficie pari a quella di uno di questi comuni.
Tra le regioni italiane il triste primato della cementificazione del suolo nel 2022 spetta alla Lombardia che consuma 886 ettari, cioè quasi nove chilometri quadrati, seguita dall’Emilia Romagna con 658 ettari. In quest’ultima regione, in cui si sono verificate recentemente inondazioni devastanti, nel 2023 il dato è aumentato fino a 734 ettari.
Anche in Piemonte i dati sul consumo di suolo sono assai preoccupanti: i 630 ettari netti di verde persi nel 2022 sono una superficie pari a quella della circoscrizione 1 di Torino.
E’ da notare che le aree di territorio consumato interessano in Italia oltre 16 chilometri quadrati di aree a pericolosità idraulica e oltre 5 chilometri quadrati a pericolosità da frana, nonché porzioni rilevanti di aree a pericolosità sismica contribuendo ad aumentare la fragilità del territorio e il rischio per la popolazione.
Esiste una precisa correlazione tra la crescita delle aree impervie e i danni causati dall’aggravamento del dissesto idrogeologico dei territori; poichè in Italia 800 milioni di euro all’anno sono spesi per compensare danni prodotti da eventi definiti naturali, riprendendo il dato precedentemente citato dei 77 chilometri quadrati di suolo sottratto al verde ogni anno, si potrebbe, operando una semplificazione estrema, dire che per ogni chilometro quadrato di suolo cementificato si debbano prevedere 11 o 12 milioni di euro da spendere per le conseguenze ambientali. Ma quel che è ben più drammatico è che le catastrofi da eventi estremi costano in Italia la vita di sette persone ogni mese.
Il maggiore impatto del consumo di suolo avviene a discapito delle principali funzioni ovvero della regolazione dei cicli naturali (in particolare quello idrologico) e della produzione di beni e materie prime (che, in questo caso, assolvono bisogni primari come acqua e cibo).
La legge europea per il ripristino della natura di recentissima promulgazione impone una attenzione per gli ambiti terrestri e marini degradati allo scopo di fermare la distruzione dell’ambiente naturale e di impedire la cementificazione in queste aree, riportandole allo stato naturale, con l’obiettivo dell’assenza di perdita netta di spazio verde entro il 2030.
Definiamo ora meglio il rapporto tra impermeabilizzazione del suolo urbano e incremento della temperatura.
Le aree impervie immagazzinano l’energia solare, in parte grazie alla tipologia dei materiali con cui sono costruiti gli stabili, che assorbono l’energia solare di giorno e la cedono poi di notte. Anche la geografia e l’orografia del territorio rivestono importanza; Torino è al centro di una regione limitata per tre lati da montagne e si trova in prossimità della collina di Superga: i rilievi determinano una specie di conca in cui la circolazione dell’aria risulta ostacolata.
La presenza di costruzioni piuttosto elevate lungo le vie cittadine contribuisce alla scarsità di ricambio dell’aria: sono i cosiddetti canyon urbani in cui si concentrano gli inquinanti ed il calore prodotti dall’utilizzo delle automobili, dagli impianti di riscaldamento e di raffrescamento, dalle industrie e dalle attività artigianali.
Nelle nostre città solamente il verde svolge una azione limitante l’accumulo di calore e di inquinanti grazie ai cosiddetti servizi ecosistemici: cito solo i più facilmente correlabili quali l’ombreggiamento, l’evapotraspirazione, la cattura delle poveri sottili, lo stoccaggio dell’anidride carbonica.
Il rapporto fra l’estensione delle aree impervie e quelle verdi, riveste dunque particolare importanza per la salubrità dell’ambiente urbano sia in termini di inquinamento da polveri e fumi che per la generazione delle isole di calore urbane.
Fin dagli anni 50 a Londra ci si chiedeva perché non nevicasse più (noi ce lo chiediamo a Torino tanti anni dopo): la temperatura ambientale era più alta di quella della campagna circostante, dove invece le nevicate si verificavano.
Definiamo isola di calore urbano un’area urbana in cui la temperatura ambientale e la temperatura del suolo sono nettamente più alte della temperatura delle aree rurali che la circondano; questo sbilanciamento termico può raggiungere in molti casi 10 gradi di temperatura e costituire una rilevante quantità di calore aggiunto.
Le isole di calore urbano raggiungono la massima intensità in una città italiana: Torino.
Alcuni dati: nel 2003 in Europa si verificarono delle ondate di calore (le ondate di calore sono passaggi di aria ad alta temperatura causata da fenomeni meteorologici) che generarono un eccesso di mortalità rispetto all’anno precedente. Si calcolò che dal primo giugno al 31 agosto del 2003 in Europa fossero decedute oltre 70.000 persone in più rispetto all’anno precedente. L’Istituto Superiore di Sanità incaricato dal Ministero, pubblicò un lavoro in cui calcolò che nel periodo studiato rispetto all’anno precedente in Italia erano morte in più 3.134 persone di cui 2.876 avevano più di 75 anni. La città italiana che diede il più alto contributo di vittime fu Torino con 562 morti di cui 509 anziani. Ma non è soltanto nel 2003 che Torino dimostrò la massima espressione dell’isola di calore urbano e delle sue conseguenze sulla salute: anche negli anni successivi la situazione rimase immodificata. Nel biennio 2018-2020 gli studi effettuati in numerose città italiane rilevarono che oltre ad severi problemi di inquinamento, Torino fu nuovamente colpita dalla più alta espressione del fenomeno delle isole di calore urbano.
In Europa nel 2022, ci furono 71.672 decessi attribuibili al calore, dato analogo a quello del 2003, però questa volta l’Italia pagò il contributo con 18.000 morti, mentre ne avevano contati 3100 nel 2003.
Di fatto tra le nazioni europee l’Italia ha raggiunto una mortalità di 295 decessi dovuti alle ondate di calore per milione di abitanti; i dati di mortalità e i dati delle patologie cardiovascolari, metaboliche, respiratorie e psichiatriche sono particolarmente significativi nelle popolazioni più deboli.
I dati di sbilanciamento fra aree cementificate e aree verdi integrati con i dati che descrivono la fragilità della popolazione residente hanno definito nel contesto della città di Torino le aree che necessitano maggiormente di interventi di bonifica ambientale con incremento del verde: sono alcuni quartieri periferici: Mirafiori, Aurora, Vanchiglietta.
Quando la superficie cementificata eccede in maniera significativa la superficie verde, si genera un danno alla salute dei cittadini: sia questo un monito ai politici per dare attuazione ad una precisa linea di sviluppo per la città di Torino che si basi sulla sospensione della cementificazione e sull’ aumento delle aree verdi, riconsiderando il recupero a verde pubblico delle aree industriali dismesse.”
In occasione dell’incontro presso Volere la Luna si è discusso in maniera partecipata dell’aspetto riguardante l’esondabilità della zona in oggetto, di questione tecniche urbanistiche e dell’approccio sanitario anacronistico che un progetto simile porta con sé.
In attesa della condivisione da parte delle istituzioni di spiegazioni chiare relativamente al progetto dell’ospedale, si ritiene insufficiente e svilente l’impreparazione con la quale i rappresentanti di Comune e Regione si sono presentati al confronto con la cittadinanza organizzato lo scorso ottobre. Un confronto che è parso a tratti surreale, caratterizzato da interventi come quelli che riportiamo brevemente di seguito, che pongono seri interrogativi sull’atteggiamento culturale di chi ci amministra, in materia ambientale e di sicurezza:
“Non costruiamo nel parco, costruiamo sul Verde” (su quale principio un’area denominata Verde sul piano regolatore è più sacrificabile rispetto al termine “parco”?)
“Non andiamo sulla zona esondabile ad alto rischio ma su quella esondabile moderata” (che resta pur sempre “esondabile” (!): investire milioni di euro per costruirci sopra non rende di certo il termine più neutro, lo rende semmai un azzardo).
“Abbiamo proposto compensazioni liberando asfalto in altre aree o magari pensando di ampliare il parco della Pellerina nella zona ex Thyssen” (pertanto sacrificare e cementificare un terreno sano in cambio di zone biologicamente morte o inquinate è da considerare un segnale di qualità?)
Rimane inoltre evidente l’incoerenza politica con le dichiarazioni fatte in periodo pre-elettorare e ribadite nella delibera del Consiglio comunale del 2021, n. 1162, relativa all’approvazione delle linee programmatiche di mandato, dove si parla di rispettare “gli obiettivi di consumo zero di suolo” e di “una pianificazione sostenibile dello spazio urbano (…) senza consumo di suolo”.
Appare infine evidente un aspetto di estrema rilevanza che si può riassumere con la seguente domanda: è davvero questo il modello di sanità che vogliamo?
L’Assemblea Pellerina ribadisce:
“Noi non siamo quelli del No all’ospedale! Noi però non accettiamo il ricatto di dover scegliere tra ambiente e salute (o il parco o l’ospedale). E allo stesso tempo, in uno schema politico calato dall’alto che da tempo sottrae fondi al Servizio Sanitario Nazionale e predilige il profitto e la sanità privata, crediamo che la soluzione non sia costruire una mega struttura ospedaliera senza investire sui professionisti e sull’integrazione della medicina del territorio con quella ospedaliera.”
Solo pochi dati: in Italia il 55% dei medici ha più di 55 anni (contro il 33% in Europa), si hanno 6,2 infermieri per mille abitanti (9,2 in Europa). Dai 3 miliardi annunciati in manovra ne verrà stanziato 1,3, che non consentirà il piano strordinario di assunzioni di medici e infermieri (ne mancano oltre 175 mila) essenziale per fare funzionare gli ospedali. La strategia è chiara: arricchire il privato, le assicurazioni, le cooperative e le multinazionali della salute, tutto sulle spalle del malato, scaricando i costi dell’assistenza dapprima sulle assicurazioni, queste poi a loro volta pagate dai cittadini insieme agli inevitabili e più frequenti accessi privati all’assistenza (visite mediche, accertamenti diagnostici, assistenza infermieristica domiciliare privata, ecc).
Ci vediamo giovedi 12 dicembre alle ore 18:00 in via Michele Lessona 1bis, per continuare a lottare per una sanità pubblica e un ambiente sano per tutti, senza accettare ricatti!
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