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Trino: un territorio destinato al sacrificio?

Reportage sull’opposizione al deposito unico nucleare.

Ai piedi delle colline del Monferrato, percorrendo le rive del fiume Po, si trova la cittadina di Trino, immersa in un territorio vocato all’agricoltura e plasmato dall’uomo attraverso canali artificiali per la coltivazione del riso e per la gestione delle numerose falde superficiali. 

Oltre al patrimonio culturale composto da chiese, confraternite e musei, Trino è circondata da una costellazione di aree protette che si estendono per 14.035 ettari da Crescentino fino alla confluenza con il torrente Scrivia.  

A far parte del Comune di Trino è anche il Bosco delle Sorti della Partecipanza, uno scrigno di biodiversità, sopravvissuto ai vari tentativi di cementificazione tramite le rigide regole di gestione dei tagli che risalgono al 1202. Si tratta di uno degli ultimi tratti della foresta che un tempo copriva gran parte della pianura, ormai dedita ad agricoltura ed occupata dall’espansione umana. 

Una ricchezza ecologica che negli ultimi anni si è tentato di valorizzare attraverso vari progetti, tra i quali VENTO, la più lunga pista ciclabile d’Europa, che collegherà Torino a Venezia. Proprio Trino dovrebbe rappresentare la prima tappa ufficiale, dopo la partenza nel capoluogo piemontese. Una rinascita in chiave green che punta sul turismo, cercando di dimenticare e mettere in un cassetto la storia passata, segnata indelebilmente dalla produzione di energia nucleare.

Trino è infatti tristemente nota per la presenza della ex centrale nucleare Enrico Fermi, costruita tra il 1961 e il 1964 e dismessa nel 1990. Nonostante siano passate ormai più di tre decadi dal fermo della centrale e ben 15 anni dall’ inizio dell’attività di decommissioning (ovvero la disattivazione accelerata per il rilascio incondizionato del sito costata fior fior di quattrini: 4,3 miliardi finanziati con la bolletta elettrica), la messa in sicurezza dei rifiuti liquidi radioattivi più pericolosi prodotti nell’impianto Eurex di Saluggia, di Trisaia e le resine di Trino, non è nemmeno iniziata.

Dalla chiusura delle centrali di Trino e della vicina Saluggia sono stati diversi gli episodi di perdita di liquido radiattivo registrati, in una zona prossima a diversi corsi d’acqua affluenti al Po il rischio di contaminazione per l’intera Pianura Padana è alto ma da parte delle istituzioni non traspare alcun reale interesse alla messa in sicurezza del territorio. 

Così Trino può rientrare in una delle tantissime zone di sacrificio, che nonostante tutto, conserva ancora un legame con la terra attorno e tenta una svolta turistica, provando a convertire quel che resta di una storia amara e riprendendo i legami con un passato connesso tra acqua, terra e culture risicole. 

Oggi la questione nucleare in Italia riapre un nuovo capitolo con l’incessante ricerca del luogo adatto per il deposito unico nucleare, dove disporre “in massima sicurezza” le scorie accumulate dall’epoca nucleare e quelle ancora oggi prodotte dagli apparati medici e sperimentali. E il cassetto dei vecchi incubi di Trino si può riaprire. 

Esce a gennaio la carta con i siti idonei -la CNAI- nei quali non è presente Trino, ma altri territori dalla dubbia attitudine, tra i vari in Piemonte vi sono alcune zone dell’alessandrino, anche quelle ricche di falde acquifere, colture biologiche e patrimonio verde. (In merito uscì un comunicato congiunto tra Ecologia Politica e ARI). Scompare dalle carte Mazzè, anche quello identificato come luogo idoneo in passato, ma che grazie a un’ampia lotta locale è riuscita a esprimere la propria completa incompatibilità. (E’ possibile leggere qui un contributo sul tema). Nella CNAI, alcuna traccia di Trino. 

La città scende in campo a seguito di un piccolo cavillo giuridico, inserito dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica per “invogliare” i Comuni a mettersi a disposizione per risolvere il problema dei problemi, al quale non se ne viene a capo: dove sotterrare queste scorie e chiudere a chiave la faccenda. Così, oltre alla CNAI, viene resa nota la possibilità delle autocandidature. 

E’ bastato dunque l’invio di una pec da parte del primo cittadino per autocandidare il comune tra le sponde del Po e le colline del Monferrato, al pericolo di trovarsi 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi stoccati in un territorio dichiarato non idoneo a causa di diverse peculiarità territoriali. L’area di Trino che sarebbe destinata ad ospitare il deposito è interessata da un fenomeno di fagliazione del suolo quindi uno scenario di rischio di tipo sismico oltre che alluvionale con la conseguente devastazione delle zone protette del vercellese e non solo.

L’assurdità di tale proposta è palese. Se la Sogin, società pubblica nata nel 1999 incaricata di smantellare e mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi, ha elaborato, nel corso di 10 anni, attraverso studi, borse di ricerca, interventi tecnici, mappature, analisi geologiche, ingegneristiche, naturalistiche, una carta delle aree idonee con 24 siti specifici su tutto l’intero territorio nazionale, come è possibile che possa permettere un cambiamento di destinazione in un sito non presente nell’elenco, semplicemente perché la giunta comunale si auto-propone come agnello sacrificale sull’altare della patria? In che modo le caratteristiche peculiari di tale zona possono essere cambiate ed essere diventate, da una settimana all’altra, consone all’adibire un deposito unico nucleare? Sono stati fatti male i calcoli e il governo ha paura di aver tralasciato qualche possibile chilometro quadrato da deturpare senza che nessuno si possa opporre in modo significativo?

Gli abitanti di Trino e dei comuni limitrofi sono ben consapevoli di cosa sia costato loro ospitare la centrale nucleare e di quanto la retorica dei nuovi posti di lavoro e delle compensazioni in favore del comune siano chiacchiere dalle gambe corte. Sorge spontanea la domanda su che fine abbiano fatto i finanziamenti ricevuti dalle compensazioni, soldi che avrebbero dovuto essere investiti in politiche di sostegno alla cittadinanza, o in opere di pubblica utilità, come ad esempio lo smaltimento delle lastre di eternit ormai fatiscente che ricoprono gran parte dei tetti delle abitazioni trinesi e che, proprio quest’estate, a seguito di una bomba d’acqua si sono sgretolate rilasciando nell’aria le pericolosissime fibrille di amianto. 

E’ evidente che il sindaco Pane veda in questa autocandidatura il trampolino di lancio verso una poltrona più prestigiosa, in barba alla salute dei suoi cittadini e al futuro di un territorio da sempre sfruttato e messo ai margini. Sono moltissimi a convenire con l’esigenza di una grande mobilitazione popolare per scongiurare l’eventualità che il deposito venga costruito a Trino e per riscattare la propria terra da anni di mero affarismo a scapito della salute della popolazione.

Video interviste realizzate durante l’iniziativa per la salvaguardia delle zone umide a Trino il 3 febbraio 2024

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