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Il Ponte sullo Stretto come opera militare

Il Ponte sullo Stretto opera di rilevante valenza militare in ambito NATO.

da No Ponte

Dopo l’assist pro-Ponte del direttore di Limes, Lucio Caracciolo, che in un articolo su La Stampa del 7 dicembre 2022 aveva enfatizzato che l’opera avrebbeassicurato la continuità continente-Sicilia in chiave geostrategica a supporto delle installazioni come il MUOS di Niscemi, la base aeronavale di Sigonella e Pantelleria, pare che anche il governo Meloni-Crosetto-Salvini abbia sposato l’idea che il collegamento stabile tra Scilla e Cariddi sia fondamentale per le proiezioni delle forze armate italiane e straniere nei futuri scacchieri bellici internazionali.

Lunedì 17 aprile, durante le audizioni davanti alle Commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera dei deputati (nell’ambito dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto n. 35 del 2023 con cui risorge a nuova vita il Ponte sullo Stretto), Paolo Amenta, sindaco di Canicattini Bagni (Sr) e presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) per la Sicilia ha dichiarato che il Ponte “potrà avere una funzione di opera strategica se accompagnata, oltre che dall’alta velocità, da adeguate infrastrutture viarie che colleghino il resto d’Italia con le aree turistiche e con gli aeroporti e i porti di Gioia Tauro, Augusta e Gela, attraverso un sistema intermodale”. Amenta ha però aggiunto che “l’ANCI Sicilia è stata colpita che tra le principali motivazioni per la realizzazione dell’opera indicate nella relazione che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto, viene indicata quella di favorire la mobilità militare”.

E in verità nella relazione presentata alle Camere il 31 marzo scorso dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini (di concerto con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti) si legge alle pagg. 1-2 che “Il Ponte sullo Stretto costituisce inoltre un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di importanti basi militari NATO nell’Italia meridionale”.

Non possiamo ancora una volta che ribadire quanto abbiamo più volte denunciato in passato: il Ponte sullo Stretto di Messina non è solo un’infrastruttura devastante dal punto di vista sociale, economico e ambientale ma è anche il cavallo di Troia per legittimare l’ulteriore escalation del processo di militarizzazione e riarmo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia, accelerando la conversione del territorio in piattaforma avanzata per le operazioni di guerra e distruzione del pianeta.

Ma proprio sulle relazioni Ponte-militare è opportuno riportare alcuni elementi ignoti al grande pubblico e soprattutto volutamente ignorati e/o occultati dai sostenitori dell’opera. Innanzitutto va sottolineatocome tra gli innumerevoli studi ed elaborati prodotti in questi decenni con lo sperpero di denaro pubblico per oltre 500 milioni di euro non esiste alcuna valutazione sulla rilevanza strategica della mega-opera e – di conseguenza – sulla sua possibile “sostenibilità” e “difendibilità” in caso di conflitto, attentato terroristico, ecc..

L’esecutivo accennerebbe all’importanza del Ponte in termini di mobilità militare ma presumiamo che questo sia stato fatto solo per accattivarsi i favori della Commissione UE che, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e in stretto accordo con la NATO, ha approvato un Piano 2.0 per rafforzare le capacità e la velocità di trasporto di uomini e mezzi militari in ambito europeo. Anche se in verità dichiara di privilegiare per fini militari le vie aeree e marittime, Bruxelles ha stanziato investimenti ad hoc per un miliardo e settecentomilioni di euro ma ha posto il diktat che per poter avere accesso al cofinanziamento UE, i nuovi progetti infrastrutturali “dovranno essere utili sia a scopi civili che di difesa ed essere programmati in ambito Trans-EuropeanTransport Network TEN-T”.

Maproprio sulla presunta utilità del Ponte per la mobilità di reparti e mezzi bellici tra Sicilia e continente sono state espresse forti riserve dagli esperti dello Stato maggiore dell’Esercito italiano fin dalla seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Sempre l’Esercito ammetteva la scarsissima possibilità di assicurare la difesa dell’opera da eventuali attacchi di diverso genere e provenienza, esprimendo la forte preoccupazione che il Ponte, proprio per la sua importanza simbolica, sarebbe diventato il principale target da colpire in caso di evento bellico nel Mediterraneo (ed eravamo ancora lontani dal fatidico 11 settembre 2001 con gli attentati alle Torri Gemelle…). Che l’idea-Ponte sia fragile in termini bellico-militari è stato rilevato durante le audizioni alla Camera dei deputati dal professore Michele Calvi, ordinario di Tecnica delle costruzioni presso lo IUSS – Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia (seduta del 18 aprile). Nonostante i SìPonte abbiano da sempre decantato le presunte caratteristiche di resistenza dell’infrastruttura ad un’esplosione nucleare, il professore Calvi ha espresso una certa perplessità sulla tenuta del Ponte nel caso in cui vi si schiantasse contro un aereo di piccole dimensioni.

E i costi sociali-politici ed economici per difendere il Ponte indifendibile? Mai analizzati e quantificati eppure basterebbe riprendere i suggerimenti proposti dall’Esercito italiano oltre 35 anni fa per rendersi conto della sua assoluta insostenibilità finanziaria. Batterie di missili terra-aria e sistemi radar da installare a protezione dello Stretto, rafforzamento del dispositivo navale e dei sottomarini militari nelle acque dello Ionio e del basso Tirreno, attivazione di cellule di pronto intervento aereo negli scali di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Sigonella, corpi d’élite anti-terrorismo e agenti 007 sparsi a destra e manca tra Scilla e Cariddi, ecc., ecc.: queste le draconiane misure individuate, con la contestuale riduzione ai minimi termini delle libertà individuali e degli spazi di agibilità politica per le popolazioni dello Stretto. Costi inestimabili e inaccettabili che rendono ancora più inaccettabile e incompatibile il Ponte sullo Stretto.

E così continueremo a gridare “No al Ponte” anche per opporci alle logiche di guerra e alla militarizzazione dei territori, per la Pace, il Disarmo e la Giustizia dei Popoli.

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pubblicato il in Crisi Climaticadi redazioneTag correlati:

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