Alcuni appunti sul viaggio del Papa in Messico
Papa Francesco arriva in Messico, il paese si ferma, i media di mezzo mondo seguono l’incontro.
La retorica che segue passo passo ogni spostamento di Francesco è sempre la stessa: persona coraggiosa e vicina ai più poveri, un Papa che sta cambiando la chiesa e lo fa mettendoci la faccia.
Il disco è fermo e ripete la stessa traccia anche in Messico.
Ieri la messa in Tzeltal, Tzotzil e Chol a San Cristobal de Las Casas, legata a doppio filo con lo sdoganamento di poter professare messa in idiomi diversi dallo spagnolo.
La visita alla tomba di Don Samuel Ruiz, ex vescovo di San Cristobal vicino agli zapatisti e praticante della teologia della liberazione.
Le parole “importanti” che ricordano come gli indigeni siano stati sfruttati ed esclusi dalla società, ma anche come le comunità originarie siano difensori della terra e quindi amiche dell’ecologia e dell’ecologismo.
Tutto vero, ma soprattutto buono per la narrazione mainstream e tossica che dipinge il papato di Francesco come avversario dei sistemi di potere.
I particolari però raccontano una storia diversa. Uno sguardo laterale e non viziato dalla parzialità comunicativa che definisce il papa come rivoluzionario dovrebbe farci riflettere su come la figura di Francesco sia assolutamente utile al mantenimento degli equilibri del potere.
I media descrivono il papa come unico, o più autorevole, nemico del capitalismo e amico dei poveri. Dare a lui questo ruolo significa depotenziare i movimenti sociali e radicali.
Esattamente quello che è successo dopo la seconda enciclica di papa Francesco intitolata “laudato si”. E’ stato dipinto come l’unico critico del capitalismo neo-liberale al mondo, mentre sappiamo bene come di critiche radicali, profonde e sensate al sistema economico dominante ne siano state scritte molte negli anni.
“L’informazione” è da anni un vero e proprio “potere” che tende a difendere lo status quo: così la scelta di dipingere Francesco come il punto più avanzato della lotta anti-capitalista è quindi una mossa studiata.
Forse è solo un caso ma papa Francesco arriva in Chiapas il giorno prima del ventesimo anniversario della firma degli Accordi di San Andres, firmati da EZLN e governo messicano, che sancivano lo status di indigeno e i diritti degli indigeni a governare in autonomia le proprie terre nel rispetto delle tradizioni, senza essere discriminati o considerati cittadini di serie b. Le parole del papa forse ricalcheranno in parte quel documento poi tradito dal governo, ma così permettono di superare e cancellare dalla storia gli Accordi di San Andres.
Forse è sempre un caso che Francesco incontri tre volte Pena Nieto e una volta Carlos Slim, uno dei più grandi magnati delle telecomunicazioni al mondo, ma non trovi il tempo per incontrare i genitori dei 43 studenti di Ayotzinapa o non incontri la comunità Las Abejas, la comunità che subì il massacro di Acteal. “Il papa non fa differenza tra le vittime, e per questo non può dare priorità ad alcune”; Bergoglio incontrerà tutte le comunità vittime di violenza in una messa a Città Juarez. Non scegliere significa, però, non riconoscere differenze e valore ad alcuni percorsi. Quello dei 43 studenti di Ayotzinapa è il più chiaro esempio delle compromissioni tra potere politico, militare e malavitoso nel paese. Non è una storia uguale ad altre. Derubricarla è grave. E un papa che è stato alto prelato durante la dittatura in Argentina non può non saperlo.
Alla parole pronunciate non corrispondono fatti tanto importanti e forti. Tutto si ferma all’immagine. Francesco combatte dentro la chiesa per affermare la centralità di quella sud-americana. Non cambia il reale, sposta delle virgole. Non si può negare che ci sia così una nuova fase della chiesa. Ma va razionalizzata.
“Il papa dei poveri” è molto attento a pontificare bene, creare “immaginari” di una chiesa vicina ai più deboli, ma allo stesso tempo a non turbare i poteri che opprimono i diversi paesi.
Questo smaschera il ruolo di Francesco: la chiesa cattolica non ha interesse a mettere in discussione il capitalismo e i poteri che lo alimentano, ha interesse a recuperare simpatie negli strati poveri della popolazione, che casualmente sono la maggioranza delle persone che vivono sul pianeta terra, il famoso 99%, cioè quegli strati che soprattutto in latino America stanno abbandonando in numero sempre maggiore il cattolicesimo a favore delle dottrine pentacostali, soprattutto la chiesa evangelica. Francesco è stato eletto anche per questo.
E’ un gioco di potere. Molto utile al potere. Che le persone si ricordino che Bergoglio è un Gesuita ed è stato un feroce nemico della Teologia della Liberazione.
Gustavo Esteva, sulle pagine della Jornada, scrive: “Francesco non sarà ricevuto da meri peccatori, come gli succede da tutte le parti. Si troverà continuamente tra corrotti, tanto del governo come della sua propria Chiesa. Starà tra malavitosi. Li conosciamo bene e sicuramente anche lui. Nel vederli dove stanno, impuniti, in molte persone muore lentamente la fiamma della speranza, come dice il Frayba. Ma non muore la fiamma della resistenza. Per rafforzarla, è necessario riconoscere il suo valore e la sua dignità e ravvivare amorevolmente la fiamma della sua speranza. Riuscirà Francesco a vedere tutto questo e agire di conseguenza?”
La risposta più probabile è “no”, ma un no che sarà dipinto come alternativa reale al potere. Come si dice? Cambiare tutto per non cambiare niente.
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