Angela Davis contro l’industria delle carceri
Quando si fa scomparire un gran numero di esseri umani per dare l’illusione di risolvere un problema sociale è necessario creare infrastrutture penali, merci e servizi devono essere resi disponibili per tenere viva la popolazione imprigionata. A volte bisogna trovare il modo di tenere questa popolazione impegnata mentre talvolta – soprattutto nei carceri di massima sicurezza- bisogna privarla di qualsiasi attività significativa.
Tutto questo lavoro, che era una volta competenza primaria del governo, viene ora svolto da corporation private il cui legame con il governo nel campo che viene eufemisticamente chiamato della “correzione” è pericolosamente affine con il complesso militare industriale. I dividendi dell’industria della punizione, proprio come quelli derivanti dagli investimenti nella produzione di armi consistono fondamentalmente nella distruzione sociale. Tenendo dunque presenti le somiglianze strutturali e il legame tra questa industria e il governo, l’espansione del sistema penale si può caratterizzare come un “Complesso industriale delle prigioni”.
Quasi due milioni di persone sono oggi rinchiuse nell’immensa rete carceraria americana. Circa cinque milioni – inclusi coloro che sono in libertà condizionata o liberi sulla parola – sono gli individui posti sotto la diretta sorveglianza del sistema giudiziario. Tre decadi fa la popolazione carceraria era circa un ottavo di ciò che è adesso. Se le donne costituiscono ancora una percentuale relativamente piccola di questa popolazione, oggi il numero di donne incarcerate in California per esempio, è quasi il doppio di quello che era negli anni Settanta la popolazione carceraria femminile dell’intero Paese.
Mentre le carceri occupano sempre più spazio nel paesaggio sociale, sempre di meno ce n’è per altri programmi governativi di aiuto ed assistenza alle famiglie che ne hanno bisogno, così come decade il livello della scuola pubblica e soprattutto sbiadiscono le politiche di finanziamenti speciali nelle scuole collocate in comunità povere. E questo è direttamente collegato alla soluzione “prigioni” per i problemi sociali.
Il profitto dei capitali privati coinvolti nell’industria della punizione invece aumenta. E se le prigioni gestite direttamente dal governo sono spesso in palese violazione delle leggi internazionali sui diritti umani quelle private sono ancora peggiori. La Correction Corporation of America (Cca), la più consistente compagnia del ramo, ha 54,944 letti in 68 penitenziari negli Stati Uniti, Porto Rico, Regno Unito e Australia. Con il suo fiuto per gli affari, avendo annusato la tendenza ad imprigionare sempre più donne, ha aperto recentemente una nuova casa di pena femminile a Melbourne e ha definito la California la sua nuova “frontiera”.
Wackenhut Corrections Corporation (Wcc), la seconda corporation americana, ha chiesto contratti per gestire 46 istituti nel Nord America, Regno Unito e Australia. Possiede in totale 30424 letti e si occupa della salute, il trasporto e la sicurezza di altrettanti prigionieri. Sia le azioni della Cca che della Wcc stanno andando davvero bene in Borsa. Tra il 1996 e il 1997 le rendite della Cca sono aumentate del 58%, la Wwc ha guadagnato 210 milioni di dollari. Tra l’altro, al contrario degli istituto di pena pubblici, quelli privati si giovano di forza lavoro non sindacalizzata.
Le compagnie private dell’industria della punizione sono solo la componente più evidente del Complesso industriale delle prigioni. I contratti del governo con i costruttori per erigere nuove carceri hanno impresso un forte movimento al settore edilizio e alle finanziarie ad esso collegate, come la Merril Lynch. E ci sono moltissime compagnie i cui prodotti consumiamo quotidianamente che utilizzano il lavoro carcerario come fanno con il lavoro delocalizzato nel Terzo Mondo. Alcune di esse: IBM, Motorola, Compaq, Texas Instruments, Honeywell, Microsoft, and Boeing. E non solo: la Nordstrom vende jeans chiamati “Prison Blues,” così come t-shirts e giacche prodotte nelle prigioni dell’Oregon. Lo slogan pubblicitario per questi indumenti è: “Fatti dentro per essere indossati fuori”… I carcerati del Maryland dal canto loro controllano le bottigliette di vetro e i barattoli usati dalla Revlon e Pierre Cardin. Naturalmente il lavoro carcerario viene pagato molto al di sotto del salario minimo. E sebbene questo produca ricchezza privata, il sistema penale nell’insieme non produce affatto ricchezza ma al contrario divora la ricchezza sociale che potrebbe essere usata per migliorare le condizioni dei poveri e degli emarginati. Se in California negli ultimi dieci anni sono state costruite 20 nuove prigioni, un solo campus è stato aggiunto all’Università statale; da quando poi la legge sulle azioni positive è stata dichiarata incostituzionale in quello Stato è sempre più ovvio che l’educazione e la cultura sono riservati a un certo tipo di persone, mentre un altro tipo di persone ne è esclusa. Un esempio: i neri in prigione sono cinque volte più numerosi di quelli che siedono sui banchi dei collage. Si è creata una nuova segregazione che ha implicazioni pericolose per l’intero Paese. Mentre l’enfasi delle politiche governative si sposta dal welfare al controllo del crimini, il razzismo penetra profondamente nelle strutture economiche e ideologiche della società americana. E’ necessario combattere e opporsi all’espansione dell’industria della punizione. E’ necessario costruire movimenti in difesa dei diritti umani dei carcerati che argomentino che ciò di cui il Paese ha bisogno non sono nuove prigioni ma case per i senzatetto, programmi di recupero dalla droga, scuole, lavoro per i disoccupati.
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