
Arafat, morte al veleno
L’11 novembre del 2004 esalò l’ultimo respiro. Ma forse la sua vita era già terminata alla fine del 2001, un anno dopo l’inizio della seconda Intifada palestinese, quando il premier israeliano Ariel Sharon decise di «confinarlo» di fatto nella Muqata di Ramallah. Una «prigione» soggetta a ripetuti attacchi di mezzi corazzati (in particolare nel 2002) e dove ora Arafat riposa in un mausoleo visitato ogni mese da migliaia di palestinesi e di stranieri. «Arafat è stato ucciso, vogliamo che sia fatta luce», disse nel 2006 al manifesto la poetessa Hanan Awwad, mostrando le sue ultime foto con il rais. Un sospetto comune a tutti i palestinesi che ben ricordano la minaccia di Sharon di «eliminare» per sempre dalla scena politica il suo antico nemico, l’uomo che aveva tentato più volte di colpire ed uccidere, specie nel 1982 durante l’assedio isrealiano e falangista a Beirut Ovest.
Ora è stata chiesta la riesumazione del corpo per compiere ulteriori test e le autorità di Ramallah, riluttanti per anni a compiere un passo del genere, sono adesso pronte a riesumare il corpo di Arafat. Lo ha assicurato ieri Tawfiq Tirawi, un ex comandante dei servizi di sicurezza palestinesi, ora capo della commissione di inchiesta sulla morte del rais. Da parte sua il negoziatore Saeb Erakat ha chiesto che si costituisca una commissione d’inchiesta internazionale sul modello di quella per l’assassinio del premier libanese Rafiq Hariri, morto in un attentato nel 2005.
Arafat cominciò a stare male ad agosto 2004. Il suo medico personale rilevò subito delle stranezze e chiese che venissero consultati degli specialisti per fare una diagnosi precisa. Gli esami di laboratorio davano un inspiegabile calo delle piastrine. Ma non si trattava di una leucemia, né di un tumore. Le cose precipitarono ad ottobre e il presidente fu trasferito a Parigi. In Francia Arafat venne curato ed ebbe un leggero miglioramento ma il 3 novembre entrò in coma a causa di un’emorragia cerebrale devastante e l’11 novembre alle 3.30 spirò in ospedale.
Ora però è giunto il via libera di Abu Mazen e la speranza è che il mistero venga finalmente risolto. Sul banco dei sospettati intanto c’è solo Israele.
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