Assange contro Hollywood
(Stralci dell’intervista di Luca Celada da www.ilmanifesto.it)
L’apparizione di Julian Assange in una dissolvenza dal bianco sullo schermo Skype nella sede della stampa estera di Hollywood è stata un immagine squisitamente Debordiana. Il decano mondiale degli hacker, l’uomo-leaks si è materializzato via internet nella città costruita sulla manifattura della spettacolo. Per Assange si è trattato di una offensiva, o meglio di una controffensiva d’immagine per bilanciare quella che ritiene una diffamazione nei suoi confronti nella forma di due film di prossima uscita. Quinto Stato che esce la prossima settimana e una biografia romanzata firmata da Bill Condon, regista con all’attivo tra l’altro muscal come Dreamgirls e Chicago.
Si tratta di una fiction molto melò in chiave po-psicologica in cui Assange, intepretato da Benedict Cumberbatch, viene ritratto come un uomo ossessivo, prodotto di turbe adoelscenziali mai risolte. Un film mediocre che è stato freddamente ricevuto dalla critica all’esordio al festival di Toronto a settembre.
L’altro film dedicato ad Assange è We Steal Secrets, documentario del premio oscar Alex Gibney (Enron, Mea Maxima Culpa, Taxi To The Dark Side, Armstrong Lie). Si tratta di un resoconto assai denso degli eventi attorno alla più celebre “leak” di Assange, quella che avrebbe portato alla condanna a 35 anni di Bradley Manning per spionaggio. Anche questo film, che inzialmente doveva esser una collaborazione fra soggetto e regista, è stato sconfessato in termini molto aspri da Assange a causa di un diverbio sul controllo editoriale fra, si indovina, due personalità assai forti. Il documentario di Gibney appena uscito su DVD verte molto sul personaggio di Manning e cita presunte affermazioni di Assange su come “civili che abbiano assistito le forze NATO in Afghanistan meritano di morire”. Affermazioni negate da Assange che ieri le ha nuovamente definite frutto della vendetta dell’apparato di sicurezza americano contro di lui.
L’incontro con la stampa hollywoodiana ha restituito l’immagine affascinante e problematica di una personalità enigmatica e contadditoria; un paladino della libertà assoluta dell’informazione impegnato in un tentativo – forzatamente vano – di gestire la propria immagine pubblica. Un calcolo discutibile sempre discutibile soprattutto a Hollywood dove, è noto, ogni polemica equivale ad ulteriore pubblicità.
Allo stesso tempo Assange rimane un leader carismatico della resistenza all’escalation di controllo sociale e informatico che vede, ad esempio, l’amministrazione Obama fortemente impegnata nella repressione “totale” di fonti di informazione altermative e non allineate.
Assange ha parlato a tutto campo sulla sua residenza coatta nell’ambasciata ecuadoregna, l’attivismo hacker, l’affare Snowden e il futuro della militanza anonima in rete.
Com’e la vita da prigioniero..?
E’ difficile, certo, svegliarsi e vedere le stesse mura per 500 giorni. Allo stesso tempo sto lavorando molto e non devo più preoccuparmi di nascondermi. Continuiamo ad avere collaboratori leali e molto bravi in tutto il mondo, disposti ad aiutarci. Intellettualmente quindi non mi sento intrappolato da queste mura, infatti, oggi sono qui con voi. Quindi, in un certo senso, mentre io sono imprigionato qui c’è una prigione molto più grande in cui vivete anche tutti voi. Bisogna battersi per evitare che sia questa la realtà.
Si riferisce allo scandalo Nsa e allo stato di sorveglianza globale?
La “sicurezza” non può essere dominata da poteri che hanno a cuore i propri interessi invece che quelli dei cittadini. Gli Usa oggi rischiano di passare sotto il controllo di un apparato di sicurezza che in realtà è un sistema transnazionale, occidentale e non solo, di cui fanno parte agenzie di intelligence come Cia e Mi6, disposte a condividere i loro dati con paesi come la Cina e perfino con corporation private. Sono strutture che fanno i propri interessi, non quelli della gente. Quella fra sicurezza e libertà è una falsa scelta, una scusa inventata dal complesso industriale che c’è dietro l’apparato di sicurezza. Solo l’anno scorso sono stati secretati 7,7 milioni di documenti. La NSA intercetta 2 miliardi di messaggi al giorno e vorrebbero presto arrivare a 20 miliardi al giorno. Fin quando Wikileaks non sarà in grado di rendere pubblico lo stesso volume di informazioni non si può parlare di equilibrio.
Come pensa che vi giudicherà la storia?
Non ci penso veramente, anche se poi la storia è scritta in molti modi. In genere è la menzogna sul passato su cui si trova un consenso. Abbiamo l’opportunità oggi di cambiare la storia e per una volta dirottarla dalla versione ufficiale. La gente parla di Wikileaks come di un’organizzazione militante e in un certo senso è così. Ma stiamo anche sviluppando una sorta di nuova biblioteca di Alessandria per il nostro presente. Abbiamo documenti dagli anni ’70 in poi. Può essere l’impalcatura per un mondo migliore. Ogni decisione che prendiamo è basata su quello che sappiamo, e la libera informazione ha la possibilità, quindi, di generare decisioni migliori. Se guardiamo la storia della civilità è chiaro che il progresso è avvenuto di pari passo con la circolazione delle informazioni, dal medioevo a Gutenberg fino alla modernità, man mano che abbiamo acquisito verità siamo in stati grado di fare cose migliori. La ragione per cui considero questo un momento particolarmente cruciale è che mi sembra che la civiltà sia a un crocevia. Da un lato c’e’ una distopia di sorveglianza di massa condotta da stati fuorilegge, dall’altro c’è una nuova concezione di cosa pubblica, la possibilità di un consenso transnazionale costruito sulla libera circolazione delle informazioni e la comunicazione stimolata dalla trasparenza.
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