Il reale delle/nelle immagini. La magia neoarcaica delle immagini tecniche
Andrea Rabbito, La meno-quasi e più-realtà. Genealogia delle nuove immagini e indagini dalla prospettiva dei visual culture studies. Con opere pittoriche di Andrea Mangione, Mimesis
di Gioacchino Toni, da Carmilla
In un’importante tetralogia di saggi composta da Il cinema è sogno (Mimesis, 2012), L’illusione e l’inganno (Bonanno, 2010), Il moderno e la crepa (Mimesis, 2012) e L’onda mediale (Mimesis, 2015), distinguendo tra “immagini tradizionali”, comparse insieme ai graffiti rupestri, e “nuove immagini”, o “immagini tecniche”, introdotte dalla fotografia per poi svilupparsi nel cinema, nel video e nella forma digitale sino alla realtà virtuale, capaci di illudere una perfetta duplicazione del reale, lo studioso Andrea Rabbito ha avuto modo di evidenziare dettagliatamente come queste ultime non provochino più la sensazione che in esse il rappresentante ceda il posto al rappresentato ma, piuttosto, l’assenza del rappresentante e la percezione di trovarsi al cospetto del rappresentato presente nella sua immediatezza.
Il doppio offerto da queste “nuove immagini” a partire dalla fotografia finisce per dare vita ad atteggiamenti “neoarcaici” – come li definisce Edgar Morin (L’Esprit du temps) –, attivando reazioni irrazionali, primitive, infantili proprie dell’Homo demens che, da sempre, contraddistinguono il rapporto tra l’essere umano e le differenti forme di rappresentazione. Un atteggiamento che nella contemporaneità conduce a un’inedita modalità di interazione con il mondo iconico e fattuale.
Riprendendo le riflessioni di Jean-Paul Sartre (L’Imaginaire), che considera l’immagine come uno dei modi attraverso cui un oggetto si presenta alla coscienza, nel suo nuovo volume Rabbito si sofferma su come nel guardare un’immagine la nostra coscienza miri «ad attivare un’illusione di presenza e di vita, per stabilire un rapporto tra il rappresentato e la nostra coscienza; e, necessariamente, la coscienza attiv[i], in parallelo, anche una forma di negazione». A essere negata è dunque «l’esistenza dell’artificio, del rappresentante, di ciò che è funzionale alla rappresentazione, per vedere e soprattutto rapportarsi con ciò che l’immagine propone, il rappresentato».
Le modalità con cui si attiva la coscienza in un’immagine «somigliante/verosimigliante al reale» risultano decisamente differenti rispetto a quelle che si attivano di fronte a una parola scritta e ciò è dovuto al fatto che mentre in quest’ultima la materia del segno risulta indifferente all’oggetto significato, nel caso della prima si instaura una relazione di somiglianza tra la materia dell’immagine fisica e il suo oggetto.
Questa materia dell’immagine, caratterizzata dalla relazione con ciò che rappresenta, permette un certo lavoro da parte della coscienza immaginativa che si attiva affinché, tramite illusione e negazione, appaia presente il rappresentato. Per questo motivo Sartre scrive che “la materia [dell’] immagine, quando guardiamo un ritratto, non è solo quella combinazione di linee e colori” che la compone, “è, in realtà, una quasi-persona, con un quasi-viso, ecc.”.
Ed è anche per questo che Sartre aggiunge come “il nostro atteggiamento verso l’oggetto dell’immagine potrebbe chiamarsi quasi-osservazione”.
Ciò che vediamo in immagine è dunque una quasi-realtà.
L’immagine, pertanto, offre a chi osserva una quasi-realtà che tende ad animare quanto si guarda. Essendo che alla realtà fattuale dell’immagine si somma la sua quasi-realtà, «l’immagine non può essere considerata un oggetto sminuito», quanto piuttosto «un oggetto rafforzato, aumentato, capace di essere illusoriamente altro». È dunque dal concetto sartriano di quasi-realtà dell’immagine che Rabbito deriva quello di «meno-quasi e più-realtà».
Se nelle immagini classiche – sin dalle pitture rupestri – resta centrale la manualità di chi le ha realizzate, con la nascita della fotografia cambia totalmente il paradigma della rappresentazione del reale. Le nuove immagini registrano e riproducono la realtà in termini meccanici, chimici, fisici, elettronici, digitali palesando il contributo fondamentale della “macchina” nel far risultare oggettiva e attendibile l’immagine, instaurano un rapporto ontologico con il referente reale, tendono a escludere la soggettività e la manualità dell’essere umano, eccedono la “norma della verosimiglianza” divenendo “l’analogon perfetto”, presentano un tipo di riproduzione del dato rappresentato vissuta come oggettiva e attendibile, offrono una sensazione di immediatezza, di restituzione più completa ed esaustiva del reale e accentuano l’espandibilità attraverso la riproduzione tecnica.
Se la materia dell’immagine classica è una quasi-realtà, la materia dell’immagine nuova si presenta come una meno-quasi e più realtà. Chi fruisce della immagine nuova, pur nella consapevolezza di non trovarsi di fronte alla realtà vera e propria, percepisce di essere comunque al cospetto di qualcosa che eccede la quasi-realtà dell’immagine classica, vivendo l’illusione di percepire direttamente la realtà rappresentata sfumando il ruolo della mediazione del supporto, dell’artificio della rappresentazione.
Al fine di comprendere in profondità le nuove immagini, secondo Rabbito è utile rivolgere lo sguardo al passato al fine di individuare il bagaglio culturale lasciato dalle immagini classiche alle nuove. Dunque, l’autore propone una genealogia di queste ultime indagando al contempo le precedenti.
Le nuove immagini, aggiornando alcune caratteristiche proprie delle immagini tradizionali, si rivelano in grado di vincere il fluire del tempo, di coinvolgere lo spettatore al punto di farsi percepire per realtà immergendolo nel «mondo altro della rappresentazione», di rendere «possibile il passaggio dalla quasi-realtà sartriana ad una meno-quasi e più-realtà, fino a tendere sempre più verso ad una “realtà” vera e propria, ad un doppio perfetto e un rimpiazzo soddisfacente […] che abbraccia, avvolge e inghiotte l’utente nella dimensione iconica».
La scelta di ricorrere alla prospettiva dei visual culture studies è dovuta essenzialmente al loro permettere di approcciare le nuove immagini contemplando diversi ambiti scientifici consentendo un’analisi articolata da diverse prospettive e di rivolgere lo sguardo a un passato in cui ancora non erano presenti.
Di particolare importanza si dimostrerà per noi il messaggio veicolato attraverso quelle particolari rappresentazioni visive che sono le nuove immagini, le quali, […] si presentano come le più oggettive, naturali e trasparenti. Si presentano, insomma, come delle meno-quasi e più-realtà che veicolano messaggi con una connotazione che non viene percepita; che danno vita a forme di accettazione e credenza verso ciò che viene proposto in immagine; che attivano forme di rapporto e di esperienza che altera profondamente il nostro modo di confrontarci con la realtà; che producono forme di assimilazione di informazioni senza attivare un’adeguata coscienza critica.
L’alterazione del modo di confrontarsi con la realtà e la produzione di forme di assimilazione di informazioni non attivanti un’adeguata coscienza critica sono questioni su cui vale la pena riflettere e Rabbito ha il merito di farlo approfonditamente anche con questo suo ultimo volume impreziosito da diverse riproduzioni di opere pittoriche di Andrea Mangione.
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