La coerenza di Ken Loach vs il Torino Film Festival
Finalmente qualcuno che mette il dito nella piaga e denuncia un po’ della merda che sta sotto la gestione della “Cultura” nella ridente città di Torino. Un precario che lavorava al Museo del Cinema, dentro la mole Antonelliana, licenziato per rappresaglia anti-sindacale, ha la bella idea di rivolgersi al regista inglese di cui è prevista la presenza al festival. Il regista si interessa al caso e chiede spiegazioni al direttore del Tff Alberto Barbera.Ma si sa, chi si occupa dis ettori tanto alti dello spirito umano non ha tempo per chiedersi da dove vengano i soldi che tutto questo permettono e in che condizioni versino i lavoratori che permettono lo svolgimento di questi grandi eventi su cui l’amministrazione comunale ha pensato di costruire tutto il futuro della città.
E così, spiegazioni non ne giungono e Ken Loach prende l’amara decisione e declina l’invito, solidarizzando con «i lavoratori sfruttati del settore cultura di Torino che dicono di essere pagati 5 euro lordi l’ora». Vale a dire i dipendenti della Cooperativa Rear che prestano la loro opera al Museo Nazionale del Cinema da oltre dodici anni e della cui situazione si sono occupati già i tribunali di Torino e Milano.
Apriti cielo! Il jet-set(tino) della città “s’indigna”: Barbera manda a dire che “non prende lezioni di morale” e Stampa e Repubblica partono come segugi alla ricerca delle ragioni dell’eclatante gesto, fanno parlare i soliti papaveri della culturta che conta in città (quella per cui girano tanti soldi) e il cineasta può ben venire rappresentato come l’idealista romantico fuori tempo massimo che “non sa in che mondo viviamo”, secondo le parole di Barbera. Il direttore del Tff precisa anche di non avere responsabilità visto che a gestione del personale, e il suo pagamento, sono opera di un soggetto terzo, la cooperativa Rear appunto, proprietà di Mauro Laus, uomo forte del PD cittadino, ben noto per le condizioni di merda con cui paga i suoi soci-dipendenti.Il solito giochetto su cui tutto il sistema di appalti e sub-appalti si gioca, abbassando la qualità delle condizioni di lavoro e intensificando lo sfruttamento. Su questo Stampa e Repubblica non indagano. Tutti in città sanno quanto sono pagati i soci Rear: 5 euro, scrivono i giornali ma non spiegano che quella cifra corrisponde al lordo, cui corrisponde una paga netta da fame di 3, 50 euro l’ora. Il che vuol dire che un socio/a lavorante dopo 10 ore di lavoro riceve un compenso che non gli permette neanche di andarsi a mangiare una piazza col fidanzato/a. Meraviglie della città dei servizi, della cultura e della creatività, costruita su uno sfruttamento intensivo del lavoro precario.
Della vicenda si è occupato il sindacato di base Usb, che negli anni passati ha già condotto numerose vertenze contro la cooperativa di Laus, ottennedo, in alcuni casi (vedi la Reggia di Venaria) anche un raddoppio del compenso salariale dei soci-lavoratori. Chissà che anche questa vicenda non permetta di migliorare almeno un poco la paga dei lavoranti del festival. (qui il comunicato sulla vicenda dell’Usb: “Museo del Cinema alla Mole Antonelliana ovvero TORINO come METROPOLIS”.
Che dire del resto? Si può amare, detestare o essere indifferenti al cinema di Ken Loach. Certo non si può non riconoscergli una coerenza etica che è anche coerenza artistica, che ha molto da insegnare a tanta intellighenzia della radicalità estetica (vera o presunta) che dimentica troppo facilmente l’osservazione di Walter Benjiamin per cui “Non c’è alcun documento della civiltà che non sia al contempo un documento della barbarie”.
La vicenda sui quotidiani: Repubblica-Torino – Stampa-Torino – Il Fatto Quotidiano – Il Manifesto
Il comunicato di Ken Loach:
“È con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film.
I festival hanno l’importante funzione di promuovere la cinematografia europea e mondiale e Torino ha un’eccellente reputazione, avendo contribuito in modo evidente a stimolare l’amore e la passione per il cinema.
Tuttavia, c’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile.
A Torino sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema (MNC). Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale. Ovviamente è difficile per noi districarci tra i dettagli di una disputa che si svolge in un altro paese, con pratiche lavorative diverse dalle nostre, ma ciò non significa che i principi non siano chiari.
In questa situazione, l’organizzazione che appalta i servizi non può chiudere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione. Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili.
Abbiamo realizzato un film dedicato proprio a questo argomento, «Bread and Roses». Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti?
Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni. Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio”
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