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Liberiamoli e liberiamole – Campagna contro la repressione

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Oggi più che mai è necessario interrogarsi su quali siano gli spazi di libertà di cui dispongono le persone nella nostra società, mobilitarsi per difenderli e guadagnane di nuovi. Le istituzioni, i governi, a colpi di Riforme giudiziarie e decreti Sicurezza, hanno costruito maglie sempre più strette in cui ingabbiare e reprimere ogni forma di dissenso politico o qualsivoglia comportamento sociale non “allineato”. La creazione di nuovi dispositivi di controllo, dai vari tipi di daspo alle sorveglianze speciali, alle numerose forme altamente discrezionali a disposizione delle Forze dell’ordine, ha ristretto grossa parte dell’agibilità di forme di conflitto sociale e dissenso.

Procure come quella di Torino hanno inoltre costruito e sperimentato un uso politico della dimensione giudiziaria, attraverso un utilizzo/impiego smisurato delle misure cautelari e di condanne esorbitanti, distribuendo anni di carcere a più non posso.
Con questa campagna intendiamo sensibilizzare e muoverci concretamente a favore di chi viene colpito da questo tipo di misure repressive a causa del suo impegno sociale e politico. E, partendo da ciò che ci tocca di persona – la repressione del conflitto sociale – allargare il raggio e batterci contro il funzionamento di questo sistema giudiziario e carcerario, che colpisce principalmente le classi più basse della nostra società, mentre lascia del tutto impuniti i potenti e chi sta in alto.
Denunciare la completa iniquità della giustizia italiana vuol dire, per noi, spingere il maggior numero di persone ad aprire gli occhi sulla realtà che si cela dietro le parole Giustizia e Legge in questo paese.
Dalla Val Susa a Torino in tanti abbiamo avuto modo di sperimentare un uso politico delle misure cautelari che, in tutte le loro forme, sono state e vengono tuttora utilizzate come arma per disinnescare
preventivamente qualsiasi forma di attivismo politico. Distribuite a larghe mani da Pubblici Ministeri e G.i.p, spesso peraltro coinvolti in “scandali” giudiziari, questo tipo di misure sono state utilizzate in maniera completamente distorta e ai limiti stessi della legalità.

Parliamo di dispositivi altamente restrittivi, la cui presunta funzione cautelativa (il cosiddetto rischio di inquinamento delle prove, fuga o reiterazione del reato) risulta completamente azzerata, dal momento in cui vengono imposti spesso ad anni di distanza dai fatti contestati. Tali misure, inoltre, vengono spesso attribuite secondo il solo criterio del concorso morale senza che chi le subisce abbia realmente commesso alcun fatto materiale, arrivando perfino a rinchiudere in carcere per mesi e mesi persone con accuse talmente inconsistenti, da cadere al primo grado di giudizio.
Non si contano più i casi di chi è costretto a firmare giornalmente in commissariato, per anni, con la sola motivazione di essere stato presente ad un corteo di protesta. Per non parlare di chi si è visto assegnato alla detenzione domiciliare con restrizioni (divieto di comunicare e ricevere visite), senza la possibilità di lavorare per mesi o addirittura anni, ancora prima dell’inizio del processo che avrebbe dovuto stabilirne la colpevolezza.

L’uso delle restrizioni e il divieto di potersi sostentare da soli – che ha colpito negli ultimi anni numerosi attivisti e militanti – è una pratica particolarmente odiosa che ha l’evidente obbiettivo di spezzare i legami sociali e familiari delle persone colpite e rappresenta un modo inumano di costrizione domiciliare, la quale di per sé già rappresenta un contraddizione teorica del concetto di “reinserimento sociale”. Ci troviamo di fronte a una pratica inumana, tanto più quando viene inflitta a chi sconta una condanna definitiva ai domiciliari, costringendo, magari per anni, una persona a non poter parlare con nessuno se
non al costo di finire in carcere.

Alcuni casi di accanimento arrivano fino all’utilizzo di dispositivi come la semilibertà per pene di un anno o poco più, nonostante questa formula sia prevista per i periodi di lunga detenzione.
Di fronte a tutto ciò, non possiamo più tacere! Sono moltissimi i casi “limite” e le ingiustizie che si consumano e si sono consumate in questi anni sulle quali vogliamo cominciare a costruire controinformazione specifica, coscienti che non sono solo gli attivisti e militanti ad esserne colpiti, ma bensì una grossa massa che vive situazioni simili, spesso in totale silenzio e isolamento.
Siamo altresì convinti che queste vicende giudiziarie siano solo una parte del problema, dell’uso dei domiciliari e delle decine di migliaia di persone a essi costretti in Italia si parla pochissimo, anche se tale metodo detentivo andrebbe fortemente messo a critica vista la gravità delle possibili ricadute psicologiche e fisiche che comporta.
Per non parlare del sistema carcerario italiano, noto per le condizioni disumane a cui vengono costretti i detenuti, il sovraffollamento, i continui abusi e il conseguente altissimo numero di suicidi, veri e propri omicidi di Stato.
Ci rivolgiamo a chi ha orecchie e cuore per ascoltare e non vuole chiudere gli occhi. A chi ritiene inaccettabile e pericoloso far diventare routine questo uso politico della Giustizia in questa città e in questo paese.
Muoverci concretamente contro queste palesi ingiustizie, crediamo sia uno dei tanti modi per conquistare e difendere spazi di libertà collettiva e, insieme, per liberarci.

Qui la pagina facebook della campagna.

Sotto i primi materiali della campagna:

 

Ennio Libero! Liberiamole e liberiamoli!

 

Natale No Tav con Giorgio, Mattia e Luca!

 

La questura revoca le patenti di chi partecipa alle lotte sociali: il caso di Loris e quello di Luca

 

“PIACENZA 10.2.18 / BUSSOLENO 15.2.18. Una lettera di Giorgio “Brescia”

 

 

 

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pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

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