Nasce Arrèxini, portale sardo di informazione dai territori in movimento
Da qualche giorno è nato Arrèxini, un portale sardo di informazione dai territori in movimento. Pubblichiamo il documento con cui la redazione di Arrèxini pone i presupposti per un’informazione altra che riguarda il territorio sardo e le lotte che si sviluppano al suo interno.
Perché un nuovo medium?
Il giornale “Arrexini” è il frutto di una riflessione sull’agibilità politica all’interno dell’odierna società mediale.
Oggi, infatti, i media possono essere annoverati tra i principali dispositivi di regolazione politica dell’esistente, perché nel definire ciò che è priorità e nel dare forma al discorso pubblico preparano le politiche rivolte alla società e ai territori.
Sono diversi i modi attraverso cui il mainstream riesce nell’impresa di diffondere punti di vista, rappresentazioni o narrazioni funzionali all’azione politica dei gruppi dominanti (siano essi politici o di natura economica). Tra questi, l’imposizione di un’agenda setting che ha l’effetto di affogare nel silenzio eventi o posizioni che mal si adattano alle narrazioni dominanti, la realizzazione di vere e proprie campagne di demonizzazione contro il nemico di turno, il presentare come maggioritaria una posizione particolare e via dicendo.
E’, infatti, attraverso espedienti di questo tipo che vengono preparate eventuali strette repressive o le politiche che promuovono la rapina dei territori realizzata oggi dagli imprenditori della “green” economy. Per fare un altro esempio, si pensi, poi, a come i mass media hanno trattato nei mesi scorsi la questione Quirra: stando ai quotidiani sardi, sembrava di essere arrivati a un passo dalla dismissione del poligono e dalla bonifica dell’area, mentre il Ministero della Difesa, Finmeccanica e Vitrociset preparavano il rilancio della base che affiancherà alle consuete attività militari quella aerospaziale. Per di più, contrariamente a quanto annunciato da stampa e televisione, i fondi stanziati per la bonifica sono così esigui da non essere sufficienti neanche per la recinzione dell’area inquinata.
Il discorso diventa ancora più chiaro quando si mette in evidenza la sovrapposizione tra potere politico o economico e potere mediale. Per illustrare questa sovrapposizione, si può sorvolare sull’ascesa al potere di Silvio Berlusconi e notare, piuttosto, che Nino Rovelli acquisiva già nel 1967 L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna per agevolare la penetrazione e l’insediamento della Sir in Sardegna. Non è poi di certo un caso che oggi l’immobiliarista Zuncheddu sia proprietario dell’Unione Sarda, e di altri importanti media isolani come Videolina e Radiolina, e che La Nuova Sardegna appartenga al Gruppo Espresso di De Benedetti. In altri termini, nella società di oggi, chi possiede o ha accesso ai media è un soggetto politico in grado di esercitare potere e colui che è in grado di fare politica è un soggetto mediale.
Dunque, per quanto le dinamiche di produzione simbolica di realtà non rappresentino un tema nuovo, occorre prendere atto della speciale coincidenza che si realizza oggi tra politico e mass-media ed evidenziare la capacità di questi ultimi di forgiare, immettere e far circolare nei circuiti dell’interazione sociale, laddove, cioè, la società si riproduce quotidianamente, rappresentazioni che avvallano le politiche rivolte alla collettività e al territorio in cui essa risiede.
A questo punto, la risposta alla domanda “perché un nuovo medium?” dovrebbe apparire più chiara. Infatti, Arrexini si propone di costituire uno strumento che abbia la capacità di aggredire il mainstream, inteso come concreto dispositivo di potere, e contemporaneamente di disseminare nuove narrazioni, nuova coscienza. Una nuova e diffusa coscienza è, infatti, una precondizione essenziale per riprendere in mano il proprio destino di classe e di popolo colonizzato.
Media, società e cultura
Per capire come condurre questa guerra di posizione, una lotta impari che ci oppone ai giganti dell’informazione e dell’intrattenimento (perché è soprattutto l’intrattenimento ad avere una presa coloniale sul nostro immaginario), occorre articolare una riflessione a più livelli. Innanzitutto, occorre evidenziare che per quanto i messaggi dei media penetrino nel corpo sociale, i media non sono un totem attorno al quale si costituisce la società. Del resto, la società non è un tutto organico dotato di un centro e di un comune sentire, ma, piuttosto, un collage di raggruppamenti differenziati, alcuni dei quali irriducibili all’opinione pubblica dominante. Inoltre, si deve notare come questi gruppi irriducibili provvedano, in modo molto spontaneo, a rivolgersi a canali d’informazione alternativi al mainstream e a generare le proprie forme di comunicazione. Insomma, per quanto sia corretto evidenziare la forza centripeta esercitata dal sistema massmediatico, bisogna tenere conto anche delle forti spinte centrifughe che l’attraversano. Si tratta dunque, a questo livello, di potenziare le reti sociali e comunicative esistenti, queste voci fuori dal coro che danno luogo a una secessione sociologicamente interessante.
I media non stanno al centro della società anche per un altro motivo. Infatti, l’esistenza di secessioni come quelle descritte avvalora la tesi che vede la società come qualcosa che rifugge i quadri normativi imposti dall’alto, compresi quelli veicolati dai media. In termini più immediati, intendiamo dire che gli individui re-incorniciano i messaggi generati dal mainstream sulla base delle proprie esperienze e della comprensione del mondo che da essa proviene. Andando oltre, si tratta allora di comprendere che dappertutto la cultura popolare costituisce quella roccia nera che blocca la completa assimilazione di un popolo o di un raggruppamento sociale ai modelli d’azione proposti.
Così si può sostenere che nel corpo sociale sia diffusa la capacità di farsi gioco o di riutilizzare le rappresentazioni stabilite. E’ anche a un sapere di questo tipo che si appella Arrexini.
Le società sono dunque dotate di anticorpi, ovvero capaci di produrre narrazioni e pratiche alternative a quelle proposte. Ecco, dunque, che a un’attenta analisi il gigante – mainstream appare quantomeno ridimensionato.
Per elaborare una strategia comunicativa, non basta avere un’idea delle linee di frattura che attraversano la società e della ricchezza pre-politica che essa nasconde. Occorre anche avere una chiara comprensione del contesto in cui si agisce, nel nostro caso la società sarda, della sua storia e degli equilibri di potere che essa ha sedimentato, delle condizioni materiali che fondano tali equilibri e delle vicende culturali cui è andata incontro. Solo in questo modo sarà possibile approntare una strategia comunicativa efficace.
Si tratterà, allora, di ricordare che la Sardegna è inserita all’interno di un sistema di potere che ha il suo centro normativo all’esterno dell’isola, nello Stato italiano e nell’Unione europea. Si dovrà anche ricordare che una frangia di questo potere coincide con la Regione Sardegna, uno strumento nella mani di una classe dirigente che avvalla le politiche elaborate all’esterno e sostiene gli interessi dei grossi gruppi imprenditoriali.
In questa sede, tuttavia, ci si può limitare a richiamare gli aspetti della questione sarda più direttamente pertinenti al nostro discorso, ad evidenziare, cioè, che l’attuale assetto di potere è stato costruito attraverso l’apporto determinante dei media. Così, la storia contemporanea della Sardegna può essere letta, come fa Michelangelo “Mialinu” Pira ne “La rivolta dell’oggetto”, come una storia delle trasformazioni sociali e culturali innescate dall’avvento di nuovi media. Se, infatti, come dice Mcluhan, “la diffusione di un nuovo media comporta un mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi […] nei rapporti umani”, ci rendiamo conto del fatto che i media hanno profondamente trasformato la società sarda nei suoi modi di produzione, nelle pratiche di consumo, negli stessi bisogni, nelle aspirazioni, individuali e collettive, e nel senso di appartenenza sviluppato dai suoi membri.
Lo stesso Mcluhan traccia un’interessante distinzione tra media freddi e media caldi: se da un lato, con il medium caldo abbiamo l’estensione di un unico senso fino a un’alta definizione, fino allo stato, cioè, in cui si è abbondantemente colmi di dati, dall’altro, con un medium freddo, abbiamo bassa definizione: un medium freddo genera una scarsa quantità di informazioni. La distinzione tra media caldi e media freddi non è solo una questione di definizione o di intensità. A diverse intensità mediali corrispondono diverse forme di coinvolgimento: con i media caldi, ad esempio, si ha poca partecipazione, perché chi riceve lo stimolo non deve poi fare un gran lavoro di completamento delle informazioni che riceve; un medium freddo generando invece una scarsa quantità di informazioni impone al destinatario una grande partecipazione, perché rende necessario uno sforzo di completamento.
Così i media caldi, cui è sempre connessa una specializzazione che ha l’effetto di dividere, detribalizzano, mentre i media freddi ritribalizzano in virtù della loro capacità di creare partecipazione cognitiva ed emotiva (dunque il raffreddamento è una precondizione necessaria allo sviluppo della coscienza).
Cosa sarebbe avvenuto dunque in Sardegna, utilizzando queste categorie come chiave di lettura?
Seguendo Pira e Mcluhan, si può parlare di una progressiva disgregazione del tessuto sociale isolano dovuta appunto
ai media o, più precisamente, del surriscaldamento di un contesto sociale costitutivamente freddo, basato sulla gestualità più che sulla parola, sulla dimensione orale dei contatti piuttosto che su quella scritta, su fonti normative interne, che coincidevano con la collettività del piccolo mondo del villaggio, una comunità sovrana che dava vita a un codice normativo espressione della volontà e dei bisogni collettivi.
Non si tratta, tuttavia, di abbandonarsi alla nostalgia verso un mondo che non c’è più e che non tornerà mai. Si tratta piuttosto di mettere in evidenza quel processo di surriscaldamento mediatico – ben visibile oggi nella pubblicità e nel sensazionalismo che affligge l’informazione e la stessa comunicazione politica – che atomizza la società, rendendola in questo modo più rispondente alle esigenze di sfruttamento capitalistico, e fa perdere al popolo sardo la consapevolezza necessaria per riprendere in mano le proprie sorti.
In breve, questo processo di surriscaldamento avrebbe favorito la rimozione del proprio passato storico da parte dei sardi, una sorta di ipnosi collettiva. Così oggi è necessario favorire la partecipazione di fette sempre più larghe di società a quel lavoro di conoscenza necessario per sbloccare il processo politico. Alla Sardegna serve dunque un medium freddo, capace di favorire partecipazione cognitiva ed emotiva e, dunque, di riaggregare.
Come agire? Ora, attraverso questi ragionamenti, si può rispondere in maniera più precisa alla domanda “come agire?”
In primo luogo, è chiaro che occorre richiamare e produrre un sapere alternativo rispetto a quello veicolato dalle narrazioni dominanti. In secondo luogo, si devono costruire presidi di comunicazione sul territorio, in maniera tale che siano gli stessi soggetti direttamente colpiti dai processi che investono la società e i territori ad offrire al lettore di Arrexini un punto di vista sui fatti. Solo in questo modo, creando, cioè, una rete capace di generare un messaggio mediale potente quanto quello dell’avversario, uno spazio di comunicazione capace di costruire legame sociale, si può pensare di riottenere agibilità politica.
Arrexini, dunque, mira a diventare un giornale open-source che si rifà al modello del giornalismo partecipativo.
Inoltre, per garantirsi maggiore partecipazione e penetrazione nel corpo sociale, bisogna saper parlare un linguaggio di massa ovvero è necessario evitare di ideologizzare il linguaggio. In questo modo si evita il rischio di ghettizzarsi e di ridursi a una condizione di marginalità.
Questo, si badi bene, non significa arretrare da un punto di vista politico, ma, più semplicemente, capire che i messaggi si rivelano più efficaci quando vengono codificati con un linguaggio semplice e diretto, che sappia, cioè, rivolgersi a quel senso comune individuato in precedenza come la ricchezza nascosta della società. Non bisogna neanche scadere nella mistificazione della realtà, piuttosto si deve sviluppare la capacità di utilizzare e far parlare i dati per fornire al lettore gli strumenti utili alla costruzione di una coscienza. In questo modo, sarà forse possibile far progredire lo stesso senso comune e trasformarlo in una vera e propria critica dell’esistente.
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