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Rivolta delle carceri, coronavirus, amnistia: FAQ contro il populismo penale

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Quali sono le ragioni della rivolta dei detenuti e dell’amnistia davanti alle contraddizioni del sistema carcerario esplose negli ultimi giorni?

 

La rivolta nelle carceri di questi giorni, come purtroppo si ripete di fronte ad ogni fatto sociale che rompa un clima di solidarietà nazionale ispirato da  questa o quella causa, mostra che anche la capacità di ragionare in maniera logica può essere facilmente travolta dal panico. In particolare ai tempi del Covid-19, quando la paura ha delle motivazioni comprensibili, anche se – anche in questo caso – mai giustificabili a prescindere dal caso concreto.

Dal leggere alcuni commenti sui social agli articoli con cui abbiamo seguito la rivolta degli istituti, ci è scaturita la necessità di rispondere in un testo articolato a molti dei temi emersi.

– Anche noi gente comune siamo “ai domiciliari” in quarantena, solo che i carcerati protestano e noi facciamo sacrifici

Benvenut* in una condizione che è già norma per centinaia di persone ben oltre le settimane/mesi in cui si prevede possa durare l’emergenza, che prevede ulteriori misure restrittive (come divieti di comunicazione e di visita) e che oltre a impattare su eventuali coinquilini vede ridursi alcuni margini relazionali presenti in carcere (ora d’aria, socialità con altri detenuti, attività..).

Senza contare l’uso che ne è stato fatto in via preventiva verso imputati poi rivelatisi innocenti – spesso attivi nei movimenti territoriali come il No Tav o per il diritto all’abitare – senza che il PM di turno fosse responsabile di tale danno alla libertà personale e sperpero di risorse pubbliche; e di cui ora tutt* noi, costretti in una condizione quantomeno raffrontabile, possiamo capire l’arbitrarietà e l’ingiustizia.

– La quarantena in carcere è per il bene dei detenuti/per evitare il propagarsi ulteriore del contagio!

Sostenere che la sospensione dei colloqui sia un provvedimento per la sicurezza e la salute dei carcerati quando notoriamente le carceri italiane sono interessate da sovraffollamento (oltreché da insufficienti standard igienici, di vivibilità e sicurezza di chi le popola) è una presa in giro gigantesca.

Per non parlare della libertà di entrare ed uscire dai penitenziari da parte dei secondini e degli altri operatori, e della condizione di quei detenuti che dovevano uscire a marzo/aprile dopo aver scontato la pena, ma non possono farlo perché le udienze di scarcerazione sono sospese. Se nelle televisioni si vede solamente ribadire di stare a un metro di distanza per evitare il contagio, come reagireste voi se foste in 50 in 10 metri quadri (se va bene?).

Tanto è vero che nella giornata di lunedì si sono ribadite indiscrezioni per le quali il  ministro Bonafede si è detto al lavoro per “rendere i colloqui sostenibili dal punto di vista sanitario” – come ad esempio garantendo (video/)chiamate o fornendo le carceri di mascherine. Ergo si poteva fare, ma non si è voluto – se non a seguito della lotta dei detenuti.

– Perché andare in presidio fuori dalle carceri? Bisogna evitare gli assembramenti!

A partire da questi dati scendere in piazza, rompendo l’isolamento che di fatto avevano di fronte le istanze dei carcerati, è un segno di enorme solidarietà e non certo di egoismo sociale. Si tratta di una questione di tutela degli standard minimi di rispetto della persona (per non citare il Vangelo “ero in carcere e siete venuti a trovarmi” come sicuramente farebbe qualche leghista) ma soprattutto della salute pubblica dentro e fuori i penitenziari, che non devono diventare lazzaretti – così come altre istituzioni “totali” come quelle di cura, sotto la responsabilità dello Stato o dei privati.

Pertanto, come possiamo pensare che proteggere delle vite valga più di proteggerne altre? La rivolta dei carcerati è dovuta a cause differenti, ma sicuramente ha giocato un ruolo enorme, sopratutto a Modena dove ci sono stati 9 morti (9!), la paura di essere contagiati dal virus. La protesta ha assunto le forme di una volontà di scegliere la vita di fronte alla morte, dato che l’ipotesi di un contagio in celle sovraffollate, visto quanto succede all’esterno è altissima – oltretutto nella completa latitanza di figure preposte ad appurare le condizioni degli istituti, a partire dai garanti dei detenuti fino ad arrivare ai politici ed al Ministro della Giustizia – in favore delle questure e delle loro veline.

Un presidio al fianco dei carcerati è un sostegno a chi sta urlando di non voler morire in una gabbia, privato dell’affetto dei suoi cari, e ha ben donde di essere preoccupato per essi come tutti noi.

– Perché l’amnistia è l’unica soluzione?

Il carcere è immediatamente collegato, nella narrazione mainstream, ai reati più gravi. Ma esistono diverse fattispecie, la cui natura delittuosa e l’estensione della pena sono anche collegate alle inclinazioni dei governi in carica in un dato momento (basti pensare che fino a pochi decenni fa era criminalizzato l’aborto).

La stragrande maggioranza della popolazione carceraria in realtà è composta da uomini e donne in attesa di una sentenza definitiva che passano anni ad aspettarla – tra iter burocratico-legali, detenzioni immotivate, oltre i termini e in presenza di errori giudiziari. E la detenzione in condizioni inumane spesso coincide con una doppia pena che si aggiunge a condizioni di sfruttamento e ricatto precedentemente vissute fuori.

Andrebbe infatti almeno ricordato il fatto che una società fondata sulla precarietà, sul ricatto tra permesso di soggiorno e lavoro, su un costo della vita spropositato produce di continuo, in particolare in fase di crisi economica, espulsioni dalla possibilità di sostenersi nell’ambito della legalità.

Persino nella cosiddetta criminalità organizzata (allo stesso modo della società fuori dal carcere) esistono imprenditori e manovali, e mentre i primi possono pensare alla quinta Mercedes piuttosto che ad assicurarsi una lunga e protetta latitanza non sempre per i secondi la propria condotta è una scelta – in particolare per quei cittadini di origine straniera o migranti la cui esistenza è già stata resa illegale di per sé da anni di legislazione in tal senso.

Per non parlare dei reati sociali: quelli compiuti in difesa dei territori e del diritto all’abitare, alla città, alla dignità esistenziale di tutt*, e inquadrati come tali dai decreti Minniti-Salvini. Secondo alcuni detenuti sociali come la No Tav Nicoletta Dosio “è’ necessaria una amnistia sociale che riguardi i reati connessi ai comportamenti dettati dall’aggravamento della povertà prodotto dalla crisi economica negli ultimi anni”.

– Ma poi torneranno in giro i criminali!

“Non tutti, ma molti di quelli che sono dietro le sbarre meritano di rimanerci”. Così recita una litania un pò stucchevole. Dal nostro punto di vista non capiamo chi dovrebbe essere il giudice legittimato a poter distinguere i casi. La giustizia è da sempre un tema di rapporto di forza, nel quale non è detto che chi vada dentro sia sempre lo stesso tipo di persona nel corso della progressione storica.

Sappiamo però che molto spesso ci vanno i più deboli della società. Sostenere che la legge sia uguale per tutti è ridicolo. Soprattutto in un sistema penale dove palesemente ciò non accade. Dove un reato come la corruzione aziendale è punito molto spesso con pene minori rispetto a quelle che sanzionano un picchetto messo in atto dai lavoratori per denunciarla – queste ultime, guarda caso, inasprite esponenzialmente dai decreti Minniti-Salvini.

C’è chi fa l’esempio dei mafiosi, degli evasori e di altri soggetti che senza dubbio non hanno nulla in comune con i detenuti politici o con la piccola criminalità. Soggetti che quindi DEVONO stare in carcere. Ci limitiamo a segnalare che gran parte dei colletti bianchi, grazie ai propri avvocati e al comportamento dei pm, ottiene facilmente altre formule lasciando a languire nelle galere quasi solamente i reietti. Su 10 carcerati, meno di 1 è Mario Brambilla, dirigente. I Ciro, i Vassili, i Karim, ex operai, precari, disoccupati, sono molti molti di più. Il carcere non è già oggi esito finale di tutti, anzi.

– Chi sbaglia deve pagareeeeeeeeeeeeee!!!

Fin qui si è evidenziato come la funzione degli attuali istituti cautelari sia inutile e potenzialmente pericolosa per la società nel suo insieme a livello di salute pubblica.

Questa osservazione e quelle sollevate nel punto precedente, anche rispetto a reati odiosi, restano però prive di mordente se non si considera l’orizzonte che regola i fatti giuridici nell’attuale civiltà capitalista globale (persino nelle sue differenti declinazioni “culturali” e nazionali) e attorno cui ruotano la determinazione e la somministrazione delle pene: quello della primazia della proprietà privata.

Questa non è da intendersi come proprietà personale delle risorse necessarie alla propria riproduzione (abitazione, cibo, effetti personali) ma come liceità per il singolo di imporre il proprio interesse a spese delle vite e dell’agibilità altrui in virtù della posizione di privilegio da essa conferita; che finisce per strutturare un sistema che può legalmente anteporlo, tra le altre cose, agli interessi collettivi, alle priorità di riproduzione dei viventi, all’integrità fisica e morale dei corpi altrui.

E’ quindi in una società che prefiguri o si adoperi per un superamento della proprietà privata che può darsi il superamento dell’istituzione carceraria. A fronte di un presente in cui essa non è certo ispirata alla rieducazione e alla riabilitazione del detenuto in QUESTA società, ma piuttosto come struttura che lo induce all’ulteriore marginalizzazione sociale e alla ricaduta nei comportamenti sanzionabili, e che in definitiva non fa che perpetuare sé stessa.

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pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

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