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Solo un gioco? Una contro-storia dei Mondiali di Calcio” – Ebook a cura di InfoAut

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A pochi giorni dall’inizio del Mondiale di Calcio in Russia, una delle più importanti manifestazioni sportive al mondo, come redazione Infoaut proponiamo questo mini ebook, che vuole raccontare alcune delle storie che si sono sviluppate intorno alle diverse edizioni della competizione. Storie molto spesso taciute dal battage mediatico che si muove intorno al torneo. Storie che fanno emergere l’intrinseca dimensione politica che riguarda il Mondiale, raccontate per brevi testi intorno ad ogni edizione della Coppa. A corredo, le interviste a Darwin Pastorin, uno dei più apprezzati scrittori e giornalisti sportivi del nostro paese, e a MinutoSettantotto, blog animato da gente che “si commuove con il diario di Bobby Sands e i gol di Zampagna”, per affrontare i rapporti sempre più importanti tra calcio, letteratura, politica, società. Attori sempre più politici e meno sportivi come la FIFA, calciatori ribelli, intromissioni di governi nelle vicende sportive, business dei grandi eventi, proteste collettive di massa…di tutto questo parla “Solo un gioco? Una contro-storia dei Mondiali di Calcio” che potete scaricare qui, e di cui pubblichiamo di seguito l’introduzione. Buona lettura.

Tra le conseguenze meno ipotizzabili della Pace di Westfalia, che nel 1648 mise fine alla Guerra dei Cent’Anni gettando le basi per l’affermazione di quelli che sarebbero divenuti gli Stati‐Nazione, potremmo annoverare i Mondiali di Calcio. La massima competizione calcistica esistente difficilmente avrebbe infatti potuto assumere il fascino che esercita sulla popolazione mondiale in un globo dominato dagli imperi, e quindi da poche rappresentative in lotta tra loro per alzare la Coppa.

Non a caso, la prima edizione del 1930 prende piede proprio a pochi anni dalla caduta delle istituzioni sovranazionali che ancora si rappresentavano in maniera tale: quello guglielmino tedesco, quello austro‐ungarico, quello ottomano, quello zarista. L’inizio della tendenza alla moltiplicazione degli stati sanciva l’ampliamento delle selezioni che disputavano l’accesso alla competizione, in una dinamica sempre più ampia nel corso del tempo ed esplosa definitivamente con la seconda guerra mondiale e i processi di decolonizzazione.

E’ proprio dagli anni Sessanta che il Mondiale intraprende infatti il suo percorso trasformativo verso l’istituzione sportiva globale che è oggi. Le immagini delle partite vengono teletrasmesse a tutto il mondo, e dal 1970 anche a colori, per quanto solamente in alcuni paesi (non in Italia). La FIFA, lungi dall’essere istituzione meramente sportiva, diventa quella macchina da soldi che all’oggi è tra le prime potenze economiche al mondo. Le assegnazioni del Mondiale da parte del massimo organismo calcistico globale sono eventi di rilevanza economica considerevole, e dietro ognuna di esse c’è una storia dietro di favori, ricatti, considerazioni geopolitiche.

Il Presidente della FIFA conta quasi più di tutti gli altri capi di stato al mondo, per il potere che ha tra le mani di spartire quattrini. Lo aveva intuito bene Kissinger, il famoso stratega della diplomazia americana a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, che si era fatto amico Joao Havelange, presidente brasiliano della FIFA e grande legittimatore in quel periodo dei peggiori regime change in America Latina, dal Cile al Brasile fino all’Argentina.

Un mondo di Stati è stato quindi precondizione affinchè il Mondiale avesse un senso. Ciò ha reso la competizione anche un innegabile fonte di consenso all’attuale architettura globale: sarebbe difficile immaginare Germania ed Italia giocare con una selezione mista, figuriamoci Brasile e Argentina, o Marocco e Algeria. Lo scontro tra identità nazionali è un profondo veicolo a passioni tristi e profondamente politiche che esondano nelle società, spingendo verso una messa a critica in questo contesto dell’idea di sostenere una selezione rispetto ad un’altra.

Ciò detto, non è scontato che le cose procedano sempre in questo modo. In fin dei conti, lo Stato altro non è che una particolare forma, storicamente determinata, di organizzazione del territorio. Ai giorni nostri, in cui i confini che definiscono le entità statuali allo stesso tempo si irrigidiscono e si dilatano, rispondendo in maniera differente ai flussi di carattere globale checercano di penetrarli, perchè non immaginare che in futuro un Mondiale tra selezioni delle regioni o delle megalopoli non possa essere possibile, visti i profondi processi di decentramento territoriale ed urbanizzazione
planetaria in corso?

Del resto, se le selezioni nazionali possono essere paragonati allo Stato, le squadre di club del mondo del calcio di oggi sembrano poter essere simili alle grandi imprese transnazionali che dominano l’industria e la finanza globale, di concerto con lo Stato stesso. Paris Saint Germain, Manchester City, Real Madrid, Manchester United, Barcellona, Bayern Monaco, Juventus sono ormai imprese a tutti gli effetti. Certo, non sono paragonabili ad Amazon, a Facebook o ad Alibaba, ma guadagnano giorno dopo giorno un enorme potere di influenza globale, dovuto alla potenza dei loro brand e all’attrattività che alcuni dei loro campioni, tra i più ambiti testimonial pubblicitari al mondo (Messi, Ronaldo, Neymar) hanno soprattutto sulla composizione giovanile.

Gli Stati stessi, anche qui come nel mondo reale, cercano in tutti i modi di sfruttare a livello economico l’indotto che queste grandi squadre generano: non a caso l’amministrazione della Liga spagnola si è esposta numerose volte sulla questione indipendentista catalana affermando che al di là dell’esito del processo politico, il Barcellona senza la Liga e la Liga senza il Barcellona sono assolutamente impensabili. Questione di profitti, che scavalcano le contrapposizioni politiche.

E’ difficile sostenere la tesi allora per la quale è meglio sostenere un club che una nazionale. Se il sistema‐calcio è pienamente integrato nelle complessive relazioni sociali di tipo capitalistico, sostenere qualunque club o nazionale è in teoria eticamente discutibile, anche se la questione è ben più complessa e striata, difficile da risolvere in poche righe. Meglio allora concentrarsi su un discorso più ampio, dove l’evento calcistico e sportivo, con tutto ciò che gli ruota intorno, è anch’esso possibile occasione ‐ attraverso la sua narrazione ‐ per esprimere un’idea critica sullo stato del mondo e delle relazioni sociali che lo descrivono.

Eduardo Galeano, nel suo capolavoro “Splendori e miserie del gioco del calcio” ci ricorda l’esigenza di uno sguardo critico sul calcio, ricordandoci come quest’ultimo abbia compiuto nel corso del Novecento un tragitto dal piacere al dovere, trasformandosi sempre di più in spettacolo, in uno degli affari più lucrosi del mondo, “che non si organizza per giocare ma per impedire che si giochi”. Marketing, attacchi di ogni tipo all’espressione libera della passione da parte dei tifosi, dominio delle pay‐tv e quindi di una narrazione sempre più attenta ad aspetti altri rispetto al gioco…tutti elementi di controllo e messa a valore di una passione popolare ormai risaputi e che si risolvono nella famosa formula “No al calcio moderno!”

Non a caso nel corso degli anni, in Italia come a livello globale, sono cresciute le esperienze autogestite e fuori dalle logiche del profitto nel campo del calcio e delle sport, che hanno costruito modalità di salvagurdare la passione e l’amore per il gioco dalle mani luride del profitto. Squadre di calcio popolare, palestre autorganizzate, esperienze di giornalismo e letteratura critica sui temi sportivi, stanno iniziando a creare un microcosmo, peraltro in forte espansione, capace di mettere a critica i meccanismi dell’industria sportiva e ad affermare la bellezza e la necessità di una lettura differente su questi temi.

Perchè allora un ebook sui Mondiali di Calcio? Perchè indubbiamente, al netto delle considerazioni esposte sopra, il Mondiale è ed è stato un’incredibile vetrina anche per chi rifiuta ciò che la FIFA fa passare attraverso l’organizzazione della competizione. Movimenti collettivi come quelli in Brasile ai margini dell’ultima edizione della coppa lo testimoniano. Così come anche prese di posizione singole, di calciatori come Sindelar, Carrascosa, Caszely sono entrate nella storia. Riuscendo a segnare il loro tempo, e agendo a livello simbolico in maniera tuttora potente: basti pensare al cordoglio mondiale per la morte di Socrates, il fenomeno brasiliano innamorato del pallone e del pensiero di Antonio Gramsci.

Come ci dicono i curatori di MinutoSettantotto nell’intervista contenuta all’interno dell’ebook, “come tutte le attività umane il gioco del pallone è profondamente inserito nel tessuto sociale, e ci sembra assurdo che ancora vada per la maggiore il leit‐motiv per il quale non si devono mischiare calcio e politica”. Il successo di questa pagina, e di tante altri blog e riviste di questo tipo, la dice lunga sulla richiesta sempre maggiore da parte degli appassionati di calcio e di sport in generale di narrazioni sul tema capaci di travalicare le pur degne analisi tecniche per approdare a discorsi complessivi sulla società.

Del resto è quello che hanno fatto fior fior di scrittori, soprattutto latinoamericani, impegnati nel ricondurre l’attenzione sul calcio e lo sport in generale al loro valore d’uso, attraverso un loro racconto eretico. Come ci ricorda Darwin Pastorin, anch’egli intervistato per questo ebook, citando le parole di Jorge Amado, “una buona partita di football rappresenta uno spettacolo straordinario di danza, con la caratteristica di trattarsi di una danza improvvisata in ogni suo momento da ventidue ballerini”. Per Pasolini, il calcio è “lo spettacolo che ha sostituito il teatro”, rito ed evasione allo stesso tempo.

Il calcio e lo sport, per quanto costretti nelle pastoie di un sistema capitalistico che li ha trasformati in macchine di profitti, hanno sempre in sè la tensione, in ogni partita, corsa, gara a ritornare all’originaria forma d’arte in cui consistono. Ed è di questo aspetto che, con queste brevi storie dentro e oltre ogni singola edizione del Mondiale, e con le interviste a corredo, vogliamo provare a parlare.

 

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