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Spagna – Il crollo del bipartitismo

Le elezioni del 25 lasciano in Spagna uno scenario di crisi di regime in cui lo scenario bipartitista crolla a vari livelli.

Il primo dato è che con una partecipazione del 45,84% (vicina al minimo storico), la somma dei voti di PP e PSOE non arriva al 50%. È la prima volta nel periodo democratico. Il PP (centro-destra) prende il 26% dei voti e il PSOE (socialdemocratici) il 23%; la “vittoria” per i primi non è tale, il disastro per i secondi è clamoroso. Se la tendenza si confermasse nelle elezioni comunali e regionali (tra un anno) e in quelle statali (nell’autunno del 2015), l’unica ipotesi di governabilità sarebbe la grande coalizione tra le due forze di regime. Un’ipotesi suggerita come ragionevole da dirigenti di entrambi i partiti… anche durante la campagna elettorale!

In Catalogna la partecipazione elettorale sale più del 10% (fino al 47,63%) rispetto al 2009 ed ERC (indipendentisti con un’origine di sinistra che governano insieme a CiU, di destra) diventa la prima forza politica della regione, legittimandosi così come leader del processo indipendentista. Non è una sorpresa, ma è comunque un piccolo terremoto: è anche la prima volta nel periodo democratico che ERC vince le elezioni, e lo fa a meno di un anno del referendum per l’indipendenza. Tra le due grandi forze del nazionalismo catalano, ERC è la più apertamente indipendentista. L’indipendentismo catalano, man mano più legittimato in ogni processo elettorale, sarà un elemento in più di tensione politica e instabilità istituzionale. Insieme alla mobilizzazione dell’indipendentismo si dà una crescita significativa di nuove formazioni unioniste a livello nazionale (come UPyD, che si consolida con un milione di voti e quatto seggi) e con particolare forza Ciudadanos, più radicato in Catalogna, che guadagna due seggi. Entrambi rappresentano il rinnovamento della destra spagnola.

Podemos, candidatura prossima ai movimenti nata a gennaio e articolata intorno alla figura mediatica di Pablo Iglesias, irrompe con più di 1,2 milioni di voti e cinque rappresentanti. Diventa quarta forza politica dello stato (col 7,97% del voto) dietro a Izquierda Unida (9,9%, sei seggi), che anche se triplica i suoi risultati precedenti ha poco da festeggiare. Il suo successo dimostra il bisogno di parlare un altro linguaggio oltre le identità vecchie della sinistra e indica la potenza dell’uso strategico delle figure di leadership mediatica (Pablo Iglesias, addetto a dibattiti politici nazionali, era il terzo candidato più conosciuto e il meglio valutato). Oggi è anche un buon momento per ricordare che il politologo iniziò con un programma proprio trasmesso via Youtube, mentre IU si lamentava (e si lamenta ancora) di non essere chiamata in televisione. Podemos è diventata la terza forza politica in regioni come Madrid, dove la somma dei suoi voti con quelli di IU supererebbe il PSOE. Podemos emerge sopratutto in regioni dove non c’erano nuovi partiti nati sopratutto intorno alla polarizzazione della componente nazionale, ma è comunque un fenomeno significativo in Catalogna e nei Paesi Baschi. Non a caso riconosce il diritto di autodeterminazione senza ambiguità (al contrario di IU). Merito di Podemos è aver dato vita a più di 400 circoli durante questi quattro mesi (strutture assembleari locali), realizzando un processo di primarie che ha coinvolto più di 30.000 persone e producendo l’immaginario di gente normale che fa politica, anche rappresentativa. Pablo Iglesias, nel discorso di celebrazione ieri sera, dopo aver preso cinque deputati quando i sondaggi ne assegnavano un massimo di due, ha detto: “i risultati sono stati ragionevolmente buoni” perché “i partiti della casta hanno subito un duro colpo, ma ancora non abbiamo adempiuto al nostro obiettivo. Domani governerà ancora la casta e ci saranno ancora sfratti”. Un discorso tanto sensato quanto insolito dopo decenni di subalternità della sinistra istituzionale: un discorso di maggioranza, di chi vuol vincere.

L’ultimo dato significativo che può passare inavvertito nei risultati globali è l’ascesa di EH Bildu, il partito della sinistra abertzale basca, dopo 10 anni fuori delle istituzioni europee (le diverse formazioni abertzale sono state rese illegali per non aver condannato esplicitamente l’ETA). Prende un deputato insieme al BNG (indipendentisti galleghi), ma sopratutto si conferma prima forza in Gipuzkoa (provincia dei Paesi Baschi, suo feudo principale) e anche Alava (la parte più “spagnola” della regione). È seconda forza in Bizkaia dietro il PNV (destra indipendentista) e anche in Navarra (regione rivendicata come territorio di Euskal Herria per l’indipendentismo), con un incremento spettacolare, dietro il PP. Ciò vuol dire che EH Bildu, una forza popolare e di rottura sociale, ha l’assoluta egemonia dello spazio della sinistra in Euskal Herria e minaccia quella dell’indipendentismo.

Un ultimo dato, aneddotico. Il Partito X si è mostrato come una bolla degli ambiti attivisti, non arrivando ai 100.000 voti. Anche riconoscendo il merito che ha avuto come sperimentazione formale e organizzativa, il suo esito ci mostra che senza impianto territoriale c’è poco da fare. E anche che, magari, c’è stato un eccesso di avanguardismo hacker nei suoi discorsi.

Insomma, la caduta del bipartitismo è stata più forte di quanto si poteva pensare. Il divario indipendentista si conferma sia in Catalogna che nei Paesi Baschi, con un giro a sinistra. I nuovi spagnolismi reazionari salgono, ma non tanto, e sembra che ci sia più spazio alla sinistra dal PSOE che alla destra del PP. Se si fanno le cose bene, una candidatura unica di rottura potrebbe seppellire definitivamente la socialdemocrazia del PSOE in questo anno e mezzo di ciclo elettorale… La sfida grossa verrà dopo, nei quartieri, nei centri di lavoro, nell’università e nelle piazze.

 

da: Commonware

Vedi anche il dibattito oltre le elezioni con interventi di Franco Piperno e di Carlo Cuccomarino

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