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Uber: capitalismo estremo con conducente “temporaneo”

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In questi giorni è tornata alla ribalta la questione ormai annosa della corporazione dei taxisti, un’evidente anomalia in un sistema capitalistico proiettato verso forme di sfruttamento diverso, più precario, fatto di ricatti e rischi accollati ai lavoratori, fornendo semplici tecnologie strapagate e prive di spese per mettere in contatto fruitore e fornitore di servizio, che sono scaricate (comprese la manutenzione) sui lavoratori spremuti e senza alcuna tutela. Lo scontro tra una casta come quella dei taxisti e Uber evidenzia un modello che organizza l’intera filiera sia produttiva che riproduttiva, in grado di usare questa rottura per ridisporre il lavoro su diverse basi e dove c’è un’organizzazione digitale del lavoro si riescono a dirigere tutti i passaggi capillarmente, abbassando tutte le tutele strappate in precedenza. Una peculiarità di questa new economy è che riesce a riorganizzarsi all’interno delle differenze, driblando pure in questo modo il sistema fiscale, quello stesso più volte paradossalmente evocato dai tassisti, che pure in quanto a evasione fiscale non hanno nulla da invidiare a nessuno.

Ovunque nel mondo, Uber è stato contrastato in mille modi, fino a inventare delle controApp, cercando di aggirare l’isolamento e inventando modi per conoscersi e incontrarsi, dimostrando come fosse importante la condivisione del posto di lavoro per compattare le masse al tempo del protocapitalismo. Ma l’orizzonte ora rimane ristretto, temporaneo – una temporalità dilatabile, su cui non si può costruire un’esistenza normale; non soltanto perché regolata da un algoritmo senza conoscere nemmeno i responsabili e organizzatori del proprio lavoro, i diretti superiori non li si vede mai.

Esattamente per orientarci meglio in questi universi paralleli, fatti di padroncini, arroccati a difesa di regole obsolete che finiscono per ritorcersi contro di loro impiccandoli al mutuo per pagarsi la licenza, da un lato, e dall’altro imprese multinazionali feroci che applicano le regole deregolative, prive di diritti per le maestranze, neanche riconosciute come tali, abbiamo cercato conforto dapprima in un articolo de “il manifesto” che riportava i fatti esplicitamente, ma senza aggiungere nulla a letture novecentesche del mondo del lavoro  e poi in uno stralcio de “il Sole 24 ore”, che invitava a superare l’impasse risarcendo con una mancia (riproducendo esattamente le letture precedenti alla rivoluzione digitale del capitalismo) i tassisti, invitati da “La Stampa” ad adeguarsi alla competizione, senza riuscire a risolvere il dilemma su quale campo sia più morale (sempre che esista una moralità nel capitalismo, antico come quello dei tassinari, o postmoderno, come quello di Uber), se esistano prospettive di normative condivisibili o meno (ma perlomeno esistenti o contro cui scagliarsi), o almeno da che parte schierarci; alla fine ci siamo rivolti a Floriano, un giovane ricercatore che si occupa proprio di queste nuove forme di capitalismo e riesce a districarsi nelle mille etichette di questo nuovo modello di capitalismo:

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da Radio Blackout 

 

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