Krisis UBER alles
Dopo sei giorni di proteste i tassisti hanno sospeso lo sciopero. Il governo non ha ceduto: l’emendamanto Lanzillotta, inserito furtivamente nel decreto milleproroghe e che aprirebbe alla liberalizzazione favorendo la crescita del colosso Uber, resta con in cambio la promessa di nuove norme di regolamentazione del settore entro un mese. Le associazioni di categoria, fatta esclusione per tre sigle, hanno firmato nella notte la fine delle ostilità, giusto poche ore prima dell’inizio dello sciopero dei mezzi pubblici nella Capitale. Gli ambulanti, che pure si erano uniti alle proteste dei tassisti, sono rimasti fuori dal tavolo ministeriale e dalla promessa di rimaneggiare, in riferimento alle loro istanze, l’emendamento che ha scatenato le proteste.
La radicalità e le proporzioni della piazza, i suoi tratti di profonda ambiguità, la capacità di paralizzare – per quanto temporaneamente – i flussi nella metropoli e l’unilateralità dell’iniziativa governativa sono alcuni degli elementi che maggiormente saltano agli occhi dopo sei giorni di mobilitazione culminati nell’assedio al Nazareno. C’è uno sguardo disabituato alle forme di una movimentazione sociale non più riconducibile – e per questo non immediatamente addomesticabile – a figure e forme del conflitto per l’integrazione. Quest’orizzonte, che promette una posizione di rendita sociale a corpi collettivi in cambio della loro messa a lavoro, sparisce dalle competenze della politica. La posizione del nostro sguardo davanti a questi fenomeni come militanti e trasformatori è quella degli spettatori: è questa sia un’imprescindibile confessione sia il dato limite di partenza. Spettatori ancora di frammenti di futuro relativi alle forme dello sciopero e dell’insubordinazione sociale nel tempo dell’irreversibilità della crisi.
Alcuni nodi:
1. I processi di mercificazione aggrediscono direttamente l’orizzonte proprietario dell’individuo borghese, frantumandolo nella sua natura di agente economico e soggetto d’impresa. Una figura esemplare quella del tassista: le licenze si aggirano sui 100 mila euro e i guadagni al mese possono raggiungere i 4000 euro, tolte le spese di gestione. La liberalizzazione svaluterebbe enormemente innanzitutto le licenze. Corporativi e conservativi. Questi gli appellativi attribuiti ai tassisti in rivolta nell’ondata di criminalizzazione che ha investito una protesta difficilmente circoscrivibile ma che comunque, contrariamente all’egoismo solitamente ascrivibile alle lotte per la salvaguardia di una rendita di posizione, ha attraversato uno spettro ampio del politico: dalla materialità del rifiuto di un attacco alla condizioni di vita fino al nemico collettivo responsabile di questo attacco, socializzando una contrapposizione. Quindi: corporativi e conservativi? Può anche darsi. Certo abbiamo sentito l’inno di Mameli, invettive contro la casta, simboli di mondi distanti… da noi e dai nostri piccoli arcipelaghi. Certo i tassisti guardano al proprio interesse, a resistere a un attacco che mina standard di vita, reddito e forse anche rendita, ma la contrapposizione tra figure proprietarie – il detentore di una legittima licenza – e non-proprietarie – come l’autista sotto Uber – mistifica la linea di uno scontro tra segmenti di classe schiacciati dal medesimo processo di gerarchizzazione. L’ideologia dell’auto-imprenditorialità parte dalla universale polverizzazione di un’individualità portatrice di garanzie, diritti e doveri nel contesto di un patto sociale complessivo. E’ su questo processo distruttivo che si apre una contrapposizione verticale tra chi ha potere e chi no, anche perché non c’è più una cerniera di scambio con la politica, incapace di ammortizzare un conflitto nel sistema di clientela o di svilupparlo in innovazione. Per questo a prevalere in piazza, al di là delle bandiere innalzate, era comunque una dimensione antistituzionale. I tassisti contro Uber, sono innanzitutto i tassisti contro il milleproroghe e contro una tendenza all’erosione di qualsiasi rigidità sociale, anche mediana, approfondita da tutti gli esecutivi che si sono succeduti in questi anni. E’ per questo che il tema della regolamentazione di una concorrenza sleale nel settore, denunciata da ogni predicatore del buon governo, nell’accelerazione neoliberista della crisi, di fatto non esiste o quantomeno rappresenta un falso problema. Tutto è aperta concorrenza sleale. Qui, con buona pace di Cofferati che invita a “stare con chi lavora e con chi utilizza un servizio alla ricerca di una sintesi”, la sinistra è fuori gioco perché non è sulla regolamentazione del lavoro che si gioca lo scontro. I processi in atto hanno già superato questo vincolo, puntano a una posta in palio maggiore in termini di omogeneizzazione delle dimensioni subalterne.
2. I fascisti. C’erano. Li abbiamo visti in faccia, li riconosciamo. È un segnale o un sintomo che tempi bui incombono? Più che a chi prova a rappresentare un processo, anche magari con la velleità di direzionarlo, siamo abituati a guardare prima ai comportamenti di classe per trarre indicazioni sull’esistente, specie se questo processo si dà nella forma di un mondo che esplode. Saltano dei riferimenti e una realtà si complica, franano delle certezze, ma certe cose possiamo affermarle con sicurezza. La resistenza a un processo di espropriazione ha sempre in sé il carattere della conservazione come prima istanza di contrapposizione. Ogni conflitto contro la modernità capitalistica resta un conflitto non dialettizzabile se preso al suo punto di origine, ma è sullo scontro e sul divenire dei processi innescati nella contrapposizione che si riconfigurano rapporti materiali, soggettività e aggregati di classe. Il ritorno a dimensioni di sovranità nazionale, speso ideologicamente agitate dalle compagini della destra fascista come antidoto agli effetti dei processi di liberalizzazione e internazionalizzazione dei mercati, ha già la forma della soluzione impraticabile: quella del ritorno a un mondo regolamentato. I più affezionati alla tradizione della sinistra riformista o di ogni economia di piano finanche comunista o supposta tale, non vantano una fantasia molto più sviluppata. Il punto qui non è stabilire se le lobbbies dei tassisti siano conservative o infiltrate dai fascisti, ma cogliere il dato che nessuno avrà più disposizione il suo mondo e combatterà prima di tutto contro chi glielo scippa. Questo terreno è il primo ambito di contesa, ma verso dove? Non ci sono risposte, certo nuovi mondi più violenti ma con condizioni più omogenee sorgeranno dallo scontro attuale. In autunno nel Regno Unito le lotte degli autisti Uber hanno portato all’assimilazione della loro figura a quella del lavoratore subordinato, con una serie di garanzie sindacali connesse, mentre negli Stati Uniti, in novembre, decine di migliaia di autisti Uber hanno fermato i propri mezzi in prossimità degli aeroporti rivendicando l’innalzamento del salario minimo. Non si tratta oggi però solo di uno scontro tra composizioni e della resistenza di una di questa a dei processi di livellamento: la protesta romana evoca, ci sembra, dimensioni politiche ulteriori nell’avanzare una minaccia di instabilità ai livelli del dominio e della politica che organizzano questi stessi processi.
Per quanto le ricorsività storiche lascino il tempo che trovano, anche il movimento delle piazze greco del 2011 sorgeva proprio su queste increspature in seno alla soggettività di classe, su queste molle come spinta a scendere in piazza, su alcune di queste opzioni politiche come ricerca di soluzioni. Fu su questo terreno che crebbe Alba Dorata così come si sviluppò il progetto di Syriza. A differenza di allora, il tema di un ritorno a un mondo governabile nella riappropriazione di livelli di sovranità istituzionale per conto della politica, non solo non ha più uno sbocco a sinistra – sancendone un tracollo storico – ma sembra essere stato risucchiato dalla crisi della stessa Europa.
3. La sharing economy – di cui Uber sarebbe campione – non è un modello di capitalismo redistributivo, smart perché organizzato su infrastruttura leggera o inesistente, vantaggioso perché capace di abbattere costi fissi e di consumo. Si tratta della dimensione contemporanea preponderante della valorizzazione di capitale nell’organizzazione dell’attività umana. La correlazione utente e prestatore di un servizio non aiuta a capire le caratteristiche di questo rapporto e interessa chi si preoccupa dei diritti dell’uno o dell’altro appellandosi, una volta di troppo, a piani della soggetività e di governo di questa, come visto, già frantumati. La sharing economy affina l’integrazione uomo-macchina nella app e questa correlazione definisce certo più adeguatamente scenari in cui la messa a lavoro nel consumo – nel connettersi – è già il codice e il comando di una cooperazione eso-organizzata. Ma non c’è solo questo! I “vincenti” di questo processo nella vulgata neo-liberista, ossia i driver che prenderanno il posto dei tassisti, ci parlano della forma che prende una ri-mercificazione delle soggettività in un contesto di profonda riorganizzazione del lavoro vivo da parte del capitale. Questa ri-messa a lavoro a dei livelli più bassi, senza garanzie, senza contributi, senza neanche salario è resa possibile da processi di espulsione che rendono persino auspicabile la nuova situazione. Ne vediamo per ora solo i prodromi, dai fattorini di foodora all’alternanza scuola-lavoro, dal “volontariato” obbligatorio dei richiedenti al servizio civile a 400 euro al mese come unico orizzonte giovanile, dal violento scaricarsi dei lavori di cura della società in crisi sulle donne agli stage non pagati per cui bisogna dire grazie. In questa doppia direttrice espulsione e ri-mercificazione dobbiamo però essere capaci di vedere la dimensione programmatica del capitalismo contemporaneo, il piano del capitale del nostro tempo, e cominciare a pensarla come terreno dello scontro possibile.
Ancora forse solo come frammento di futuro, la protesta di Roma ha comunque evocato la possibilità di colpire la dimensione nevralgica della mobilità nella metropoli nella quale i flussi e quindi la forma della stessa cooperazione sociale per la valorizzazione di capitale si snoda. Basta? No. Non ci sono soggetti che perseguono e si organizzano per fini autonomi in conflitto con quelli della riproduzione dell’esistente, ma c’è piuttosto un mondo che si trasforma contro la conservazione dell’esistente rompendo identità, garanzie, ristrutturando rapporti. Seguiamo delle piste, ma certo c’è un tempo irrevocabile di questa crisi che non restituirà nessun passato. Non ne avevamo comunque nostalgia.
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