Ultimi Romantici. Recensione di Ultras
Riceviamo e pubblichiamo volentieri…
Di Groucho
«Nel calcio come nella vita, non c’è nulla di romantico»¹
Dopo tanto hype sui social, qualche giorno fa è uscito Ultras di Lettieri, giunto al suo esordio cinematografico in seguito alla fama guadagnata con i video girati per Liberato e per altri nomi grossi della musica italiana. E, senza troppi giri di parole, non mi è piaciuto.
Nel merito del film, la regia rispecchia la grande attenzione alla fotografia e la cura del dettaglio tipica dei suoi videoclip musicali: dal punto di vista dell’estetica il film è meraviglioso – anche se bisogna ammettere che è merito soprattutto dei paesaggi offerti da Napoli. Inoltre, rispetto a questa visione esotica, superficiale e pacificata della città andrebbe forse aperta una riflessione su quanto questo “brand Napoli” sia funzionale ai processi di turistificazione e di gentrificazione che la metropoli sta subendo negli ultimi anni.
Il primo limite però sta nella trama, che già nel suo dipanarsi risulta un po’ scontata, forse proprio a causa della scelta di Lettieri di appropriarsi della controcultura ultras per romanzarla. E infatti il film paga questa operazione di banalizzazione nei confronti di una realtà che non vuole farsi raccontare o riprendere per una precisa scelta di mentalità. Figuratevi farsi scimmiottare con un romanticismo calcistico da divano targato Netflix, costruito sulle spalle di generazioni di ultras che hanno dedicato la vita ai colori della propria squadra, come testimoniano gli innumerevoli striscioni e scritte contro il film da parte del tifo organizzato napoletano.
«Per utilizzare un gruppo umano come capro espiatorio e come terreno di sperimentazione per strategie e tattiche applicabili […] a settori sempre più estesi della società, occorre stigmatizzarlo, semplificarlo, renderlo culturalmente fruibile».²
Sullo schermo appare la narrazione tossica e piena di pregiudizi che giornali, televisione e politica hanno creato dell’ultras: come ricostruito dal prezioso lavoro di Valerio Marchi³, un folk devil da offrire in pasto a un’opinione pubblica sempre alla caccia di untori, una figura dell’Alterità eccedente alle logiche del sistema-calcio che vorrebbe soggiogarla e che sconta l’odio nei confronti delle sottoculture giovanili e della marginalità sociale. Al riguardo, è doveroso chiedersi quanto questa narrazione degli ultras sia utile all’odiatissimo De Laurentis e la guerra da lui condotta contro una delle piazze del tifo più calde in Italia, in sciopero per mesi contro il caro biglietti e le nuove misure legate allo stadio e ai Decreti Sicurezza firmati Salvini.
«L’ultras, nei desideri del sistema-calcio, non deve sparire, non deve essere spazzato via da efficaci operazioni poliziesche da compiere lontano dagli stadi, ma essere costretto a svolgere il ruolo che gli è stato assegnato; deve restare al proprio posto producendo spettacolo ed emozione ma eliminando ogni scintilla di quella turbolenta».⁴
«In un mondo dove regnano i denari, c’è ancora chi carica a bastoni»
Insomma, Lettieri riduce la Curva ai cliché dei mostri da sbattere in prima pagina, con una scelta dichiarata di ignorare la complessità della questione per concentrarsi su un approccio emozionale un po’ insipido e superficiale. Il risultato è contribuire al luogo comune degli ultras, senza contestualizzarli nel sistema-calcio sottomesso al dominio economico e dello show business, che sta imponendo la progressiva trasformazione del tifoso in un passivo spettatore della pay-tv e/o consumatore facoltoso degli stadi/centri commerciali che portano il nome di banche o multinazionali. Un mondo del pallone sussunto dal capitalismo, nel quale le società sportive falliscono mentre girano miliardi tra merchandising, Borsa e sponsorizzazioni.
Questo non vuol essere un elogio acritico del fenomeno ultrà, ma una semplice richiesta di rispetto nei confronti di decenni di storia di un realtà complessa e densa di contraddizioni.
Per concludere con una riflessione, la scena del film che lascia trasparire un elemento di realismo critico è la combinazione tra il selfie e la torcia che da il via al climax tragico: come ha fatto giustamente notare Giuseppe Ranieri nella recensione pubblicata su SportPopolare, simboleggia la possibilità di un’autocritica che a partire dal culto dell’estetica e dal gusto dell’auto-rappresentazione potrebbe portare a una riflessione più ampia sullo stato di salute del movimento ultras:
«Ultras può rappresentare uno specchio deformato, probabilmente rotto in alcune parti, in cui con un po’ di scaltrezza potremmo riuscire a vederci in alcuni frammenti, ma siamo sicuri che riusciremo a cogliere l’immagine giusta e che questa ci piaccia?»⁵.
Quale futuro quindi si prospetta per il movimento ultras nell’epoca dei social e degli stadi con i cori registrati e gli striscioni digitalizzati?⁶
Non c’è nessun posto per il romanticismo o la nostalgia per un passato di vecchi valori, se non nelle riserve indiane degli ultras che il sistema-calcio perseguita attraverso la repressione e il caro biglietti: ultimi dei mohicani, ultimi dei romantici.
Forse, almeno secondo l’esperienza e la scelta di vita di chi scrive, bisognerebbe cominciare a ragionare seriamente sul calcio popolare⁷ così come sullo sport popolare in generale: un panorama che in Italia vede fiorire polisportive e squadre di quartiere in ogni regione, rivendicando uno strettissimo legame con il territorio e la fedeltà ai valori di Coerenza&Mentalità nella lotta contro il calcio moderno e le sue perverse dinamiche schiave dal Dio Denaro.
P.S.
[SPOILER] Straziante la detonazione nel finale, che ci ricorda che la polizia può sparare, e lo fa anche alla spalle, come successo con Davide Bifolco e Ugo Russo.
¹ Uccidi Paul Breitner, Luca Pisapia, Edizioni Alegre, 2018.
² Premessa di Wu Ming 5 a Il derby del bambino morto, Valerio Marchi, Edizioni Alegre, 2014.
³ Ultrà – Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa, Valerio Marchi, Hellnation Libri, 2015.
⁴ Il derby del bambino morto, Valerio Marchi.
⁷ Il calcio è del popolo – Geografia del calcio popolare in Italia, Davide Ravan, Bepress, 201
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