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“Voglia di ballare e non pensare più”. Sulla svolta disimpegnata dell’Indie

Riprendiamo da Le parole e Le cose questo interessante articolo di Antonio Francesco Perozzi sulla progressiva integrazione da parte del mercato musicale di un genere considerato per definizione altro come l’Indie. Il testo apre diversi spunti di riflessione non solo sull’esperienza dell’artista, ma anche su come e perchè cambia il mercato e sulla progressiva sparizione delle cosiddette “controculture”, tutti filoni di ragionamento che meriterebbero ulteriore esplorazione. Intanto buona lettura!

Qualche mese fa, mentre ascoltavo per la prima volta Dargen D’Amico intonare «fottitene, balla» sul palco dell’Ariston, quasi svogliato, nascosto nel sintomatico mistero degli occhiali, ho pensato che Dove si balla, nei loop dell’estate, ci avrebbe sgretolato i timpani. E invece non è successo. Per quanto quella canzone avesse tutte le carte in regola per sfondare sulle spiagge (cassa dritta e ritornello catchy, tema festaiolo, umorismo) alla fine hanno avuto la meglio le più disinvolte Shakerando e Hace Calor Remix. Ed effettivamente al secondo, terzo ascolto l’inno alla dance di Dargen appare complesso e sfumato, molto più sottile dei tormentoni estivi serializzati: «quando ballavi per strada» è al passato (qualcosa è scomparso), la musica si sente «in lontananza» e sulla festa prevale – alla fine – un frustrato e oscuro senso di solitudine.

Questa premessa per dire che il discorso che segue ha poco a che fare col ballo – nel senso stretto di movimento del corpo – e soprattutto ha poco a che fare con la profondità che può raggiungere una canzone che lo celebra. Neanche a dirlo, proprio il Battiato evocato dagli «incubi mediterranei» di Dargen ha fatto scuola in questo senso. Ma, appunto, il ballo. La festa. Una dimensione, cioè, in cui la cinesi prevale sulla teoresi, la dimenticanza di sé – a voler essere un po’ cinici – prevale sulla coscienza. E se da questo ballare fra i rottami Dargen (artista – si osservi in anticipo – di marca pop e rap) riesce a tirare fuori una cruda consapevolezza del disgregante stato post(?)-pandemico, di una rottura irreparabile con il passato, lo stesso non si può dire di altri artisti.

Il punto infatti è che negli ultimi anni una fetta rilevante della musica italiana sembra aver subito una mutazione ideologica, in direzione di un disimpegno e un individualismo che raggiungono l’apice comunicativo, spesso, proprio nell’elogio del ballo (non di rado associato alla repressione dei pensieri). Si potrebbe certo obiettare – e a ragione – che la musica ha di per sé a che fare con il ballo e il divertimento; ma è qui che viene in soccorso la specificazione che facevo prima su Dargen: artista pop. La mutazione di cui voglio parlare riguarda infatti un altro ambito, che, al contrario, dovrebbe di per sé proporre qualcosa di diverso rispetto alla musica come estasi. Intendo, chiaramente, l’indie.

Sappiamo che la parola indie si riferisce a esperienze ed estetiche musicali molto diverse, connotate in base all’epoca (decisamente più lo-fi l’indie dei ’90 rispetto al contemporaneo) e alla geografia (provate a confrontare, che so, gli American Football o i Sebadoh con ciò che in Italia intendiamo per indie), che risultano però originariamente accomunate da una radice “indipendente”, riguardante in particolare la produzione, la distribuzione, il merchandising – tutto volutamente “sottotono” (se non radicalmente do it yourself)[1]. Sappiamo però che anche questo aspetto nel tempo si è indebolito, e quindi, per accomodarci su una formula universalissima, possiamo chiamare “indie”, in Italia, quella scena che per certi versi ha raccolto l’eredità dell’alt-rock anni ’90 (CSI, Marlene Kuntz e dintorni), che poi si è ridefinita (soprattutto) con Canzoni da spiaggia deturpata de Le Luci Della Centrale Elettrica, e che infine si è trasformata in qualcos’altro.

Ora, qui non si ha intenzione di riflettere sulla riuscita estetica di questo qualcos’altro – e del resto già da tempo si parla di fine dell’indie in senso stretto, significativamente descritto, da un certo momento in poi, come itpop[2] – bensì considerarne alcuni aspetti ideologici che ci possono dire molto sul ruolo della musica nel nostro tempo post(?)-pandemico e quindi sul rapporto tra musica e politica. Per questa ragione ho esplorato la produzione di alcuni esponenti di peso della scena indie/itpop e ho messo a confronto dei campioni testuali, il primo tratto dalla produzione più vecchia della band in questione e il secondo da una canzone recente. Breve nota sui campioni: naturalmente lo spettro qui proposto è solo indicativo. L’analisi si potrebbe ampliare con ulteriori testi o ulteriori artisti. Anche in merito al lasso di tempo considerato, poi, si potrebbe discutere – io ho pensato di considerare il periodo che va dal 2008 (esordio di Vasco Brondi) al 2022 (anno corrente) e di prendere il 2015 come spartiacque simbolico (perché divide precisamente il periodo in due fasi di sette anni, e anche perché si tratta dell’anno di Mainstream di Calcutta, senza dubbio tra i dischi che maggiormente hanno influito sull’evoluzione dell’indie[3]). Di conseguenza, i due campioni per artista appartengono rispettivamente al pre- e al post-2015. Leggiamoli.

Fast Animals And Slow Kids

«Divento più grande / e cambio le sorti del mondo» (Combattere per l’incertezza, 2013)

«Adoro festeggiare i capodanni / adoro lavorare tutti i giorni» (Come un animale, 2021)

Zen Circus

«Il mio voto vale quanto quello di quest’imbecille / e allora cosa me ne frega delle vostre cinque stelle» (Viva, 2014)

«Lasciati attraversare / lascia che il mondo giri su sé stesso senza far rumore» (Caro fottutissimo amico, 2022)

Le Luci Della Centrale Elettrica/Vasco Brondi

«Vedrai che scopriremo delle altre Americhe io e te / che licenzieranno altra gente dal call center / che ci fregano sempre» (Cara catastrofe, 2010)

«Passerò ore in verticale sulla testa / o a meditare, a lasciarmi respirare» (Chitarra nera, 2020)

Lo Stato Sociale

«Mi sono rotto il cazzo che bisogna essere lavoratori flessibili / come ergastolani in tournée ma molto più sorridenti» (Mi sono rotto il cazzo, 2012)

«Una vita in vacanza / una vecchia che balla / niente nuovo che avanza / ma tutta la banda che suona e che canta» (Una vita in vacanza, 2018)

Thegiornalisti

«Il cyberbullismo, i nei sulle amni / il gas e la luce che non paghi neanche domani / la dinamite dei popoli a est» (Insonnia, 2014)

«Non voglio più pensieri / neanche più pensare / voglio solo, solo, solo / una casa al mare» (Una casa al mare, 2018)

Criminal Jokers/Motta

«Fucili e chitarre» (Tacchi alti, 2012)

«E come il mare alla fine / fai quello che ti va» (A te, 2021)

Pinguini Tattici Nucleari

«Italia, Italia che sei meno scontata / di una condanna di Berlusconi» (Italia Italia, 2014)

«Ma questa sera ho solo voglia di ballare / di perdere la testa e non pensare più» (Ringo Starr, 2020)

Come si vede, una virata verso la leggerezza. Molti artisti indie, nella seconda metà degli anni ’10, hanno sentito la necessità di spostare il proprio asse ideologico da quella critica sociale che – in modi più o meno profondi – era parte costitutiva della scena alternativa precedente verso una postura più disinvolta, che si fa forza su un desiderio di liberazione, sì, ma individuale, ubriaco e, talvolta, consumistico. Proprio quella posizione che era spesso bersaglio delle canzoni della prima ora («Pensa poco e ridi scemo che la vita è un baleno / ridi scemo e bacia tutti, prima o poi son tutti morti» satireggiava Appino, nel 2011, con I qualunquisti).

Chiaramente i percorsi individuali non possono essere giudicati da queste poche frasi, e del resto la svolta ideologica in senso apolitico non necessariamente coincide con una degenerazione estetica. Se pensiamo ad esempio a Caparezza (un artista non precisamente indie la cui fanbase, però, si è in parte intersecata con quella di Brondi e soci), osserviamo come la svolta individualista abbia coinciso con un’interessante maturazione di stile. E nel 2014, infatti, Capa sentiva ancora il bisogno di difendersi dalle accuse di essere «troppo politico», mentre la sua rinascita – fissata al 2017 – si è aperta con il ritornello spacca-radio di Ti fa stare bene. Se poi l’album di quell’anno, Prisoner 709, risultava forse un po’ troppo ripiegato su se stesso, il successivo Exuvia (2021) si distingue per essere uno dei più riusciti, a livello musicale, dell’artista di Molfetta. E lì l’impianto metaforico è tutto autobiografico ed esistenziale: l’acufene, di cui Salvemini ha iniziato a soffrire, è convertito in un dantesco e surreale «viaggio nella mia testa»[4].

Questo per dire, insomma, che la posizione impegnata non significa automaticamente valore estetico (e ci possiamo interrogare anche sull’effettiva autenticità dell’engagement della prima fase), dunque che i percorsi dei singoli artisti hanno – anche – le loro interne ragioni. Il clima new age di alcuni testi dell’ultimo Brondi – che significativamente non si firma più Le Luci Della Centrale Elettrica – è di certo connesso al suo avvicinamento allo yoga[5]; i Pinguini Tattici Nucleari hanno sempre adottato un’autoironia che complica l’individuazione del loro preciso punto di vista; la contraddizione tra etica della nicchia e desiderio del successo che da sempre si trova nelle canzoni de Lo Stato Sociale[6] è confluita negli ultimi anni in un elettropop più sbracato e chiassoso rispetto a quel cantautorato elettronico in stile Offlaga Disco Pax che li caratterizzava agli inizi.

Ma ciò che conta, in questo discorso, sono le tendenze. E astraendo (per quanto possibile) dalle carriere dei singoli, non si può non osservare una generale adesione al modello dimissionario. Comprendere le ragioni di questa trasformazione è complesso. Senza dubbio le restrizioni pandemiche hanno rafforzato una sensazione di claustrofobia che vuole risolversi catarticamente nel sogno della festa: lì, la musica svolge effettivamente un ruolo liberatorio (benché ancora umorale e non incisivamente politico). Tuttavia si comprende già dagli esempi fatti come la mutazione sia antecedente alla pandemia, ed è dunque possibile cercare ulteriori ragioni. È chiaro, innanzitutto, che le generazioni più giovani si trovano in una strettoia: da una parte l’insofferenza per lo stato presente, dall’altra la difficoltà storica di aderire realmente a una posizione (mood già presente nel pioniere Brondi – pensiamo a un titolo emblematico come La lotta armata al bar – e del resto alimentata da una politica istituzionale che tende a proporsi come aideologica e “neutra”). Uscire da questa impasse risulta problematico (ed ecco che l’autoironia può essere percepita come unica, schermante, forma di autenticità) ma pare che molti sviluppi recenti non rispondano esattamente a una difficoltà, bensì abbraccino l’individualismo con convinzione: il brondiano «lasciarmi respirare» e l’appiniano «lasciati attraversare», a prescindere dalle profondità esistenziali che possono toccare, suonano come esortazioni passivizzanti, felicemente rinunciatarie. «Il piacere del divertimento promuove la rassegnazione che vorrebbe dimenticarsi in esso», scrivevano Adorno e Horkheimer[7].

Qualcosa, allora, deve essere cambiato anche all’interno del mondo musicale. Qualcosa che si potrebbe inquadrare, volendo, con le lenti di quella dialettica tra momento eroico e momento cinico dell’avanguardia (si passi il termine in questo contesto) di cui parlava Sanguineti in Ideologia e linguaggio: «l’aspirazione eroica e patetica a un prodotto artistico […] che sia insomma commercialmente impraticabile, e il virtuosismo cinico del persuasore occulto che immette nella circolazione del consumo artistico una merce capace di vincere, con un gesto sorprendente e audace, la concorrenza indebolita»[8]. Quali che siano le ragioni sociologiche, esistenziali, individuali che hanno guidato questa trasformazione (possiamo immaginare un intreccio tra questi livelli) l’effetto è, di fatto, che ciò che si presentava come alternativa nella musica degli anni 2008-2015 è stato poi interamente assorbito dal mainstream[9]. E c’è un momento che forse più di altri ha rappresentato l’allegoria perfetta di questa fagocitazione: Elettra Lamborghini che a Sanremo 2020 coverizza Non succederà più di Claudia Mori in duetto con Myss Keta. Una rappresentante del mainstream più sconfessato, a matrice reggaeton, flirta con la regina della Milano underground, canta con lei un classico della leggera italiana, simulano un bacio[10]. L’iconografia perfetta di questa fusione, se consideriamo anche lo scenario dell’Ariston, palco nazionalpopolare per eccellenza ma completamente rivalutato dall’“alternativa” degli ultimi anni[11].

Ecco, dunque, il punto: l’alternativa. Che l’engagement atteggiato possa produrre una posizione goffa e inautentica è indubbio – ma altrettanto indubbio è che uno spirito antagonista sia immanente al rock fin da quando è nato (e di più da quando è rinato attraverso il punk) e che risulti particolarmente efficace – grazie all’immediatezza, all’impeto – nel creare coscienza di gruppo e rivalsa. Se proprio la squadra che dovrebbe promuovere questo antagonismo finisce per sognare i contesti e i premi del mainstream, quindi per giustificarsi ideologicamente con una filosofia del disimpegno, vuol dire che qualcosa si è rotto. E occorre perciò interrogarsi sugli effetti della dissipazione di una spinta straniante (in senso brechtiano) all’interno del panorama musicale, ormai del tutto organico a una certa ideologia. Perché fuori da questo groviglio di sanremismo e rinnegata indipendenza rimangono la contestazione eventuale di isolati e sparuti oppure la riottosità che i trapper risolvono in un nichilismo autodistruttivo e para-criminale. Troppo, troppo poco.

[1] https://www.treccani.it/vocabolario/indie_%28Neologismi%29/#:~:text=agg.,signore%20e%20padrone%20della%20Miramax%3F

[2] https://www.treccani.it/vocabolario/itpop_%28Neologismi%29/

[3] https://www.rollingstone.it/rolling-affairs/news-affairs/calcutta-sul-nuovo-numero-di-rolling-stone/407192/#Part1

[4] https://www.rockol.it/news-722067/caparezza-intervista-album-exuvia-e-su-fellini-scarface-e-marracash

[5] https://www.vascobrondi.it/pratiche-corporee-creative-e-contemplative-vasco-brondi-yoga/

[6] «Sono così indie che ho riportato in voga le camicie a quadrettoni / perciò, cari amici miei non curanti del look / occhio che tra poco si torna di moda» (Sono così indie, 2010)

[7] M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Torino: Einaudi, 2010, p. 151.

[8] E. Sanguineti, Ideologia e linguaggio, Milano: Feltrinelli, 1970, p. 62.

[9] Buoni osservatorî di questa integrazione possono essere festival e case discografiche. Pensiamo che un contesto politicamente orientato (almeno in teoria) come quello del Primo Maggio a Roma negli ultimi anni ha ospitato contemporaneamente artisti mainstream e itpop (ad esempio La Rappresentante Di Lista e Max Pezzali nel 2022, Tre Allegri Ragazzi Morti e Fedez nel 2021, Lo Stato Sociale e Fabrizio Moro nel 2020…). Quanto alle etichette, invece, si osserva sul finire degli anni ’10 il salto alla major da parte di molti esponenti dell’indie (i FASK escono con Warner nel 2019, gli Zen Circus con Universal nel 2020…), di fatto in controtendenza con ciò che l’indie, per essenza, è.

[10] https://vimeo.com/396323295

[11] Basta pensare che dei sette artisti presi qui a campione ben cinque hanno partecipato a Sanremo dopo il 2015.

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