G8 Genova 2001: sull’estradizione di Vincenzo Vecchi deciderà la corte appello di Lione
La Cassazione francese rinvia di nuovo la decisione sull’estradizione di Vincenzo Vecchi. La Corte di Lione prenderà la decisione definitiva sul mandato di arresto europeo contro l’ultimo manifestante condannato per gli scontri al G8 di Genova. Gli avvocati della difesa: «Non è finita. Continueremo a combattere»
La Cassazione parigina ha annullato la decisione della Corte d’appello di Angers che aveva negato l’applicazione del mandato d’arresto europeo (Mae) per Vincenzo Vecchi, 52 anni. Nel 2020 i giudici avevano rifiutato di consegnare all’Italia l’ultimo manifestante condannato per gli scontri al G8 di Genova che deve ancora scontare la sua pena: 12 anni di carcere, di cui 10 per devastazione e saccheggio.
Gli avvocati di Vecchi, che nell’agosto 2019 è stato arrestato in un paesino della Bretagna, hanno sempre insistito sulla mancanza di un corrispettivo nell’ordinamento giuridico francese del reato introdotto in Italia dal regime mussoliniano. I giudici di Rennes prima e Angers poi hanno dato loro ragione dicendo due volte No alla richiesta di Roma. Il procuratore generale della seconda città, però, ha presentato ricorso in Cassazione. Questa ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di interpretare alcuni punti del Mae. Il tribunale del Lussemburgo ha fornito una spiegazione restrittiva del principio della «doppia incriminabilità», cioè del requisito secondo cui il reato deve essere riconosciuto anche dal paese che dà esecuzione al mandato d’arresto.
In questo caso, dei sette elementi costitutivi la devastazione e il saccheggio cinque sono riconosciuti anche in Francia. Per la Cassazione parigina il diritto dell’Unione europea si impone su quello nazionale e dunque rispetto alla vicenda specifica ha dedotto che non è necessaria la mancanza di corrispondenza perfetta dell’infrazione tra i due ordinamenti. Ha così rimandato la decisione definitiva sulla consegna di Vecchi alla Corte di Lione, che dovrà esprimersi prossimamente.
Era una delle quattro possibilità a sua disposizione. Le altre tre: sollevare una questione di priorità costituzionale al Consiglio costituzionale (come chiesto dai legali di Vecchi); confermare la decisione della Corte di Angers; disporre direttamente il trasferimento in Italia.
«La questione di costituzionalità è stata rigettata – afferma l’avvocato Maxime Thessier – La Cassazione si inclina davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Useremo tutti i mezzi giuridici a nostra disposizione». Per Thessier è ancora possibile che il giudice di Lione neghi la consegna alle autorità italiane. «Continueremo a combattere per questo», afferma. Dopo la sentenza di ieri, però, la strada sembra segnata e le possibilità che a Vecchi sia risparmiato il carcere sono drammaticamente diminuite.
«La decisione della Cassazione “modella” la nostra Costituzione e calpesta i diritti fondamentali. L’accanimento continua», commenta il comitato di solidarietà con Vecchi. «Questa nuova tappa è un cattivo segnale per lo stato dei diritti e delle libertà in generale. Se questa giurisprudenza sarà confermata la Francia potrebbe ritrovarsi costretta a estradare persone condannate per dei fatti che non sono condannati nel nostro paese», scrive il partito di opposizione Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale (Nupes).
“Quando è iniziato il suo esilio, Vincenzo si è trovato di fronte a una sfida immensa: farsi una vita, senza una rete di sostegno, in una condizione di clandestinità, senza documenti né conoscenza della lingua del Paese in cui si trovava” spiega Viviana, la sua compagna. “A poco a poco si è adattato perché ha un senso di collettività che può fare qualsiasi cosa. Anche per questo è stato amato“, aggiunge. La prova è nei fatti: subito dopo l’arresto, a Rochefort-en-Terre, il paesino di 600 abitanti in cui viveva, nacque il primo Comitato di sostegno di Vincenzo. Ci sono state manifestazioni davanti ai tribunali fino al suo rilascio.
Ma la questione è andata ben oltre la cittadina bretone, è diventata una vicenda, un caso. Alla fine di settembre 2022, la Lega per i diritti umani ha rilasciato una dichiarazione di solidarietà in cui affermava che l’intero caso è una “vendetta giudiziaria per una persona perfettamente integrata nello Stato francese da dieci anni“.
A sostegno di Vecchi si sono schierate anche diverse personalità influenti del mondo della cultura, come la vincitrice del Premio Nobel Annie Ernau. Lei, insieme ad altri scrittori e personalità, ha pubblicato un articolo in cui ha definito il reato di devastazione e saccheggio un “dispositivo fascista ben lontano dal diritto democratico” e “una minaccia alle libertà pubbliche e al diritto di manifestare”. Anche 76 parlamentari della Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale hanno firmato una lettera di solidarietà all’attivista italiano. E anche il leader dell’opposizione Jean-Luc Melenchon ha dichiarato che “sarebbe di cattivo auspicio vedere Giorgia Meloni salire al potere in Italia, patria dell’umanesimo, e avere come primo rapporto con la Repubblica francese la resa di coloro che non hanno commesso alcun reato”.
Genova non è finita. Secondo Amnesty International, quanto accaduto nel luglio 2001, al controvertice del G8 a Genova, è stata “la più grande violazione dei diritti umani e democratici in un Paese occidentale dal secondo dopoguerra“. Dichiarazione rafforzata dalle tre condanne pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo allo Stato italiano, per le torture perpetrate dagli agenti di polizia e il trattamento disumano dei manifestanti. Alcuni eventi che si possono riassumere con cifre terrificanti: 600 feriti, 360 arresti, 25 milioni di danni e, soprattutto, la morte di Carlo Giuliani. Ma Genova, non è ancora finita. Dopo più di vent’anni da quegli eventi, ci sono ancora persone in carcere, come Marina Cugnaschi o Francesco Jimmy Puglisi, arrestato a Barcellona nel 2013. Anche il caso di Vincenzo Vecchi, che potrebbe subire un drastico cambiamento di vita alla vigilia della sua cinquantesimo anniversario per decisione giudiziaria, è un altro tassello della complessa repressione che dal 2001 non si è ancora conclusa: «Abbiamo dovuto imparare a convivere con il disturbo mentale che è la repressione», conclude la compagna Viviana.
21 anni dopo le manifestazioni e gli scontri, la violenza delle forze dell’ordine e l’omicidio di Carlo Giuliani, Genova non è ancora finita.
La corrispondenza di Radio Onda Rossa con un compagno del Comitato di sostegno per Vincenzo – Ascolta o Scarica
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