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Sull’uso politico e sociale del 41 bis

Il 41 bis è un regime di carcere duro nato per isolare il prigioniero e spingerlo alla collaborazione con la Giustizia.

Fu istituito con la legge Gozzini del ‘75 con l’obiettivo di contrastare i casi di rivolta e gravi situazioni di emergenza all’interno degli istituti penitenziari, pretendendo la sospensione dell’applicazione “delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati” per un tempo limitato alla “necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza” . Nel 1992, dopo la strage di Capaci, venne esteso ai detenuti per mafia con l’obiettivo di limitare le comunicazioni in entrata e in uscita dal carcere. La misura aveva comunque carattere temporaneo, la sua efficacia era limitata a un periodo di tre anni. Dal 2002 viene applicato come strumento di repressione politica anche ai condannati per terrorismo ed eversione. Nonostante il regime detentivo sia nato per ragioni emergenziali e con periodi di durata limitati, con il passare degli anni si è naturalizzato e strutturato come misura di carattere stabile. Il governo Berlusconi ha modificato la temporaneità prevedendo il regime carcerario per un minimo di un anno a un massimo di due. La legge 94/2009 ne ha modificato nuovamente i limiti, tuttora in vigore, infatti il provvedimento può durare quattro anni con eventuali proroghe.

I detenuti sono tenuti all’interno delle stesse carceri in luoghi di isolamento specifici, solo alcune strutture sono adibite a tale scopo e sono poste appositamente in aree geograficamente isolate, spesso insulari.

Per protestare contro le condizioni carcerarie sono stati vari gli scioperi in tutta Italia: numerosissime le detenute del carcere Lorusso Cotugno a Torino che dal 24 agosto hanno attuato uno sciopero della fame intermittente; da una settimana Alfredo Cospito nel carcere di Sassari ha iniziato – in opposizione al 41 bis e l’ergastolo ostativo che lo vede coinvolto – e anche Juan Sorroche ieri si è unito in solidarietà, annunciando lo sciopero.

Secondo il comunicato degli avvocati Albertini e Pintus : Alfredo ha deciso di “intraprendere una battaglia che, dalla volontà espressa dal medesimo, non si arresterà se non con il suo decesso, stante la verosimile impossibilità di modificare il regime detentivo a cui è attualmente sottoposto”. Emerge come i giudici hanno alternato qualificazioni giuridiche contrapposte riconducendosi in parte alla abrogata propaganda sovversiva, in parte all’istigazione a delinquere: “dimostrando la labilità del confine tra le due fattispecie incriminatrici, nonché il delicato tema dei reati di opinione posto a confronto con diritti di rango costituzionale” affermano i legali. A Cospito non è più permesso di accedere a libri e riviste, partecipare a dibattiti pubblici mediante contributi scritti e benché meno avere momenti di socialità. Non riceve alcuna corrispondenza, quelle in entrata sono tutte trattenute e quelle in uscita soffrono dell’autocensura del detenuto stesso.

Alfredo aveva provato a leggere la sua dichiarazione per spiegare le ragioni della sua lotta ma è stato fermato dal giudice che gli ha impedito di concludere spegnendo l’audio del microfono, bloccando l’ultima opportunità di comunicare con l’esterno prima dell’applicazione del regime di carcere duro.
Ieri mattina è stata occupata la sede italiana di Amnesty International a Roma da parte del collettivo che sostiene Cospito, in solidarietà con il prigioniero.

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