Da Milano a Torino e in molte altre città italiane cortei chiedono giustizia per Ramy
Dopo la pubblicazione del video dell’inseguimento dei carabinieri nei confronti di Ramy che ne ha procurato la morte, la reazione da parte dei giovani di moltissime città italiane è stata quella di scendere in piazza per chiedere giustizia.
Questo evento drammatico porta con sé diversi livelli di riflessione e impone la necessità di agire ma anche di ragionare in prospettiva. La violenza delle dinamiche capitaliste nella società si traduce nelle sue varie articolazioni statali, burocratiche, mediatiche e poliziesche. Il tema di una polizia e di una giustizia razziste si interseca con la questione dell’oppressione dei giovani, della mancanza di prospettive e di senso nell’esistente capitalista. Ci sono vite che valgono meno di altre, ci sono soggetti che assumono ruoli e funzioni utili alla riproduzione dello sfruttamento e pochi spazi di valorizzazione che riescano a sviluppare reale emancipazione.
Se da un lato, l’espressione di questa dimensione soggettiva si trasforma nella legittima e immediata rabbia nei confronti del simbolo della violenza dello Stato, dall’altro lato, ci sono dinamiche più profonde che vanno indagate e comprese su cui si dovrebbe agire sul lungo periodo. La presa di parola della famiglia di Ramy è significativa perché indica che la possibilità di rendere politica una morte come questa non è un passaggio automatico, occorre allora guardare laddove ci sono delle possibilità reali in questo senso. Se guardiamo alla Francia, perché il pensiero è spontaneo, la leva che ha fatto sì che le cosiddette “morti per niente” diventassero terreno di lotta è riconducibile all’autonomia e alla capacità politica di soggetti, perlopiù di genere femminile, che sono state in grado di politicizzare questi eventi familiari drammatici. Assa Traoré, sorella di Adama Traoré morto in un commissariato a Beaumont-sur-Oise nel 2016 per essersi sottratto a un controllo di identità, è solo uno degli esempi di queste storie. Oggi i movimenti di Verità e Giustizia sono in grado di chiamare a delle iniziative di mobilitazione anche quando l’evento tragico è conseguenza della violenza orizzontale, tra pari.
In questo video di Echo des Banlieues, girato durante una manifestazione a seguito di una rissa tra ragazzi davanti a un liceo a Parigi finita con un sedicenne morto e con un altro, sospettato di aver accoltellato il suo coetaneo, in carcere le famiglie dei giovani prendono parola. “I nostri giovani non devono uccidersi tra di loro e, se lo fanno, la responsabilità non può essere data soltanto ai genitori, ma è responsabilità di tutti, di tutti gli adulti che hanno intorno. Perché riguarda la casa, la scuola, i centri sportivi, ovunque. E soprattutto la prima responsabilità è quella della società e dello Stato. Perché cosa ne fanno di questi giovani?”
Chiaramente la storia del nostro Paese è specifica e particolare e non può essere paragonata a contesti che con uno sguardo superficiale possono sembrare simili, la storia di neocolonialismo interno si sviluppa su altri piani e la possibilità che emergano delle lotte autonome dipende da molti fattori. Ciò di cui ci si dovrebbe iniziare a preoccupare è di creare gli spazi di possibilità per approfondire l’emergere di soggettività in grado di liberarsi dallo sfruttamento e dalla strumentalizzazione, ad esempio intervenendo laddove le destre hanno gioco facile a cavalcare la questione della “sicurezza” oppure agendo altre forme di socialità e aggregazione che marginalizzino la valorizzazione nel denaro, nel consumo, in particolare di sostanze, nella prevaricazione, sono solo alcune delle sfide da riattualizzare nel contesto attuale.
Di seguito riportiamo alcuni contributi in merito alle piazze per Ramy di questi giorni
La Procura di Milano valuta di contestare a uno o più carabinieri l’omicidio volontario con dolo eventuale nel caso di Ramy, il 19enne ucciso a novembre in via Ripamonti, dopo le immagini del Tg3 che mostrano chiaramente lo speronamento volontario della gazzella contro lo scooter, provocando la morte di Ramy e il ferimento grave dell’amico Fares.
Oggi, giovedì 9 gennaio, è stata effettuata la copia forense del telefono di Omar, testimone minacciato dagli stessi carabinieri affinchè cancellasse i video di quanto accaduto.
Semlre oggi a Milano, con le parole d’ordine “Giustizia per Ramy e Fares, la vostra sicurezza uccide, la polizia uccide”, circa 2mila persone sono partite in corteo da piazza XXIV Maggio poco prima delle ore 19.
Radio Onda d’Urto ha raggiunto telefonicamente Alice, compagna del centro sociale Magazzino 47 di Brescia, per una corrispondenza dal corteo milanese per Ramy e Fares.
Anche a Torino si scende in piazza per esigere giustizia per Ramy e Fares: appuntamento stasera, giovedì 9 gennaio 2025, ore 19.30 in Porta Palazzo.
Ai nostri microfoni è intervenuta Barbara, del Collettivo Universitario Autonomo di Torino.
A Milano, poi, si replica sabato 11 gennaio: appuntamento per un nuovo corteo alle ore 17.30 in piazza San Babila, lanciato da centro sociale Cantiere e Coordinamento Antirazzista.
Si scenderà in piazza anche a Brescia: Associazione Diritti per tutti, Magazzino 47 e Collettivo Onda studentesca organizzano un presidio per sabato 11 gennaio alle ore 17 in piazza Vittoria.
L’intervento di Umberto Gobbi, redattore di Radio Onda d’Urto e dell’Associazione diritti per tutti.
VERITÀ E GIUSTIZIA PER RAMY _ IN MIGLIAIA A TORINO
comunicato del Collettivo Universitario Autonomo – Torino
La vicenda di Ramy ha toccato molti di noi. Ramy era un ragazzo come tanti, nel quale molti giovani possono rivedersi. La sua morte ci ha sconvolto ma non stupito. La violenza che ha tolto la vita ad un giovane egiziano di 19 anni è strutturale e affonda le sue radici in una società colma di ingiustizie, disuguaglianze e abusi ad opera delle istituzioni e delle forze di polizia; questa brutalità la viviamo ogni giorno, perciò ci è stato impossibile fin da subito ipotizzare che si trattasse di un incidente l’evento che tragicamente è successo. Quello che si vede soprattutto in quei video è che quegli agenti, mentre provavano a speronare Ramy e Fares, hanno agito e parlato con la naturalezza di chi è impunito da tutta la vita. Il modo in cui le forze dell’ordine si comportano dà la misura del valore che le nostre esistenze hanno per lo Stato e per le sue istituzioni: questi organi non rispondono mai ai bisogni reali delle persone ma compaiono solo quando c’è da criminalizzare o proporre il carcere come soluzione ad una crisi sociale sempre più profonda, non c’è mai l’intenzione di agire sulle cause di questa crisi, ma anzi, viene alimenta una dinamica di violenza orizzontale in modo da poter fare propaganda sui problemi della gente. Questo permette alle istituzioni di scrollarsi di dosso le loro responsabilità, di poter usare il pretesto della “sicurezza” per approvare leggi sempre più discriminatorie, per istituire le zone rosse all’interno delle nostre città pensando così di nascondere la polvere sotto il tappeto, eppure è evidente che questo genere di misure, securitarie e di segregazione, non risolvono il problema ma anzi, lo alimentano.
Siamo immersi in una società che sta esplodendo sotto le contraddizioni di questo sistema: su scale diverse, la guerra che si combatte con le armi e gli eserciti dell’Occidente “progressista”, e la guerra che si riproduce internamente, sui territori ghettizzati, da parte delle articolazioni dello Stato, come la polizia, hanno la stessa matrice e riconoscerla può permettere di condurre le battaglie giuste. È sempre più evidente che gli interessi di chi governa non combaciano con quelli della base della società. Aumentano i prezzi della benzina, dei generi alimentari, degli affitti e della vita e contemporaneamente gli stipendi diminuiscono, prediligendo investimenti negli armamenti invece che nei servizi. Si preferisce criminalizzare un’intera generazione piuttosto che domandarsi che cosa le manca: è logico, perché ci manca tutto. Ci manca prima di tutto il senso: ci muoviamo come automi in un mondo che non ci dà ragioni per difenderlo, ma piuttosto ci obbliga con il ricatto a sottostare alle sue regole. Chi prova ad interrogarsi su come funzionano le cose, o addirittura vorrebbe porsi l’ambizione di contare qualcosa nelle scelte che ci riguardano, allora diventa pericoloso.
Nel corteo di ieri sono stati innumerevoli gli interventi, soprattutto di giovanissimi che esprimevano con chiarezza il bisogno di esprimere la propria voce in quella piazza: tanti ragazzi e ragazze di seconda generazione hanno parlato della condizione dei figli di chi è arrivato in questo Paese in cerca di fortuna «…noi andiamo bene finchè continuiamo a dire “sì padrone”, ma ora vogliamo poter dire no, questo lavoro sottopagato non lo faccio» e ancora, «io lo capisco che il padre di Ramy non sia d’accordo con quello che facciamo, nemmeno mio padre sarebbe d’accordo. Loro sono venuti qua a cercare opportunità, avevano speranze, ma per noi è diverso, vogliamo il riscatto che ci spetta» e ancora «noi siamo dovuti andare via dal nostro Paese perché dei coloni francesi sono venuti da noi e ci hanno rubato tutto e ora sarebbe colpa nostra? No! Noi siamo le seconde generazioni e non vogliamo dover cancellare la nostra cultura per essere rispettati, non è possibile che la vita di un egiziano valga meno di una collana».
La manifestazione, partita da Porta Palazzo, ha sin da subito ingrossato le sue file muovendosi per le vie della periferia nord di Torino. Una volta raggiunto il commissariato delle Porte Palatine la rabbia ha prevalso: le mura di quel luogo per molti rappresentano ingiustizie e brutalità e per questo sono state sanzionate, i celerini hanno goffamente tentato di allontanare il corteo ma sono stati costretti ad indietreggiare e poi a ritirarsi. Vedendo la polizia intimorita, il sentimento che ha attraversato la piazza in quel momento è stato di forza. Il sentimento di potere è qualcosa che cercano sempre di sottrarci: vogliono la nostra debolezza per poterci governare più facilmente, ma, unendoci ci rendiamo conto che è possibile decidere noi per noi stessi.
Il corteo ha proseguito poi verso il centro cittadino, lasciando il segno sulla asettica vetrina di via Roma, emblema di un mondo perfetto e lussuoso, esponendo il volto di Ramy, perché tutti vedessero la faccia del pericoloso criminale che era giusto condannare a morte senza sentenza. In piazza Carlina , infine, si è verificato un ulteriore contatto con la caserma al quale la polizia ha risposto con numerosi lacrimogeni, senza riuscire nell’intento di disperdere il corteo che infatti è rimasto compatto e ha proseguito fino in piazza Vittorio, dove si è concluso con la promessa di vedersi ancora.
Abbiamo ripetuto parecchie volte che se vogliamo impedire che quello che è successo a Ramy capiti ancora, dobbiamo ostinatamente continuare ad opporci ad ogni ingiustizia, ad ogni abuso, dare voce a chi non ha voce e costruire un’alternativa concreta alla miseria che ci offrono spacciandola per “futuro”.
Che bruci la paura!
CON RAMY NEL CUORE
Da Csa Magazzino 47, Diritti per Tutti e Collettivo Onda Studentesca:
“GIUSTIZIA PER RAMY E FARES!
SABATO 11 GENNAIO ORE 17.00 PIAZZA VITTORIA A BRESCIA.
Dopo più di un mese dalla morte di Ramy è finalmente pubblico il video che conferma quello che sapevamo già: non è un incidente, Ramy è stato ammazzato a 19 anni dalle forze dell’ordine!
Sabato scendiamo in piazza per chiedere giustizia, perché questo è un omicidio di Stato e non possiamo stare zitti e zitte!
A fare le spese dei deliri securitari del Governo sono sempre le stesse persone: chi vive nei quartieri popolari, chi vive marginalizzat* nella povertà, chi lotta per una vita migliore, chi subisce ogni giorno razzismo e classismo!
A Milano nelle zone rosse, nella nostra città in nome del decoro, ovunque con il nuovo DDL sicurezza: si ostenta un nuovo modello di sicurezza dove si può essere uccisi a 19 anni dai Carabinieri!
Per noi la Sicurezza è solo una: casa, diritti e dignità per tutt*!
GIUSTIZIA PER RAMY E FARES!”
La presentazione su Radio Onda d’Urto con Alice compagna del Csa Magazzino 47 di Brescia.
Altri appuntamenti sono previsti in serata a Bologna e Roma.
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