Da Salò a Sodoma, passando per Arcore…
Salò o le 120 giornate di Sodoma è l’ultimo film scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini nel 1975. L’ispirazione del regista trova radici nel romanzo del marchese De Sade, Le centoventi giornate di Sodoma. Il film é ambientato tra il 1944 e il 1945, in piena Seconda Guerra Mondiale, ed il titolo è appunto un riferimento al regime fascista e agli orrori avvenuti durante quel periodo.
L’opera è divisa in quattro parti, strutturate in maniera simile ai gironi infernali danteschi: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue.
Nel 1944-1945, nella Repubblica di Salò, durante l’occupazione nazifascista, quattro “Signori”, rappresentanti di tutti i Poteri dello Stato, il Duca (quello nobiliare), il Monsignore (quello ecclesiastico), Sua Eccellenza il Presidente della corte d’Appello (quello giudiziario) e il Presidente (quello economico), decidono di rinchiudersi per quattro mesi in una villa isolata dal resto del mondo insieme a un folto gruppo di giovani di entrambi i sessi che verranno usati per soddisfare tutte le loro perversioni sessuali.
La caccia alle potenziali vittime dura settimane e nel frattempo i giovani prescelti vengono adescati, rapiti, catturati e strappati dalle proprie famiglie o, in alcuni casi, addirittura venduti dai loro stessi famigliari, e successivamente vengono sottoposti alla mercé dei Signori. Dopo una lunga e dura selezione vengono scelti nove ragazzi e nove ragazze, di età compresa tra i quindici e i vent’anni. Le vittime vengono caricate poi su dei camion militari e trasportati fino a Marzabotto, dove si trova l’enorme villa di proprietà del Duca.
Una volta giunti nei pressi della villa, i Signori passano alla lettura dei regolamenti: per centoventi giorni essi saranno autorizzati a disporre indiscriminatamente e liberamente della vita delle loro giovani vittime, le quali dovranno tenere un comportamento di assoluta obbedienza nei confronti dei Signori e delle loro regole.
Il potere trasforma l’umanità in oggetto, conferendo al sesso un ruolo fondamentale.
Il sesso praticato dai Signori diventa la metafora di ciò che oggi il potere fa dei corpi, la “mercificazione dei corpi da parte del potere”. Un potere fatto di brutalità, violenza, sopraffazione, viltà e totale certezza dell’impunità. La correlazione fra la dominazione di classe e la sopraffazione sessuale è rivelata. Il sesso non è gioco, piacere, liberazione delle classi subalterne, ma un orribile obbligo, una violenza intollerabile ai sensi.
Il potere della repubblica di Salò, è metafora del potere in generale e, in particolare, del nuovo potere, quello che nel ’75 andava affermandosi e che oggi è giunto alla massima espressione: l’ideologia consumistica, che arriva a consumare e dissacrare la vita stessa, attraverso la manipolazione delle coscienze e la mercificazione dei corpi.
La sessualità è messa a punto dal potere per disciplinare e controllare in senso economico e produttivo il corpo sociale. Lungi dall’essere una libera espressione del fisico, del corpo, della carne, la sessualità è funzionale all’assoggettamento dei corpi.
Nel film di Pasolini, della libertà agli uomini e alle donne non resta nulla. Anche le vittime sono sopraffatte dal male diventandone strumento e agente insieme. Incapaci di ribellarsi, per salvarsi diventano delatori di se stessi.
In questi giorni di scandali, pettegolezzi e pruriti bipartisan, la battaglia come al solito si gioca sui corpi delle donne. Ma non dobbiamo nascondere la presenza di qualche elemento in più che, per noi, è quanto meno motivo di rabbia, frustrazione e perché no, di sconforto.
Donne non si nasce, donne si diventa diceva Simone De Beauvoir. In una società che identifica la femminilità con l’oggetto, l’unico percorso di liberazione può passare attraverso il superamento di questa supposta natura per costituirsi come Soggetto e come Libertà.
Donne si diventa perché il mondo e la cultura in cui nasciamo, ci plasmano e ci creano a loro piacimento, ci insegnano a essere donne e a coincidere con il prototipo di femmina tramandato da generazioni.
Oppure donne si diventa perché la coscienza femminile va desiderata, sudata, costruita prima di tutto attraverso il rifiuto dei modelli che ci impongono, attraverso la negazione di una presunta natura femminile a cui ci vorrebbero sottomettere per rinchiuderci nei ruoli che altri hanno storicamente scelto per noi. Tuttavia se il primo passo è negazione, rifiuto, opposizione, è necessario spingersi oltre. Autodeterminarsi, scegliere chi essere, darsi come Soggetto e come Libertà.
Oggi ci si presenta davanti questo universo femminile complice del proprio farsi cosa, oggetto, di una sorta di auto mercificazione. Si pone un problema di identità di genere forte, completamente costruita e ricalcata su modelli che dovremmo percepire invece come intollerabili.
La questione è delicata: vittime, complici, schiave, imprenditrici di se stesse?
Berlusconi è un vecchio porco, si sa, un uomo ricco e potente che pensa di poter disporre delle donne che lo circondano come meglio crede. Un uomo che nel privato si vanta della sua virilità libertina e che come politico pretende di imporre la famiglia tradizionale come valore assoluto.
Quali sentimenti ci suscitano invece le donne protagoniste di questa vicenda?
Non si tratta tanto di vendere il proprio corpo in cambio di denaro, ma di contribuire e fomentare la realizzazione di un immaginario e di un simbolico femminile assolutamente parziale e pericoloso.
Abbiamo davanti uno stuolo di ragazze convinte di scegliere autonomamente e liberamente di usare il proprio corpo e non certo di essere carne a disposizione. Ben altra cosa sono le rivendicazioni delle sexworkers che come sappiamo, a partire da Pia Covre e Carla Corso, hanno preteso rispetto, diritti, legittimità e riconoscibilità. La povertà della percezione di sé che queste ragazze esplicitano forse non è altro che l’espressione della povertà del momento che stiamo vivendo.
Ma se da una parte abbiamo queste escort spregiudicate che come si dice “cercano il guadagno facile”, dall’altro ci si offre il modello femminile della sinistra istituzionale, con il discorso della donna emancipata cui L’Unità ha dedicato il noto articolo, negli ultimi giorni, “La rivolta delle donne”. Una sinistra che gioca sui corpi delle donne la propria battaglia politica contro Berlusconi. Non sono riusciti a deporlo dal trono attraverso le urne, ci hanno provato con i giudici e con le campagne “diffamatorie” (per usare un termine caro al Silvio) su giornali e televisioni…ora si giocano l’ultima carta: riscoprendosi paladini dell’emancipazione femminile, difendono a spada tratta il buon nome delle donne nella speranza di raccattare qualche voto in vista delle prossime elezioni.
C’è poi un altro aspetto, per nulla trascurabile, ovvero il godere di entrambi i fronti, certo in misura variabile, di una qualche rappresentatività: sono due modelli che hanno spazio sui giornali e in televisione. Il medium attraverso il quale si esprimono è indicativo e sicuramente influenza anche la sostanza e non solo la forma del discorso e dei fatti. Sono inoltre parte di un’unica storia – deteriore – delle donne in questo paese, le cui rivendicazioni non hanno mai goduto di autonomia: nel primo caso questo è facilmente riscontrabile, la donna che “non sa fare nulla” e che come unico bene ha il proprio corpo sessuato, qui al limite del caricaturale, e si appoggia a uomini ricchi e potenti per vivere. Non saper fare, vendersi o essere vendute, vivere attraverso uomini, meglio se ricchi, ma soprattutto esistere attraverso la rappresentanza televisiva, ci riporta nuovamente alla memoria alcuni passaggi del Secondo Sesso della De Beauvoir sul destino e la storia delle donne…mute, incapaci, merce da matrimonio, e ora pure soddisfatte.
Noi non abbiamo bisogno di protettori! Né in strada, né in casa, né nei palazzi del potere! Evidentemente scegliamo altro, prendendo le distanze dal gentil sesso emancipato per mandato politico istituzionale e che si riscopre donna solo se concessole dalle quote rosa. Le stesse donne, che riflettendo sul contesto, forzano forse per dovere di rappresentanza, i dati reali, e contrappongono all’esercito delle escort armate di silicone, una fantasiosa “rivolta delle donne”.
Davvero la sinistra istituzionale è diventata a tal punto autoreferenziale da non accorgersi che il problema, ora come ora, non è tanto che ci siano uomini potenti che si circondano di donne cosiddette facili – dai Papi ai Principi, fino ad oggi è sempre stato così – ma che non c’è alcuna reale rivolta delle donne. Nè in forma organizzata, nè in forma spontanea, emotiva, allargata e diffusa. Non c’è una rivolta delle donne a meno di non considerare rappresentative di un intero genere le potenziali firmatarie dell’appello de L’Unità.
Ma se non c’è una rivolta delle donne, almeno per come la si intende nell’appello, possiamo dire con fierezza e orgoglio che ci sono moltissime donne che si rivoltano e si ribellano, da femministe e non.
Tante, tante donne che lottano quotidianamente contro un sistema politico, economico, sociale, culturale, che ancora una volta le vorrebbe rinchiudere nella più vecchia antinomia del mondo.
O sante o puttane. Mentre l’altra metà del mondo se la ride sotto i baffi.
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