Colonia e la razzializzazione del sessismo
Il sospetto coinvolgimento di circa 22 richiedenti asilo e di numerosi nord-africani nei borseggiamenti e nelle molestie sessuali denunciati da decine di donne durante il capodanno nella città di Colonia – e in altre città tedesche – è stato usato dalle destre per brandire l’immagine dell’uomo islamico come minaccia ai diritti delle donne.
Non si tratta certo di un’immagine nuova. L’idea che Islam e diritti delle donne siano incompatibili storicamente fu introdotta nel dibattito occidentale dai colonizzatori europei ed è stata rispolverata più di recente dall’amministrazione Bush quando giustificò l’occupazione dell’Afghanistan come necessaria per liberare le donne afghane dall’oppressione talebana. Ancora più di recente, altri attori politici hanno fatto eco ai movimenti di destra invocando la mano dura contro i musulmani in nome delle donne. In Germania la nota femminista Alice Schwarzer per esempio è stata una delle critiche più feroci dell’Islam, sostenendo che sia come religione che come cultura l’Islam opprima le donne; negli anni la Schwarzer è stata sostenuta da un ampio ventaglio di commentator politici, anche di sinistra, come nel noto caso del socialdemocratico Thilo Sarrazin.
È importante ricordare tuttavia che in Germania i musulmani non sono stati i soli ad essere accusati di ‘misoginia innata’. Negli anni Ottanta, note femministe come Gerda Weiler e Christa Mulack accusarono l’ebraismo di aver introdotto il patriarcato in Occidente. In quegli stessi anni pare anche fosse normale tra le file dei Verdi parlare dell’ebraismo come di una religione che giustifica la violenza contro le donne e la pedofilia.
Per esempio, la legge tedesca sulla violenza sessuale rende molto difficile perseguire i molestatori sessuali, proprio come quelli denunciati dopo la notte di capodanno. Le sezioni 177-9 del codice penale tedesco definiscono lo stupro come coercizione sessuale con l’uso della forza, ma non parlano di consenso. I centri anti-stupro e le associazioni di donne per anni hanno criticato l’ambiguità della formulazione della legge. Tale ambiguità ha infatti consentito a molti giudici di non considerare la mancanza di consenso come prova sufficiente di stupro, o di non perseguire molestie come le aggressioni sessuali improvvise o i palpeggiamenti.
Inoltre le statistiche mostrano che la maggioranza dei casi di violenza sessuale e abuso – in Germania così come altrove – non riguarda musulmani, immigrati, o richiedenti asilo. L’inchiesta condotta dall’Unione Europea nel 2014 sulla violenza contro le donne per esempio riporta che su un campione di 100,000 donne tedesche intervistate, il 37% sostiene di aver avuto almeno un’esperienza di aggressione o minaccia di violenza da parte di un partner o non-partner. Le intervistate facevano riferimento soprattutto a uomini a loro familiari: mariti, padri, parenti, amici o datori di lavoro.
Durante gli anni 2000, i tagli neoliberisti alla spesa pubblica hanno danneggiato in particolare le organizzazioni di donne e le iniziative per l’uguaglianza di genere. Al contempo, vari governi olandesi nell’ultimo decennio hanno finanziato programmi per sostenere la partecipazione al lavoro e l'”emancipazione” delle donne immigrate o appartenenti a minoranze etniche. Tali programmi, tuttavia, hanno teso a collocare queste donne in settori ad alto tasso di sfruttamento come quello del lavoro domestico e di cura. In altre parole, i politici olandesi stanno spingendo le donne immigrate e musulmane ad accettare quei compiti femminili contro l’imprigionamento nei quali le femministe olandesi si sono battute per anni. Perciò, mentre l’immagine dell’uomo musulmano nemico delle donne ignora completamente le statistiche ed è stata usata per rappresentare le donne musulmane come vittime dell’oppressione al soldo di maschi selvaggi, nessuno di questi avvocati dei diritti delle donne musulmane e immigrate sembra preoccuparsi dello sfruttamento e della segregazione lavorativa di cui queste donne sono vittime nelle case private degli europei.
[di Sara R. Farris – tratto da lavoroculturale.org]
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