Libano: lavoratrici domestiche contro la schiavitù
Beirut, 25 giugno 2018, le migranti che vivono in Libano scendono in strada per fermare il sistema Kafala che le costringe in una condizione di schiavitù.
In migliaia hanno invaso le strade di Beirut nella giornata internazionale delle lavoratrici domestiche per chiedere che vengano riconosciuti i loro diritti e per bloccare le ingiustizie causate dal sistema Kafala. Questo sistema obbliga sostanzialmente i migranti che arrivano in Libano ad avere uno “sponsor” che garantisca per loro e che gli permetta di avere un permesso di soggiorno. Nel maggior parte dei casi questo ruolo è ricoperto dal datore di lavoro (per meglio dire carnefice) che utilizza a suo piacimento questa situazione mantenendo in una costante situazione di ricatto i propri lavoratori e le proprie lavoratrici. Devono sottostare a condizioni di lavoro pessime. Paga da fame e turni di lavoro interminabili. Tutto questo in una condizione continua di ricatto. Non possono licenziarsi, né cercare un altro lavoro. Il rischio che corrono è che il datore di lavoro annulli il permesso di soggiorno. In questo caso sarebbero passibili di arresto o espulsione. Le donne sono costrette spesso a violenze e queste condizioni non gli permettono tante vie d’uscita, visto che qualora scegliessero di rifiutarsi di lavorare per un padrone violento rischierebbero comunque ripercussioni legali.
Sono nove anni che portiamo avanti questa lotta, dicono i manifestanti, ma poco o niente è cambiato. Anzi sono aumentati i numeri degli stupri e degli abusi durante le ore di lavoro.
Con questa manifestazione tornano a chiedere prima di tutto l’abolizione del sistema Kafala. Vogliono l’introduzione di un sistema che permetta ai lavoratori e alle lavoratrici di essere liberi di lasciare un posto di lavoro senza essere costretti nella clandestinità dal padrone. Chiudere il monitoraggio delle agenzie di assunzione e applicare una giusta punizione ai datori di lavoro violenti. E quindi la possibilità che il permesso di soggiorno non dipenda dal padrone e quindi non essere costretti a subire quotidianamente violenze.
Dicono ancora i manifestanti: noi marciamo contro l’oppressione, contro le discriminazioni e lo sfruttamento.
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