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NUDM: è morta un’altra studente, non ne possiamo più

Sabato 23 novembre saremo a Roma anche perché desideriamo e pretendiamo una scuola diversa.

da NUDM Torino

E’ morta un’altra studente, non ne possiamo più.

Aurora aveva 13 anni quando, il 25 ottobre, è stata uccisa dal fidanzato di 15 anni, che non accettava la fine della loro relazione.
Lo stesso giorno, Sara è stata uccisa da un vicino di casa.
Lei di anni ne aveva 18, lui ne ha 22.

E’ passato quasi un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin, un anno e decine di femminicidi, eppure la situazione non solo resta la stessa, ma appare sempre più grave.

Sono oltre 90 le morti per mano della violenza di genere patriarcale che contiamo quest’anno e, mentre continuiamo ad assistere sgomentə allo sterminio, le misure di prevenzione rimangono proclami, inutili promesse al vento quando va bene, e a volte azioni perfino dannose.

Le scuole sono sempre più inaccessibili per proposte di educazione sessuale, affettiva, relazionale e al consenso, e le istituzioni lasciano che lo spauracchio della “teoria gender” inventato dalle destre valga di più del nostro diritto alla vita.

Chiediamo allə docenti alleatə di costruire lezioni all’aperto, chiediamo ai collettivi e alle organizzazioni studentesche di costruire giornate di occupazione e autogestione delle scuole in cui associazioni, collettivi e reti tranfemministe possono parlare di sessualità consapevole, amore generativo, abbattimento della cultura dello stupro e della cultura machista ciseteropatriarcale.

Che si parli di cultura del consenso! Di ascolto!

Non possiamo più assistere alla morte di ragazze come Aurora, Sara, e di tutte quelle donne e persone, diverse per età e provenienza, ma con un futuro davanti e nessuna responsabilità, se non quella di essere natə in una società machista. Non possiamo più aspettare che altri ragazzi e uomini comuni, figli sani del patriarcato, diventino stupratori e femminicidi perché non vedono, non conoscono alternative a questo modello relazionale.
Il “minuto di rumore” che l’anno scorso ha riempito le scuole della rabbia e della voglia di cambiamento, in opposizione al minuto di silenzio proposto dal ministro Valditara per il femminicidio di Giulia Cecchettin, deve diventare ancora più forte. Dobbiamo trasformare il “minuto di rumore” in “ore di rivoluzione” che siamo funzionali all’abbattimento della cultura patriarcale, e di tutte le sue dirette conseguenze come l’amore tossico, l’amore romantico, l’incapacità di accettare il rifiuto. Sempre più spesso queste dinamiche vengono riprodotte fin dall’adolescenza, nelle prime relazioni che spesso nascono proprio all’interno delle nostre scuole.


Essere uccise a 13, 18 o mille anni non può essere la nostra nuova normalità. Rifiutiamo di limitarci a fare il conto delle morti, e vi chiediamo di partecipare insieme a noi al processo di resistenza e liberazione che stiamo costruendo. Lo slogan della manifestazione nazionale del prossimo 23 novembre “Ci vogliamo vivə: disarmiamo il patriarcato” riguarda tantissimo anche il mondo della scuola. La scuola é uno dei principali bersagli dei tagli dei finanziamenti, confluiti invece nella spesa militare, ed è però il luogo in cui persone che si stanno formando passano la maggior parte del tempo; il luogo fondamentale nella costruzione e nell’acquisizione di nuovi immaginari, nuove pratiche e modelli relazionali.
É necessario rendere i luoghi della formazione degli spazi adeguati a disinnescare le armi della morte, della paura e del possesso, attraverso il rumore, la rabbia, la non rassegnazione transfemminista ma anche con i percorsi formativi adeguati. Lo dobbiamo alla nostra sorella Aurora, lo dobbiamo a Giulia, e a tutte le altre che sono state uccise, per non allungare più questa lista. E lo dobbiamo al coraggio di Viktoria e di Elena, loro sorelle.

Scegliamo di far uscire oggi 31 ottobre questo appello, in solidarietà al mondo della scuola in mobilitazione in una giornata di sciopero, per metterci in dialogo con tutti i soggetti politici e sindacali che lottano per una scuola diversa, in cui non ci sia spazio per la precarietà e per l’autoritarismo, che insegni il rispetto delle persone e dell’ambiente, che sia luogo effettivo di crescita sociale e culturale e motore delle trasformazioni positive del Paese.
Una scuola che riconosca la dignità del lavoro docente, svilito quotidianamente proprio perché femminilizzato, associato al maternage e al lavoro di cura dovuto. E lo riconosca innanzitutto in termini salariali, prendendo sul serio la criticità politica, sociale e culturale dell’avere uno stipendio medio delle insegnanti tra i più bassi d’Europa. É quantomai urgente che la comunità educante tutta si impegni in una effettiva battaglia per tutto questo: adeguamenti salariali, semplificazione dei percorsi di reclutamento, stabilizzazione delle insegnanti precarie, inserimento dell’educazione sessuo-affettiva in tutte le scuole di ogni ordine e grado, scevra dai tentacoli del Vaticano e delle forze reazionarie.


Non una di meno

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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