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Piemonte. La crociata del centrodestra contro l’aborto

Due milioni e 340 mila euro per finanziare le associazioni antiabortiste in Piemonte. Li ha stanziati il governo di destra della Regione Piemonte dal 2022 ad oggi.

di Alberto Gaino, da Volere la Luna

A questa somma è pervenuta Sarah Disabato, dopo aver avuto accesso, come capogruppo dei 5stelle in Regione, a tutti gli atti disposti sui capitoli di spesa per sanità e welfare per il progetto “Vita Nascente”: fiore all’occhiello dell’assessore uscente Maurizio Marrone, uomo forte del partito di Giorgia Meloni in Piemonte e candidato a gestire la sanità pubblica e incoraggiare quella privata, sul modello lombardo, nel prossimo quinquennio. Con il segno dell’ideologia: la guerra all’aborto.

Una guerra strisciante che parte da un vocabolario investigativo/poliziesco, in cui spicca una parola chiave: «Donne intercettate allo sportello». Così si legge nella legge regionale n. 6/2022 (allegato A). Dove si aggiunge che i consultori pubblici hanno la “possibilità” di avvalersi della «collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e associazioni di volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita». In che consista la “collaborazione” lo chiarisce l’allegato B alla determinazione dirigenziale – settore Sanità e Welfare – della Regione Piemonte dell’1 dicembre 2020 per le domande delle associazioni di volontariato: «Disporre di una sede operativa che presenta uno spazio di accoglienza che garantisce la privacy dell’utente, dotata di telefono, fax e collegamento internet». La sede sostituisce quelle dei consultori pubblici, i volontari gli operatori qualificati. Per completezza di informazione, i requisiti “tecnico organizzativi” richiesti alle associazioni «operanti nella tutela materno infantile» si riducono alla fine all’autocertificazione di «aver maturato esperienza nell’ambito del sostegno alle donne e/o alla famiglia» per «almeno due anni». Come? Non è detto. Ma si può immaginarne lo spirito.

«È un fatto – fa notare l’avvocata Mirella Caffaratti, che vinse il ricorso al Tar contro la prima legge regionale di questo genere – che la maggior parte, se non tutte, delle associazioni pro vita beneficiarie di questi fondi si dichiarino contrarie nei loro statuti all’aborto e alla legge 194 del 1978, che lo autorizzò nei presidi sanitari pubblici ponendo fine all’ignominia degli aborti clandestini». L’avvocata ricorda che la strategia di Marrone ha agganciato “Vita Nascente” all’attività di prevenzione prevista dalla stessa 194 per ridurre la pratica abortiva, «ma qui si riconoscono e si finanziano associazioni in netto contrasto con la legge e il suo principio fondativo: la libertà di scelta della donna». L’obiettivo di Marrone è portare un tale volontariato dentro gli ospedali concedendogli spazi che diventino un percorso obbligato per le donne orientatesi verso l’interruzione volontaria di gravidanza.

Che quello dove le donne vengono “intercettate” si chiami stanza o sportello è – secondo Elena Ferro, della segreteria della Camera del lavoro di Torino – «una pesantissima ingerenza nelle scelte delle donne, che non vanno certo a cuor leggero ad abortire. La destra vuole diffondere idee e pratiche di vita che riportino la donna a ruoli del tutto subalterni in famiglia e nella società. La si rivuole a casa quando deve lavorare in un contesto di bassi salari per i più e, se è sola, la sua situazione rischia di travolgerla nella povertà assoluta. Non ci sono asili nido pubblici sufficienti: la donna deve arrangiarsi. Le ricerche indicano che, con la maternità, troppe donne devono lasciare il lavoro e badare ai figli. Vi sono donne che invece non rinunciano al lavoro per motivi molto seri e scelgono la via dell’aborto. La vera prevenzione è ben altro rispetto a questo uso distorto di fondi pubblici per accreditare associazioni private antiabortiste. Su cui si punta impoverendo il riferimento dei consultori pubblici. Ricordo che a Torino ne esiste uno soltanto (in Borgo Vittoria) per la fascia giovanile che richieda aiuto per la contraccezione, la salute rispetto alle infezioni della sfera sessuale, ogni modalità che riguardi il disagio giovanile e la sua fragilità rispetto a queste problematiche».

L’inserto economia del Corriere della Sera online il 12 maggio scorso segnalava che una donna ogni cinque lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Fra le ragioni, la carenza di asili nido pubblici, calcolata – da un recente report – nel 28 per cento di posti a disposizione rispetto alle richieste. Nelle isole è ancora più bassa questa gravissima percentuale: 16 per cento. La prevenzione – per una maggiore consapevolezza delle donne grazie alla scolarizzazione di massa, la diffusione dei consultori, il ricorso alla contraccezione e alla pillola del giorno dopo rapporti a rischio o indesiderati – ha portato a una riduzione degli aborti sin dal 1982, quando in tutta Italia furono 231 mila (per il 45 per cento interessarono donne fra i 26 e i 35 anni; il 24 per cento fra i 18 e i 25, mentre le minorenni furono il 2 per cento). Da allora la diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza è stata progressivamente marcata: 65.757 nel 2020, l’8,2 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Il calo degli aborti ha interessato anche le donne di origine straniera che rappresentano un terzo del totale. L’Istat, infine, segnala che la piaga degli aborti clandestini si è tutt’altro che cicatrizzata e calcola questo sommerso in 10-15 mila casi all’anno. Bisognerebbe orientare la spesa pubblica nel combattere anche questo triste fenomeno e non colpevolizzare le donne che intendano abortire. O non è quest’ultimo il reale obiettivo della crociata antiabortista finanziata e incoraggiata dalla destra di governo in Piemonte e a livello nazionale? Con un emendamento di Fratelli d’Italia al PNRR si potranno inserire nei consultori pubblici associazioni antiabortiste.

Sarah Disabato, candidata del suo partito alla presidenza del governo del Piemonte, nell’accedere agli atti regionali su questa partita non si è limitata a conteggiare il totale degli stanziamenti a favore di 19 associazioni pro-vita sparse da Verbania ad Acqui Terme. Precisa: «I criteri di assegnazione sono opachi sia rispetto alle associazioni sia nella distribuzione di queste ultime alle presunte gestanti, indicate negli atti regionali come mamma 1, 2, 3… Si deve rispettarne la privacy, d’accordo, ma a noi si chiede un atto di fede verso la politica della maggioranza. Non c’è possibilità di reale controllo nemmeno sulle effettive spese: negli atti vi sono fatture parziali rispetto all’ammontare dichiarato. Incluso il 25 per cento dei fondi totali, destinato al personale impiegato nelle attività delle associazioni convenzionate e all’informazione delle loro iniziative. È una pessima premessa di come potrebbero essere spesi i 940 mila euro del 2023, previsti anche nel 2024».

A febbraio l’assessore Marrone ha fatto il punto sui primi risultati di “Vita Nascente” («478 donne hanno deciso di portare a termine la gravidanza nel 2023») grazie al “sostegno” delle associazioni antiaborstiste finanziate dalla Regione Piemonte tradottosi in “aiuti concreti”. Puntigliosamente elencati da Avvenire il 7 febbraio e due giorni dopo dal sito online Provita & Famiglia: «Giocattoli, prodotti per lo svezzamento e beni di prima necessità per i bambini, quantificati in più di 300 mila pannolini e oltre 250 passeggini. Il fondo è stato utilizzato per fornire aiuti finanziari destinati al pagamento di affitti, utenze e riscaldamenti, oltre che baby parking, asili nido, scuole dell’infanzia, baby sitting, mense scolastiche, biglietti per trasporti pubblico. Finanche per lezioni di guida per conseguire la patente a fini lavorativi, assicurazioni auto, tirocini per il reinserimento lavorativo dopo la gravidanza. Sono state inoltre offerte visite specialistiche e consulti con professionisti di vari settori». Segue elenco: «Ginecologi, psicologi, nutrizionisti, consulenti del lavoro, pediatri, educatori, dentisti pediatrici, psicoterapeuti, ostetriche, puericultrici, logopedisti, osteopati»… Il commento finale: «Dunque, una serie di aiuti concreti, tangibili».

Tangibili significa dimostrabili, considerato che si tratta di fondi pubblici. Attendiamo che l’assessore Marrone provveda e rassicuri rispetto ad alcuni pressanti interrogativi: non c’è, sotto questa comunicazione senza rendicontazione trasparente, una scelta pelosa ed opaca di privilegiare associazioni private rispetto alla gestione di risorse pubbliche – da affidare invece ai consultori pubblici – e con essa non c’è l’intenzione di creare nuove clientele? Quelle 478 donne che avrebbero rinunciato all’interruzione di gravidanza non sono beneficiarie di una nuova/vecchia politica in cui i diritti diventano elargizioni di privati, in questo caso di denaro pubblico?

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