Pisa: da Coltano a Calambrone, la breve esultanza del “modello toscano”
In secondo luogo la resistenza messa in campo dai coltanesi è stata decisamente determinata, con azioni di forte rottura come il blocco stradale per impedire l’inizio dei lavori, ed è riuscita a rimanere compatta nonostante le contraddizioni evidenti delle due anime del presidio di protesta, quella contraria all’allestimento di un lager, e quella convinta che il territorio fosse già “saturo” a causa della presenza decennale di un ingestibile campo rom.
Infine va preso atto della capacità della governance di centro-sinistra di cavalcare con abile trasformismo tutte queste istanze e di agire per una volta con una sincronia funzionante ai vari livelli (comune, area vasta, provincia e regione), nel presentare pubblicamente le gioie e i vantaggi del cosiddetto “modello toscano” di accoglienza diffusa ed equamente distribuita in piccoli centri su tutto il territorio; una proposta che, a questo punto, non poteva essere rifiutata.
Nello specifico pisano la struttura di proprietà della Regione è un ex ospedale sul litorale di Calambrone, in cui dovrebbero essere ospitati nelle prossime ore non più 500 ma circa 120 profughi provenienti in buona parte dalla Tunisia; è lecito pensare che senza la debacle del governo sull’ipotesi Coltano, Filippeschi e Rossi avrebbero incontrato molte più difficoltà nel mettere in pratica la loro proposta di accoglienza. Poco importa infatti se la struttura scelta adesso sia oggettivamente un tugurio fatiscente su cui in fretta e furia si stanno operando una serie di rattoppi, e se la sola idea di stipare là dentro 120 esseri umani dovrebbe far rabbrividire; è sempre meglio della barbarie che Maroni e il governo avevano proposto.
L’esultanza del Pd per la qualità indiscutibile del “modello toscano” sembra però dover essere di breve durata, perché, vinta la crociata di Coltano (in cui il sindaco doveva difendere la vivibilità del territorio dai soprusi del governo), si è aperta immediatamente la battaglia di Calambrone, in cui il Comune deve sostenere la scelta fatta dall’amico Rossi, presidente della Regione.
Da ieri mattina infatti un gruppo di cittadini, in prevalenza bottegai del litorale, sta presidiando la struttura con slogan e motivazioni senza alcuna ambiguità, apertamente xenofobe, affiancato e fomentato da Confcommercio e da alcuni consiglieri comunali del Pdl in cerca di rivincita. La zona del litorale è una delle storiche roccaforti della destra razzista, e la scelta di Calambrone è stata facilmente interpretata come una “punizione”.
Nella giornata di ieri è venuta a crearsi una situazione di notevole tensione, con lunghi momenti di blocco del traffico, l’aggressione ai giornalisti che riprendevano e documentavano il presidio, l’invasione della struttura e l’occupazione portata avanti per alcune ore dal branco di razzisti (sempre contenuti e mai ostacolati dalle forze dell’ordine). Durante la notte, infine, con un raid sono stati distrutti gli impianti idrici della struttura, e realizzate una serie di scritte contro gli immigrati.
Questa volta l’imbarazzo è tutto del sindaco, che sta cercando di placare gli animi giustificando gli abitanti e i commercianti di Calambrone, che hanno diritto a richiedere garanzie rispetto alla situazione che si troveranno a vivere. Più in generale, però, si può leggere la crisi di un modello di gestione dei flussi migratori che negli ultimi anni si è andato ristrutturando intorno ad un paradigma securitario, basato sulla criminalizzazione della “marginalità”: zingari, lucciole, vu cumprà. Filippeschi non si sta confrontando con trenta invasati razzisti che di fronte ad una emergenza umanitaria si preoccupano solo dei loro profitti nella stagione estiva; si sta confrontando con un intero elettorato che per anni ha distolto dai reali problemi della città usando come capri espiatori gli ultimi della società, con ordinanze, sgomberi e patti per la sicurezza firmati con Maroni in persona. Un ampio strato sociale che adesso non si spiega perché si debbano ospitare dei tunisini, notoriamente spacciatori e accoltellatori, anziché rimandarli nel loro paese a calci nel culo in perfetto stile leghista.
Insomma tutto fa pensare che nei prossimi giorni la tensione è destinata a salire; la credibilità del modello di assistenza toscano, quello che in campagna elettorale parlava di Cie dal volto umano, sembra destinata a durare veramente poco.
Dalle istituzioni non è possibile attendersi gesti di solidarietà reale e di accoglienza umana: chi per anni si è caratterizzato per politiche post-coloniali di segregazione e confinamento di certo non è interessato, nè capace, di riformulare la gestione stessa dei flussi migratori. L’unica cosa che muove le istituzioni e il Partito Democratico è la speculazione elettorale.
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