Uniti abbiamo resistito e uniti ripartiamo! 4 Ottobre manifestazione #NoBorders a Ventimiglia
Alle 5:30 uno schieramento di dodici camionette e 250 uomini in divisa, tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ecc. ha dato inizio all’operazione di “devastazione e saccheggio” del presidio permanente No Borders, costringendo un ottantina di persone, tra migranti in viaggio e solidali, a ritornare sulla scogliera come all’inizio, in quei giorni di giugno in cui nacque il presidio. Un luogo per noi centrale, il luogo di origine di questa lotta: siamo andati lì non solo per mera difesa ma perché quel posto è dove è nato quel “noi” che è la forza, la potenza di questo movimento.
Con ruspe ed enormi contenitori di immondizia si è consumato uno sgombero meditato da tempo. Hanno spazzato via le tende, i vestiti, il cibo, le brochures informative, i libri, i materiali per le lezioni di inglese, francese, arabo, le chitarre, i palloni, i mobili auto-costruiti, le docce, i bagni.
La violenza devastatrice di quelle ruspe ha tentato di cancellare il lavoro di mesi di autorganizzazione, che ha mobilitato la solidarietà di tantissime persone, tra migranti, attivisti da tutta Europa, persone solidali giunte a portare pacchi di pasta, latte, acqua, le proprie competenze, la voglia di mettersi in relazione.
L’esperienza del presidio è ed era fatta di corpi, di sguardi, nel continuo sforzo di conoscersi, di raccontarsi anche oltre le barriere della lingua. È ed era l’immediatezza delle relazioni, del vivere insieme, del costruire, insieme alla frustrazione di avere di fronte una barriera che costantemente rinfaccia la minaccia dell’espulsione, che costantemente riproduce il volto brutale dell’Europa. È ed era anche una forza che si esprime nelle “battiture” davanti la frontiera, nelle improvvisazioni musicali, nella convinzione di non essere soli, di lottare insieme. A Ventimiglia c’era e rimane il dirompente desiderio di libertà.
“Abbiamo sgomberato il presidio, non i migranti”, ha detto il sindaco di Ventimiglia Ioculano.
Quel che tentano di spazzare via quelle ruspe – sotto gli occhi vigili di poliziotti armati fino ai denti – è soprattutto un percorso di autogestione, di lotta, che avviene in primo luogo attraverso l’immediatezza del vivere insieme, la potenza e la forza di diventare un “noi”. Contro la forza delle divise, presenti in un numero spropositato, stava e sta la forza e la dignità di stare insieme e lottare per la libertà.
In stato di assedio e accerchiati dalle forze dell’ordine noi, resistenti degli scogli, abbiamo dato prova di forza e unità per le dodici ore a seguire. Forti solo nel numero e nei mezzi, gli uomini in divisa hanno minacciato denunce e identificazioni nei confronti dei migranti, nonché ulteriori denunce e fogli di via per i solidali. Non sono riusciti, come credevano, a risolvere “il problema” in poche ore. L’unico accordo possibile partiva dalla condizione che i migranti in viaggio, una cinquantina, non avrebbero subito conseguenze di alcun tipo, fosse essa una denuncia o un’identificazione e inserimento nel sistema Eurodac, e così è stato.
Durante la giornata è stata manifestata chiaramente la volontà di non cedere di fronte le intimidazioni e le pressioni ricevute; mentre da fuori le tante iniziative di solidarietà, da Mentone a Lampedusa, Roma, Milano, Bologna, Torino e Toulouse ecc., davano forza a chi resisteva. Nel frattempo, mentre la lotta proseguiva sugli scogli, tanti dei nostri sono stati portati via dalle forze dell’ordine e chi si avvicinava nel tentativo di dare la propria solidarietà attiva e materiale (cibo e acqua) veniva allontanato, tenuto a distanza o preso dalla polizia, identificato e denunciato. Un semplice “hurriya” gridato da lontano è costato a qualcuno cinque ore di commissariato.
Per ore siamo stati insieme sugli scogli, senza acqua e cibo, abbiamo condiviso paure, energie e voglia di resistere. La controparte, cioè il ministero dell’interno, constatato che non era possibile sgomberare gli scogli senza quello che viene chiamato “danno di immagine”, ha accettato la mediazione del Vescovo sulle posizioni dei migranti e solidali sugli scogli. Insieme abbiamo lasciato gli scogli, uniti oggi come negli ultimi quasi quattro mesi di lotta. Inevitabilmente la conclusione della trattativa ha determinato la divisione del gruppo, e non è stato facile accettarlo. I migranti hanno raggiunto il centro di accoglienza gestito dalla croce rossa con i mezzi messi a disposizione dalla Caritas e senza essere identificati dalle forze di polizia. Gli/le attivisti/e sono stati presi dalle forze di polizia che alla luce della situazione che vedeva ancora tanti solidali mobilitati li ha rilasciati in poco tempo e senza alcun foglio di via, dopo averli comunque sottoposti a identificazione e iscritti nel registro degli indagati per invasione di terreni o edifici. La sera stessa eravamo di nuovo insieme, convinti di voler continuare a lottare.
Una ventina di migranti, che non sono riusciti a raggiungere gli scogli sono stati presi durante i primi momenti dello sgombero, portati all’ aereoporto di Genova e deportati al CARA di Bari. Al momento non sappiamo se su di loro pende un procedimento di rimpatrio o hanno subito “solo” la riammissione in Italia e l’identificazione, e stiamo seguendo la cosa con l’aiuto degli avvocati e delle reti di solidarietà per capire cosa si devono aspettare questi ragazzi e come supportarli.
Nello stesso giorno a Nizza un nostro compagno è stato processato e condannato a 6 mesi (pena sospesa), 150 ore di lavoro per lo stato e 1600 euro di danni alla poliziotta della PAF che l’ha denunciato. Questa sentenza, a cui faremo appello, è frutto del clima di razzismo istituzionale che sta caratterizzando il dipartimento della Alpi Marittime, con la quotidiana criminalizzazione di migranti e solidali. Denunciamo inoltre l’ingiustizia di una corte che non ha tenuto conto dell”impossibilità per i testimoni di raggiungere il tribunale (essendo questi sugli scogli di Ponte San Ludovico) quale motivazione per la richiesta di rinvio. Denunciamo infine il pregiudizio evidente nei confronti del nostro compagno e la falsità delle accuse a suo carico.
A tutti coloro che in questa giornata hanno subito la repressione di Italia e Francia nella lotta contro i confini nella forma del fermo, dell’arresto, della condanna, della deportazione, dell’identificazione ecc. va la nostra solidarietà e la promessa che nessuno verrà lasciato solo di fronte a tanta ingiustizia.
E’ evidente che la mediazione trovata non è un punto d’equilibrio, ma un momento della resistenza. La verità è che al di là della vetrina turistica della riviera, il problema della libertà di circolazione rimane, e la chiusura delle frontiere è un fatto scandaloso che genera condizioni di ingiustizia a cui non si può rimanere indifferenti. Il centro della Croce Rossa in stazione esplode di persone in viaggio, ed è quindi evidente che rimane il bisogno di spazi di supporto ai migranti in transito.
Hanno distrutto un luogo, una casa, un rifugio per molti. Hanno distrutto un Presidio, ma non un percorso di lotta, perché Ventimiglia non e’ solo un luogo. Ventimiglia e’ un’idea di resistenza che poggia su una rete di solidarietà consolidata in questi tre mesi e mezzo, che nessuna ruspa e nessuno sgombero riuscirà a smantellare.
PER QUESTE RAGIONI E ALTRE CHE AVREMO MODO DI ESPRIMERE NELLE PROSSIME ORE INVITIAMO TUTTE E TUTTI A MOBILITARSI PER UNA MANIFESTAZIONE INTERNAZIONALE DOMENICA 4 OTTOBRE ALLE 14 A PARTIRE DAL PIAZZALE DELLA STAZIONE DI VENTIMIGLIA. [EVENTO FACEBOOK]
Ventimiglia e’ ovunque e la solidarietà è la nostra arma.
WE ARE NOT GOING BACK!
Presidio Permanente No Borders Ventimiglia in exile
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