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Ventimiglia: “Andata e ritorno”

Da mesi assistiamo a continui controlli polizieschi nel territorio frontaliero francese, nel quale si è scatenata una vera e propria caccia all’uomo basata su un solo discrimine: il colore della pelle.
I treni fermati a Menton Garavan vengono controllati a tappeto dalla gendarmerie, chiunque venga trovato senza documenti viene forzatamente fatto scendere, controllato, perquisito e deportato ai container di Ponte San Luigi, la frontiera alta tra Menton e Ventimiglia. Qui vengono concentrati i sans papiers fermati nell’intera Costa Azzurra e ben oltre. Inizia qui quel procedimento informale che la Francia continua a chiamare “riammissione”, ma che nei fatti altro non è che una vera e propria espulsione dal Paese. La Francia, presumendo che i migranti provengano dal territorio italiano, tenta di liberarsi del problema cercando legittimità nel trattato di Chambery e Dublino III passandoli in consegna a polizia e Croce Rossa italiana. I migranti non “riammessi” vengono spinti ad andare verso la Francia, per poi essere a volte nuovamente fermati, controllati, umiliati e deportati alla dogana.

Il 13 agosto, verso mezzogiorno, dal Presidio No-Borders siamo saliti a monitorare la situazione a ponte San Luigi. Alla frontiera francese una decina di migranti erano rinchiusi nel recinto di transenne davanti ai container usati come guardina. Quando ci siamo avvicinati, i migranti ci hanno riferito di trovarsi in stato di fermo da più di dieci ore, affamati e senza acqua. Notata la nostra presenza, la polizia francese ci ha allontanato, mentre provocatoriamente con una pompa spruzzavano acqua a terra all’interno delle barriere.

Dal lato italiano della frontiera, intanto, 20 persone provenienti dall’Africa e dal Pakistan venivano perquisite, private dei propri effetti personali e caricate su un autobus di linea della Riviera Trasporti, ben protetto da ingenti mezzi di polizia e carabinieri. Il pullman è poi partito pieno, per metà di agenti in divisa, scortato da due furgoni della polizia.

Quello a cui stavamo assistendo, segna un cambio di rotta rispetto alle solite modalità di “riamissione” dei migranti sul confine e al “ping -pong” che da mesi raccontiamo. Quando abbiamo chiesto chiarimenti agli agenti italiani, ci è stato risposto che la prassi era quella usuale. Niente di più lontano dalla verità, come lontane dalla frontiera di Ventimiglia sono Bari e Crotone, le destinazioni finali delle persone caricate sull’autobus. Dove erano dirette lo abbiamo scoperto direttamente dalla voce di alcuni dei migranti, precedentemente conosciuti alla frontiera di ponte San Luigi e alla stazione di Ventimiglia. Queste persone sono state deportate fino all’altro capo della penisola, a poche centinaia di chilometri dalle coste in cui ha avuto inizio il loro viaggio attraverso l’Italia.

Quel pullman li ha trasportati a Genova, in un aeroporto dove ad aspettarli c’era un volo charter con destinazione Bari. Alcuni di loro si sono rifiutati di salire, sono restati fermi, legandosi con le braccia l’uno all’altro. Al loro tentativo di riaffermare la propria libertà di circolazione, la polizia italiana ha risposto con la violenza: sono stati picchiati, separati usando le scariche elettriche dei taser, ammanettati e obbligati a salire.

Una volta arrivati a Bari sono stati portati al CARA, dove alcuni hanno dato le proprie impronte digitali sotto l’intimidazione dell’uso della forza. Chi si è rifiutato, è stato accusato di essere un terrorista, dunque minacciato di essere rispedito nel luogo di provenienza, o addirittura in Libia.

Nei loro luoghi di provenienza, come ci hanno detto, avrebbero preferito tornare, piuttosto che rimanere per anni segregati in quei centri disumani, dove tutto si riduce ad un’immotivata prigionia. Ancora una volta, il desiderio di libertà e di autodeterminazione di chi viaggia è stato più forte delle minacce tanto subdole e infami perpetrate nei loro confronti. Otto persone si sono rifiutate di concedere le proprie impronte, sfidando la violenza di una frontiera che ormai è ben più diffusa ed estesa di una semplice linea di confine tra stati.

La mattina seguente qualcuno è riuscito a scappare dal controllo della polizia del centro dove erano detenuti, riuscendo così a raccontare meglio la propria storia.
Con chi è rimasto al CARA di Bari abbiamo perso ogni contatto, probabilmente sono stati trasferiti a Crotone.

Di testimonianze e storie simili ne abbiamo ascoltate molte in questi mesi, raccontateci da uomini e donne libere/i, le quali ci ricordano come frontiere, violenze e intimidazioni non possano fermare il desiderio di libertà.

WE ARE NOT GOING BACK!

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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