Irma Bandiera combattente per la libertà
Il 14 agosto 1944 nei pressi del Meloncello il cadavere di una giovane donna coperto solo da una vestaglia rossa a pois bianchi giaceva a terra, esposto alla vista di chiunque passava, usato come monito.
Due militi montavano di guardia ai poveri resti. Chi era questa disgraziata? Ben presto tutti capirono: si trattava di Irma Bandiera, staffetta e gappista partigiana, nota con il nome di Mimma, che in quel quartiere era nata. Ma cosa era successo? Cominciamo dall’inizio. Irma Bandiera era nata a Bologna l’8 aprile 1915 in una famiglia abbastanza benestante. I suoi studi si erano fermati alla licenza elementare, ma la giovane donna aveva una pronta intelligenza e aveva goduto di buone letture. Cresciuta in un ambiente antifascista, aveva ben presto acquisito una sua personale consapevolezza politica e si era iscritta al PCI clandestinamente. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il suo fidanzato era stato richiamato e purtroppo non era più tornato. Alla caduta del fascismo e in seguito alla nascita di gruppi di resistenza, la ragazza era entrata a far parte della VII Brigata GAP “Garibaldi”. A causa dei continui bombardamenti su Bologna, si era trasferita a Funo di Argelato, presso l’abitazione di una zia materna, ma aveva sempre continuato nella sua attività di staffetta. In quell’estate del 1944 nella Bassa bolognese erano successi alcuni episodi molto cruenti: ultimo fra tutti, ad Argelato il 5 agosto i partigiani avevano ucciso un gerarca e un ufficiale tedesco.
La rappresaglia non poteva tardare, e così fu. La notte del 7 agosto, con la complicità del marito di sua zia, Irma Bandiera fu arrestata. Lei, appena tornata a casa dopo una missione, fu portata via così com’era: indossava la camicia da notte, una vestaglia (quella con la quale fu ritrovata) e un impermeabile sulle spalle. Insieme ad altri antifascisti fu portata nell’edificio delle scuole elementari di San Giorgio di Piano. A Bologna, la madre, non appena saputo che Irma era stata arrestata, si affrettò a distruggere tutte le carte compromettenti; a Funo erano stati purtroppo ritrovati alcuni documenti falsi, pronti per essere consegnati ad altri compagni di clandestinità. Nel frattempo, i partigiani furono trasferiti ad Argelato e fucilati sulle macerie della Casa del Fascio, che tempo prima avevano fatto saltare in aria.
Tutti ad eccezione di Irma. A lei toccò ben di peggio. Fu trasferita a Bologna e affidata a Bruno Tartarotti, conosciuto come “il boia in camicia nera”. Costui, pur di farle confessare i nomi dei compagni, i luoghi dove si nascondevano e le loro strategie di intervento, la fece sottoporre ad ogni sorta di tortura: fu perfino accecata perché guardava i suoi aguzzini con sguardo fermo e sprezzante. Il 14 agosto, visto che nonostante tutti i supplizi subiti, Irma non aveva aperto bocca, i fascisti la portarono sotto casa sua, in via Gorizia, e le diedero, secondo loro, un’ultima possibilità di salvarsi se avesse parlato. Ma lei, ancora una volta, non mollò.
A quel punto, venne uccisa. Adesso giaceva lì. Il corpo martoriato e offeso ricevette l’omaggio di moltissimi bolognesi che ben presto avevano saputo quello che Irma aveva subito.
Diventata subito un simbolo e un esempio per donne e uomini della Resistenza, dopo la Liberazione fu insignita della medaglia d’oro alla memoria.
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