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Come gli europei vanno incontro all’era complessa

Continuiamo la pubblicazione di contributi in vista della terza edizione del Festival Altri Mondi / Altri Modi che si terrà dal 10 al 13 aprile a Torino. Di seguito potete trovare un interessante articolo di Pierluigi Fagan sulla congiuntura europea. Fagan parteciperà al dibattito di sabato 12 aprile alle 16 dal titolo “Scenari della guerra globale“.

L’articolo è apparso originariamente sul suo blog.

Buona lettura!


Gli americani si svincoleranno non solo dall’Ucraina, ma più in generale dall’Europa in termini di presenza e investimenti militari diretti. Questo è in osservanza con la loro strategia di diminuire la spesa statale e rassicura Mosca sul fatto che questa amministrazione non ritiene Mosca un nemico strategico. Tale ritiro potrebbe estendersi oltre l’Ucraina ai paesi europei annessi alla NATO dagli anni ’90 in poi.

Questo non ha nulla a che vedere con altisonanti ritiri dalla NATO. La NATO è una alleanza in cui, secondo Washington, ognuno porta il suo adeguato contributo, quello dell’Europa non lo è. Washington è volta strategicamente al Pacifico; quindi, l’Europa deve fare una NATO europea, che se la sbrighi da sola.

Mosca sarà assai contenta di aver da fare militarmente con l’Europa e non con gli USA, sia perché non ritiene l’Europa un nemico strategico (la somma dell’arsenale atomico UK+Francia arriva al 10% di quello russo, a parte il problema dei vettori -missili e aerei- su cui siamo a “carissimo amico…”, ma è un problema molto più complesso che non l’inventario delle armi), sia perché la minaccia militare europea è e rimarrà sostanzialmente inconsistente, in teoria “difensiva” e non certo offensiva.

Kiev avrà così un suo parvente senso di protezione per quanto relativa, una Kiev a cui gli accordi Trump-Putin vietano l’adesione NATO, ma concedono quella alla UE, sempre che questa si voglia prendere tale fardello in carico. Vai poi a giustificare perché continuare ad armarla, ma non portarla nel mercato comune e pagarne la ricostruzione. Sul piano economico, Kiev regalerà siti minerari agli USA che così non solo risparmieranno, ma guadagneranno. Gli investimenti estrattivi e neo-tecnologici americani (vecchio progetto di Zelensky per una nuova nazione start-up high tech anarco-capitalista), saranno “protetti” dagli europei, è un rischio, ma relativo.

Leva usata da Washington verso l’Europa saranno i dazi, più spesa militare-meno dazi, meno spesa militare-più dazi. Con aggiunta la seduzione fiscale in caso di trasferimento delle proprie imprese che vogliono continuare a vendere in USA. In più, gran parte della nuova spesa militare europea andrà a vantaggio diretto della vorace industria militare americana senza dovergli dare una guerra diretta come motore di produzione e profitto (anche perché sono annunciati tagli alla spesa militare diretta USA e riconfigurazione dei settori di punta). Questo schema sarà applicato anche in altre parti del mondo delle alleanze e protezioni americane in giro per il mondo (Giappone, Corea, Taiwan, mondo arabo, Asia etc.). Per Taiwan, il prezzo annunciato è condividere l’azionariato in TSMC e dislocare produzioni in USA. In questo senso il mondo sarà momentaneamente più “pacifico” poiché intento ad armarsi. “Si vis pacem, para bellum” si diceva da Platone a Vegezio, la pace si ottiene con la paura della forza del nemico ha detto Trump.

Le nuove relazioni con Mosca prevedono la possibilità di riprendere a fare affari diretti nell’estrazione delle energie fossili, anche nell’Artico se non direttamente in Siberia, pane per una congrua parte degli sponsor economico-politici petro-carboniferi di Trump, già ossequiati dalla svolta anti-ecologica travestita da anti-woke per la gioia aggiuntiva di vaste platee di imbecilli e decerebrati.

L’Europa sa tutto questo ed è per questo che continua ed anzi amplifica la surreale costruzione del “grande pericolo russo” alle porte di casa. Quale platea elettorale nazionale europea potrebbe mai accettare e condividere questa svolta militarista per economie, bilanci, debiti pubblici già sotto pressione, senza la costruzione del “grande nemico alle porte”? Viceversa, come giustificare dopo tre anni di deliri, una eventuale svolta diplomatico-pacifica senza perdere del tutto la faccia ed ogni residua credibilità politica per le proprie élite?

[In realtà, nonostante tutti gli sforzi prodotti in questi tre anni, secondo ricerca condotta dall’European Council for Foreign Relation, molta Europa non ritiene la Russia un avversario strategico]

A governo di quella banda di pecore belanti del subcontinente, ecco arrivare la vecchia, infida, Gran Bretagna. Prima un surreale fondo dell’Economist che consigliava agli europei di diminuire la spesa di welfare per aumentare quella militare, poi ieri è sceso in campo il Financial Times più o meno con lo stesso discorso ed anzi l’idea di un fondo comune e agenzia per la spesa comune, un comando strategico atomico congiunto, in cui Londra vede anche qualche sfogo per la “sua” industria militare, nonché la possibilità più ampia di tornare a fare affari con l’UE visto che il piano Brexit non ha funzionato strategicamente poi come immaginato.

Londra poi preferisce senz’altro scavarsi un ruolo ripristinando il triangolo con Parigi e Berlino piuttosto che avere a che fare direttamente con Trump, anche per loro la “svolta” dell’atteggiamento verso Mosca è impossibile, semmai voluta. Come poi già scrivono i liberali inglesi, tutto ciò è pro-tempore, è un “ha da passa’ a’ nuttata”, Trump non è eterno, prima poi il gioco cambierà di nuovo, ma questa nuova postura non dispiacerà neanche al pieno ripristino dell’internazionale liberale una volta che -se e quando- Washington tornerà in sé. Più armi per tutti è un ottimo modo per andare incontro al mondo dei prossimi anni e decenni, quindi meglio fare di necessità, virtù. Il bellico è sempre stato motore dello sviluppo tecnologico ed economico europeo, sin dalla prima modernità, se non dalla transizione da Medioevo e Moderno, visto che ormai siamo fuori dai nuovi settori di punta tecnologici, che altro ci rimane da fare?

I capitali in fuga da una Europa sotto dazi e spesa militare esogena e solo debolmente endogena, andranno a Wall Street, ma non solo quelli finanziari, anche quelli produttivi (aziende) e fiscali (capitalisti) a cui verranno promesse condizioni più attraenti. La cura ricostituente il bilancio USA passerà per la vampirizzazione dell’Europa e degli europei. Ogni organismo in crisi pompa più sangue dalla periferia a gli organi vitali.

Per gli arabi il discorso è noto, tutti allineati alla nuova Via del Cotone/Accordi di Abramo che sfocerà sulle coste mediterranee israeliane con Gaza trasformata in paradiso fiscale anarco-capitalista, utile non solo per tutte le imprese e investitori coinvolti nella realizzazione decennale del piano, utile anche a sabotare le ultime velleità fiscali degli stati europei allora alle prese con la diaspora fiscale di imprese e contribuenti facoltosi se non in USA, nel nuovo paradiso fiscale rivierasco. Meno tasse, meno welfare, più privatizzazioni, più libero pascolo per il capitale anglosassone.

Di contro, per gli europei, nuovi potenziali commerci con l’area sud asiatica, energie fossili meno costose dello shale americano, magari anche qualche joint venture per le nuove trivellazioni mediterranee. Tanto, nulla di ciò sarà immediato.

Sì, va bene, andranno gestiti vari mal di pancia egiziani, turchi, qatarioti, ma si troverà il modo. L’Iran dovrà solo pregare di non esser direttamente attaccato da Tel Aviv e fare il pesce il barile altrimenti saranno dolori seri. Non solo Gaza diventerà una exclave americana, anche i Territori verranno assorbiti da Tel Aviv con dislocazione di parte dei palestinesi, assorbire quote di palestinesi diventerà il nuovo prezzo da pagare per gli arabi, sempre che vogliano entrare in torta al mega-progetto per il futuro dell’area e non trovarsi ostracizzati (corsa allo spazio, varie nuove tecnologie, forniture militari etc.) e colpiti da dazi ed altre disgrazie strategico-economico-finanziarie.

Qualcuno inorridirà e sospirerà che tra il dire e il fare c’è di mezzo l’imponderabile. Vero, ma nella nuova Era Complessa o hai un piano o sarai spianato da chi ce l’ha e ha la potenza per tentare di perseguirlo. Noi europei, ammesso esista tale entità non solo geograficamente (come diceva dell’Italia Metternich), non abbiamo né il piano, né la potenza, né adeguate accoppiate “élite-popolo” in grado di procurarseli. Non abbiamo, né possiamo avere la soggettività geopolitica che presuppone quella statale, ma abbiamo legioni di aspiranti Machiavelli che suggeriscono l’Europa dovrebbe essere e fare così e non cosà, un voluminoso teatro dell’assurdo. Coloro che invece si ostineranno a sospirare che tutto ciò “non è giusto” consiglierei un lungo bagno di crudo realismo, la nostra negazione del reale è sempre più patologica.

Del resto, alcuni sono andati avanti anni sul problema israelo-palestinese a ripetere “una terra, due stati” che certo sembra una bella idea, peccato fosse impossibile, pensavate davvero che Tel Aviv si sarebbe fatta fare uno stato palestinese ai confini? Ora è la volta dell’Europa pacifista, o socialista o ecologica o terzo mondista o bricsista o amica della Cina. Noi riempiamo la realtà di discorsi, di irrealistiche “cose buone da pensare” e dire. Abbassa l’ansia da dissonanza cognitiva, ma non può produrre nulla di concreto perché non ha basi realiste, ma idealiste. L’idealismo può darci il punto sul lontano orizzonte a cui tendere, ma per direzionarci e procedere tocca fare i conti col mondo reale, costruire nel tempo soggetti dotati di una strategia articolata e molto concreta e relativa potenza per perseguirla.

Come diceva il buon De Maistre “Ogni popolo ha il governo che si merita” e noi queste élite ce le meritiamo tutte, sono lo specchio della nostra insipienza (popolare, intellettuale, culturale, politica), potete insultarle quanto volete, ma è come sputare sullo specchio.

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