
I giovani come pericolo pubblico
Nel giro di pochi giorni abbiamo assistito ad una sequenza che indica un cambio di passo da parte del governo nei confronti della cosiddetta “pubblica sicurezza”.
Dopo l’approvazione del “Decreto Sicurezza” con firma in calce del Presidente della Repubblica Mattarella, al netto di risibili modifiche, abbiamo assistito nel giro di tre giorni alle cariche di sabato nei confronti della manifestazione nazionale in solidarietà con il popolo palestinese di Milano e a quelle di domenica durante un rave party che si teneva a La Cassa in provincia di Torino.
I video di entrambi gli eventi lasciano poco spazio all’immaginazione: a Milano la polizia è intervenuta spaccando a metà la manifestazione senza che ci fossero motivazioni tali da giustificare un’azione del genere e portando in questura una decina di manifestanti, a La Cassa chi gestiva l’ordine pubblico sembra abbia scelto di agire una punizione collettiva nei confronti dei partecipanti al rave party per non aver accettato di consegnare l’impianto e gli organizzatori colpendo i mezzi che uscivano dall’area della festa e caricando i giovani.
Entrambi questi eventi mostrano un cambio di postura delle forze dell’ordine che si è già manifestato episodicamente negli scorsi anni, ma che evidentemente in concomitanza con l’approvazione del decreto necessitava una dimostrazione muscolare.
In entrambi i casi le modalità messe in campo dalla polizia hanno messo da parte le balle sulla de-escalation e sulla gestione responsabile delle piazze inscenando vere e proprie provocazioni atte ad alzare la tensione piuttosto che a diminuirla. In entrambi i casi poi a ricevere le manganellate sono giovani e giovanissimi che volevano esprimere il proprio dissenso nei confronti del genocidio in corso a Gaza o semplicemente svagarsi.
Questi attacchi polizieschi non hanno l’obiettivo di difendere una presunta “pubblica sicurezza” violata, ma hanno lo scopo di intimidire chi scende in piazza e chi si autorganizza per vivere un momento di svago fuori dai circuiti commerciali.
Il governo Meloni sta completando la parabola aperta da tempo atta a trasformare i giovani in un pericolo pubblico con l’aiuto dei media mainstream e dei vari commentatori liberal che quotidianamente sprecano litri d’inchiostro moraleggiante su “maranza”, “manifestanti violenti” e chi più ne ha, più ne metta. Se qualche anno fa i giovani erano “choosy”, “fannulloni”, oggi vengono presentati come teppisti, violenti e degenerati. In questo clima costruito artatamente da narrazioni che mirano a terrorizzare la popolazione alla polizia viene lasciata mano libera per imporre un nuovo “disciplinamento” a suon di manganellate, sperando in tal modo di spezzare la voglia di ragazzi e ragazze di scendere in piazza e di costringerli ad un ritorno nel privato. Non solo: le manganellate su studenti, giovani e manifestanti sono pura propaganda nei confronti di quella parte dell’elettorato di destra che attende risposte sull’insicurezza percepita che in realtà ha origini e motivazioni ben più complesse.
Lo stesso Decreto Sicurezza risponde in parte a questa logica in un quadro in cui le forze dell’ordine vengono trattate dal governo come un significativo blocco elettorale da accontentare in ogni basso istinto.
Nei prossimi tempi capiremo se questo atteggiamento della polizia diverrà organico o se è soltanto lo spot del decreto, ciò che è sicuro è che il tentativo di spegnere i comportamenti incompatibili dei giovani con la visione del governo andranno avanti.
Sono diverse le esigenze che emergono per resistere a questo attacco: in primo luogo bisogna porsi l’urgenza di favorire l’emersione di mobilitazioni larghe che riescano a coinvolgere e attivare soggetti sociali eterogenei, poi c’è la necessità di costruire una contronarrazione efficace in cui l’esperienza di/delle giovani si sintonizzi con quella dei molti e delle molte che vedono le proprie condizioni di vita peggiorare quotidianamente, infine è fondamentale non cadere nella trappola della divisione tra buoni e cattivi, ma riuscire a costruire un’unità basata sul riconoscimento reciproco all’interno delle lotte e dei territori.
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