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A Piacenza una razza di classe, granello di futuro.

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Una serie di riflessioni a margine delle recenti giornate di antifascismo militante.

Due settimane fa un militante della Lega Nord ha tentato di fare strage di africani a Macerata. Non è la prima volta che un militante di qualche organizzazione neofascista compie gesti simili, basti pensare a quanto accaduto a Firenze anni fa, dove un militante di Casapound sparò e uccise uomini africani. La novità degli eventi di Macerata è legata soprattutto ad una serie di circostanze e contingenze che hanno dato al gesto di Traini un valore politico dirompente, con effetti immediati su tutti i gradi della politica a partire dai corpi fino ad arrivare alle istituzioni.

Il gesto di Traini ha accelerato e radicalizzato la divisione del corpo sociale tutto sulla linea della razza, del colore della pelle. Essere africani, magrebini, di pelle scura dopo gli eventi maceratesi rende target eclatante il colore della pelle. Una verità di classe esperita in nord America, in Francia da decenni se non secoli, ora condizione di vita anche in Italia. Di classe, perché c’è nero e nero, perché il colore della pelle quando si tinge del rosso del sangue è quasi sempre rosso operaio e proletario dall’ovest e all’est di questo sciagurato occidente.

Nel contesto della crisi capitalistica attuale la cultura e la militanza suprematista e le variegate politiche della preferenza nazionale intensificano la violenza neoliberista sul fondo della classe, là dove lo sfruttamento non potrà che essere atroce e radicale, fino a quando il capitale collettivo non sarà costretto a decidere che è più conveniente l’automazione e l’innovazione tecnologica. Ci riferiamo alla forza lavoro che presiede alla circolazione e movimentazione della merci: l’operaio della logistica. E’ affianco a questo segmento di classe che vive un proletariato metropolitano egemonizzato dalla forza lavoro migrante, colta nelle sue molteplici figure di inquilino resistente agli sfratti o occupante di casa, di mano d’opera a basso costo, di forza-lavoro abbandonata nel territorio a causa della disoccupazione, di pusher, a vivere una condizione giovanile senza neanche la promessa di accesso ad una coesione sociale in crisi, come il calcio in faccia del fallimento della riforma sullo ius soli ha dimostrato a tantissimi giovani uomini e giovani donne che abitano nel nostro paese.

In questi anni è su questi segmenti di classe che ha insistito la violenza padronale e di stato con maggiore intensità, è contro di loro che la governance si è riarticolata, che le leggi sono state attuate, che la celere è stata comandata, che i crumiri hanno colpito e su cui il suprematismo bianco oggi si risoggettivizza anche in militanze assassine. C’è un perché e riguarda la classe: questo proletariato metropolitano “di magazzino e di quartiere” ha in sé una potenza straordinaria e sovversiva. E’ la forza lavoro su cui insiste l’accumulazione di capitale, e l’abitante dei territori urbani abbandonati dal welfare state dalla crisi neoliberista e oggi contesi dallo Stato solo nella figura repressiva. Questo segmento di classe in espansione è la minaccia del futuro e il 24 febbraio al corteo nazionale indetto dal SiCobas a Roma sarà importante esserci per manifestare assieme. Una nuova bestia operaia tenta di emergere facendo i conti con una condizione di classe durissima sia quando colta nel conflitto capitale lavoro sia quando colta nel territorio urbano. Le vertenze dei facchini e dei braccianti, le resistenze agli sgomberi di case ci parlano di un colore della pelle che non vuole farsi target del suprematismo bianco ma colore di un pugno che lotta e da battaglia!

Quanti passi indietro ha fatto la critica radicale accettando il discorso del “rifugiato”! E che scarto in avanti si impone oggi all’iniziativa antagonista! L’apparato di cattura del discorso “rifugiato” va scomposto e decostruito a partire dalla forza lavoro migrante che combatte. Il “rifugiato” non chiede protezione, ma esige compagni e compagne di lotta al proprio fianco consapevoli che quando la bestia operaia d’oggi si incarna nelle lotte non corrisponderà mai alla sacra icona operaia di cui si vagheggia e si attende l’arrivo. La giornata antifascista di Piacenza è questo granello del futuro di classe quando il proletariato giovanile si incontra e si stringe in cordone con l’operaio della logistica, lo sfrattato, e il disoccupato del quartiere. Non più target si diceva, ma protagonista della spinta in avanti della classe che non è l’educata passeggiata di un damerino o di una damigella e neanche l’ordinata marcia dipinta nei quadri del realismo sovietico. Bisogna farsene una ragione e ficcarsi questo dato per una buona volta in testa quando si ipotizza un processo collettivo di autorganizzazione.

C’è un territorio produttivo che segue quasi i margini della Pianura Padana dove il circuito logistico si fulmina tramite i picchetti e le lotte operaie. Pochi giorni fa in provincia di Pavia decine di operai protagonisti di una vertenza sono stati aggrediti per l’ennesima volta ai cancelli del loro magazzino dalla celere che non ha esitato a sparargli lacrimogeni in faccia mentre bloccavano la strada seduti a terra. Stesse cose avvengono in tutta l’Emilia come nel resto della Lombardia, Veneto e Piemonte. Come è possibile anche solo immaginare che questa componente operaia possa ammettere nel proprio territorio l’apertura di sedi dove la militanza suprematista bianca fa appello a scagliarsi contro di loro, o che sia ammissibile che le organizzazioni neofasciste aprano sedi e organizzino il proprio attivismo che abbiamo registrato essere anche omicida? Stessa cosa vale per i loro figli e figlie e amici e compagni del quartiere o di scuola che crescono ascoltando o facendo trap che negli ultimi mesi ha dato parola, suono e immaginario all’istanza di riscatto, più o meno individualista ed edonista, ma pur sempre riscatto di un segmento classe per un intera generazione. C’è qui una possibilità di militanza antifascista del nostro tempo. Non è uno sviluppo, unico, o necessario e lineare; anzi se guardiamo alla Francia l’ambivalenza di questa condizione di classe appare eclatante. Là dove il polo dell’islamismo è radicato e capace di organizzazione politica, il neofascismo della pelle scura può essere un magnete attrattivo e soggettivizzante.

Il granello di futuro da Piacenza ci parla quindi di una possibilità la cui espressione reale in questo caso chiama la militanza antagonista a confrontarsi e a prendere parte. C’è una forza lavoro migrante, c’è il suo movimento, che non è vittima e che non si fa imprigionare dall’apparato di cattura del “rifiugiato” e del discorso ongarolo, ma che ormai quasi invariante delle lotte d’oggi spinge e si fa avanti. Alla narrazione pubblica dei fatti di Macerata dove politici e media hanno dato spazio al dibattito legittimante la tentata strage di Traini, si oppone oggi una giornata di antifascismo militante cresciuta sul circuito antagonista delle lotte sociale e della giusta quanto scontata rabbia proletaria espressa. Il colore della pelle da target per il nemico si è fatto segnalatore di un futuro possibile; renderlo realtà è compito di un antagonismo e antifascismo militante all’altezza del nostro presente.

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