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Amedeo Mancini, boia di Emmanuel, è un fascista e un razzista!

Lo scorso 5 luglio intorno alle 14.30 di pomeriggio, Emmanuel Chidi Namdi – richiedente asilo giunto nella provincia italiana dalla Nigeria in cerca di scampo dalle atrocità di Boko Haram – è in pieno centro a Fermo con la sua compagna Chimiary. Reagendo agli insulti rivolti contro di lei da due individui, la coppia viene da questi aggredita; lei malmenata e lui ridotto in fin di vita. Già finito in coma durante il pestaggio, morirà poche ore più tardi. Come riportato da compagni locali, la notizia viene diffusa il giorno successivo da prefettura, questura e strutture ospitanti Emmanuel per diluire l’impatto emotivo della vicenda e tentare di difendere il fino ad allora quieto vivere del capoluogo marchigiano.

Dei due aggressori stanno emergendo le generalità: uno è Amedeo Mancini, un allevatore del posto. Chi, suo malgrado, lo conosce lo ricorda sempre in prima fila ai comizi di Salvini nella vicina Porto San Giorgio, pronto a difendere come improvvisato ma gradito servizio d’ordine quelle parole grondanti odio e xenofobia.

Ben altre sono le etichette con cui i media mainstream lo inquadrano: “ultrà”, abito buono per tutte le stagioni per criminalizzare gratuitamente e ben oltre questo specifico episodio un’intera categoria sociale. E “simpatizzante” di una generica “estrema destra” a cui, tra le righe dei giornali, idealmente contrapporre una “tifoseria opposta”. Assist peraltro già offerto alle narrazioni preconfezionate da Don Vinicio della comunità di Capodarco, la struttura di accoglienza del giovane.

Eppure dovrebbe essere impossibile definire una persona che ne apostrofa un’altra come “scimmia africana” diversamente da ciò che è: una schifosa canaglia razzista. E magari nostalgica di quei tempi in cui il fascismo mussoliniano non solo invadeva terre e depredava risorse altrui – ma lo faceva sentendosi titolato ad “aiutare a casa loro” quanti, dall’alto di una presunta superiorità etnica e cognitiva, non considerava altro che subumani.

La formula dell’omicidio preterintenzionale in altri tempi ha accelerato il carcere e la gogna sessista e razzista per il colpo d’ombrello inferto da Doina Matei. Ma chissà se reggerà per un “imprenditore” tricolore doc alto un metro e novanta e per il suo camerata, che hanno infierito assieme sul corpo già esanime di Emmanuel dopo averlo colpito con un palo di ferro divelto dal terreno – secondo la testimonianza di Chimiary.

A fiancheggiare la decisione dei giudici non è mancata un’ulteriore, tempestiva scarica di normalizzazione istituzionale. Dalla visita di Alfano, lieto di sfuggire all’ennesimo episodio di nepotismo e corruzione a cui ci ha ormai abituato il suo dicastero, alla questura locale (per promettere cosa?); alle sterili invettive della Boldrini, buone solo per mascherarne l’effettivo abbandono dei valori antifascisti da parte della Repubblica o essere strumentalizzate sui social in una fittizia contrapposizione italiani-migranti.

Dove erano questi signori negli scorsi giorni, quando nella vicina San Benedetto del Tronto due giovani bengalesi sono stati aggrediti da mano razzista e costretti a recitare versetti del Vangelo? Dove erano durante gli agguati di Casa Pound a Fermo ed in riviera contro giovani e studenti (ricordiamo a tal proposito le “imprese” del testimonial di Pivert Ruffini)? Dove erano durante i raid contro le sex worker a Porto Sant’Elpidio? Dove erano quando Mustafa ed Avdyl venivano uccisi da un altro imprenditore del fermano solo per aver reclamato la loro paga?

Nell’unirci al cordoglio della compagna di Emmanuel e dei suoi cari, pensiamo che questo debba comunque essere il momento in cui territori di provincia sempre più spremuti ed abbandonati a sé stessi (innumerevoli gli episodi di delocalizzazioni, chiusura di attività ed impoverimento generalizzato del territorio marchigiano negli ultimi anni; ma oltreconfine abbiamo anche gli esempi di Austria e Regno Unito, e le loro implicazioni globali) si ricompattino. E non solo nella denuncia e nello smantellamento dei piani di agibilità di discorsi e pratiche fasciste e razziste con percorsi militanti ed inclusivi – ma anche nella costruzione di un nuovo rapporto e radicamento territoriale che ne propizi la definitiva estromissione.

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