Tiburtino III, due giornate di mobilitazione per il quartiere
Le giornate di venerdì e sabato hanno registrato una grande mobilitazione nel quartiere di Tiburtino III, periferia nord-est di Roma. Abitanti, realtà sociali, sindacalismo di base, associazioni, collettivi e singoli hanno dato vita ad una due giorni che, per partecipazione e contenuti, assume la forma di una prima risposta non solo ai tentativi di infiltrazione dei fascisti sull’asse tiburtino, ma anche all’avanzata delle politiche e delle retoriche securitarie cittadine e nazionali.
Il quadrante tiburtino, nel bene e nel male, è balzato più volte sulle cronache nazionali negli ultimi tempi. Migranti, attacco ai quartieri ed alle case popolari, chiusura degli spazi di socialità e cultura slegati dal consumo, decine di casinò e sale slot, magazzini della logistica, numerosi stabili industriali abbandonati costituiscono un’ amalgama esplosiva che ha determinato il costante incremento di attenzioni da parte di tutte le forze politiche e delle istituzioni. Limitandosi alla questione migranti, solo per citare alcuni episodi degli ultimi mesi, i ripetuti sgomberi dello stabile dell’ex Penicillina; lo sgombero dell’edificio di via Vannina con centinaia di persone sbattute in strada senza alternative; gli ormai consueti sgomberi delle tendopoli nei pressi della Stazione Tiburtina. A partire dallo sgombero della baraccopoli di Ponte Mammolo nel Maggio 2015 si può notare una totale continuità di gestione nella questione migranti, da parte delle forze municipali, comunali e statali, esclusivamente come problema di ordine pubblico, finalizzato alla normalizzazione dell’emergenza creata ad hoc per fini politici ed economici. L’anno appena trascorso di amministrazione pentastellata, lungi dal rappresentare un punto di rottura con il passato, ha dimostrato una piena sintonia del Movimento grillino con la stretta securitaria del Pd nazionale targata Minniti. Le dichiarazioni della sindaca Raggi in merito, il crescente interesse dei 5 Stelle all’elettorato reazionario e conservatore, la connivenza più o meno mascherata con le organizzazioni di estrema destra, la dolosa mancanza di intervento politico nei confronti della plenipotenziaria questura romana hanno solo svelato formalmente meccanismi in atto ormai già da tempo.
Un dato, fortunatamente, da registrare sono le numerose reazioni a questo stato di cose da parte degli abitanti della Tiburtina e delle numerose realtà sociali che attraversano i quartieri della consolare. Lotte contro gli sfratti, mobilitazioni antifasciste, attenzione alla tutela del territorio, monitoraggio costante dell’operato dell’amministrazione locale e cittadina sono il termometro di una temperatura conflittuale in lenta, contraddittoria, non lineare ma costante crescita. Sempre per citare gli ultimi tempi, la nascita di nuove occupazioni abitative e socio-culturali, la creazione di comitati di quartiere dal basso, la nuova connessione al presente di una memoria collettiva importante come quella di Fabrizio Ceruso, le mobilitazioni contro i neofascisti al Tiburtino III, il blocco della Tiburtina dopo uno sfratto a San Basilio in solidarietà con lo sgombero di un’altra occupazione, la cacciata del banchetto di Casapound dal mercato di San Basilio sono testimonianza, seppur ancora troppo ristretta, di un tessuto sociale che sta cercando nuovi stimoli di attivazione.
In questo quadro si inserisce la mobilitazione a Tiburtino III degli ultimi due giorni. Nel quartiere sono presenti 3 centri d’accoglienza: un presidio umanitario della Croce Rossa Italiana, aperto a seguito dello sgombero di Ponte Mammolo, e due centri SPRAR, presenti già da qualche anno. Venerdì, in concomitanza con l’ennesimo, poco partecipato presidio di Casapound per tentare malamente di appropriarsi della vittoria politica rispetto alla scadenza di proroga del centro d’accoglienza di via del Frantoio, più di 500 persone sono scese in piazza ed hanno sfilato nelle vie del quartiere contro i veri responsabili dei veri problemi del quartiere. Disoccupazione, sfratti, mancata manutenzione delle case popolari, carenza di servizi e spazi di socialità sono i reali drammi quotidiani del Tiburtino come di tanti altri quartieri della capitale, da cui, con la solita retorica razzista e filo-padronale, le forze politiche di estrema destra tentano di deviare l’attenzione nei territori, strumentalizzando la giusta rabbia che attraversa questi contesti per legittimare la propria esistenza. Operazione avallata e persino sostenuta dall’amministrazione pentastellata che prima, a livello municipale, firma delibere di giunta piene delle menzogne fasciste sulle fantasiose problematiche create dai centri di accoglienza, e poi, a livello comunale, legittimando la presenza di Casapound ai tavoli di trattativa per decidere il futuro delle strutture di accoglienza nel quartiere(!). L’operazione della giunta Raggi per smarcarsi dalla situazione, ovvero la chiusura non del centro richiesto dai fascisti ma degli altri due SPRAR, rappresenta un escamotage dai contorni puramente elettorali che indirettamente legittima le richieste dei neofascisti, nulla cambia nelle problematiche del Tiburtino e negli strutturali problemi del business dell’accoglienza.La presenza massiccia alla mobilitazione antirazzista è un primo segnale di risposta all’angolo in cui si vorrebbero mettere le istanze degli abitanti, dei migranti e delle realtà sociali, soggetti che vivono realmente i quartieri popolari e conoscono bene gli obiettivi verso cui indirizzare la carica conflittuale derivante dal disagio quotidiano delle periferie. Una piazza numerosa, colorata e determinata nel fermare questo vortice di razzismo e menzogne ben lontano dalle esigenze del territorio. Una piazza che potrebbe essere il punto di partenza di un percorso, che parte dal quartiere per il quartiere, finalizzato ad affrontare in maniera seria le problematiche del Tiburtino e ricostruire un tessuto sociale unito e solidale.
Per dare seguito alla mobilitazione, a meno di dodici ore di distanza, la mattina seguente con un blitz all’alba attivisti del sindacalismo di base, delle realtà sociali e famiglie senza casa hanno occupato i locali lasciati vuoti dal trasferimento dei rifugiati che erano in accoglienza ai centri SPRAR di via del Frantoio. Un’ iniziativa di lotta che ha voluto subito restituire centralità e dignità ai problemi degli abitanti e dell’emergenza abitativa, rompendo con le strumentalizzazioni dei fascisti. L’occupazione ha posto subito il problema di fondo: usare i locali per rispondere, da un lato, all’emergenza abitativa, e dall’altra alle esigenze del quartiere. Nella trattativa con le amministrazioni comunali e municipali gli occupanti hanno ribadito le richieste: soluzioni ai problemi degli abitanti e del territorio, sbarrare la strada alla demagogia e alle strumentalizzazioni dei fascisti esattamente come il muro popolare del giorno prima che li ha messi alla porta dal quartiere. L’occupazione è successivamente terminata nel tardo pomeriggio, con la presa in carico da parte del Comune delle famiglie in emergenza abitativa e l’appuntamento per le prossime settimane per decidere il futuro del centro ed evitare speculazioni politiche ed economiche.
La partita su Tiburtino III e sulla Tiburtina, ovviamente, non è chiusa nei confronti di nessuna delle controparti. Sarà solo la determinazione degli abitanti e delle realtà sociali del territorio ad imporre la linea di azione sul quartiere e sull’interno quadrante, attraverso la costruzione di un rapporto di forza che ha visto nella due giorni di mobilitazione solo un primo, piccolo passo. Agire sulle linee di conflitto dei quartieri popolari, marcare la presenza sul territorio, muoversi su più livelli di attivazione, saper dialogare con le componenti sociali di riferimento sono gli orizzonti da perseguire per cercare di interagire con la realtà che ci circonda, umilmente consapevoli di non avere la verità in tasca e dei limiti di una proposta politica ancora tutta da costruire.
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