InfoAut
Immagine di copertina per il post

#9/11, dieci anni dopo. Ciò di cui non si può parlare, si deve gridare

Poi, il tremendo epilogo: una dopo l’altra le Torri crollano al suolo, fotogramma dopo fotogramma, pixel su pixel, sommergendo di polveri, fumo e fiamme l’isola più famosa e desiderata del pianeta, uccidendo a migliaia tutti coloro che erano all’interno, i pompieri e le forze di polizia, gli astanti, le folle terrorizzate delle strade adiacenti. Per la città (la gente di New York, traumatizzata, lo ricorda bene, e non ne parla volentieri) si diffuse un odore nauseante di carne umana bruciata. Il mondo intero, riunito di fronte all’oggetto creato e diffuso dalla civiltà che le Torri rappresentavano – il teleschermo – restò per un attimo silente, sgomento. Cos’era successo? Soprattutto, come aveva potuto succedere? Davvero la storia si era affacciata così, all’improvviso, nell’epoca della sua fine presunta, in modo enigmatico e violento, in quella fine d’estate? E soprattutto: cosa sarebbe successo ora? Questa fu l’unità nello stordimento della nuova patria globale, nel primo anno del Terzo Millennio; un’umanità recente, in costruzione a partire dall’altro grande crollo architettonico, meno cruento e ben più potente, un decennio prima – quello del Muro di Berlino. Questo sgomento unitario, quest’attimo dell’umanità che trattiene il fiato, è ciò che è stato raccontato incessantemente da quel giorno ad oggi; oltre alla violenza, è questo che l’11 settembre è diventato nella memoria spettacolare imposta collettivamente; ed è questa memoria, questo mito di fondazione mancato, che vengono oggi glorificati, accanto alle formalità del lutto e della commemorazione delle vittime.

Qualcosa resta rimosso attraverso questo voltarsi indietro disciplinato, politicamente sospetto, mediaticamente militarizzato: ci incarichiamo di ricordarlo. È qualcosa che rimane al di qua della memoria ufficiale, di cui non si dovrebbe o potrebbe parlare: l’inizio della fine del silenzio e dello sgomento su tutto il globo, l’esplosione di gioia di una parte di quel mondo, quel giorno. È l’irrimediabile contraddizione al cuore della narrazione e del mito: l’inizio della guerra permanente con le sue radici materiali profonde, la spaccatura insanabile e lacerante nell’umanità del nuovo secolo, divisa tra gioia e preoccupazione, esaltazione e terrore. Una parte del genere umano cominciò in quelle ore a festeggiare. Dall’India all’Egitto, dall’Iran alla Palestina, dalla Nigeria all’Ecuador intere popolazioni, o grandi settori di esse, hanno espresso il loro godimento con parsimonia o esaltazione, tra manifestazioni di esultanza, brindisi discreti, scandalosi abbracci, solitari sorrisi – anche dentro le metropoli occidentali. L’eredità di questo scandalo è ancora calda nei quartieri arabi di Parigi, in quelli pakistani di Londra, in quelli africani di Roma, dove la figura del defunto sceicco saudita è ancora oggi, per molti, un mito, o nei bar indonesiani dove, alla parola “grazie”, anziché rispondere “prego” (“Samà-samà”), ancora oggi molti camerieri rispondono “‘Samà Bin Ladén!”; ed è diverso commentare l’11 settembre sul palinsesto della CNN o tra i barrios di Caracas, nelle periferie di Bogotà, nei più disastrati sobborghi di Mosca; né sarà facile trovare pietà per i morti del World Trade Center a Kabul, a Baghdad, a Gerusalemme o a Gaza, e persino – per un apparente paradosso storico – in alcuni tra i casermoni più fatiscenti di quella che un tempo fu Berlino est.

Com’è possibile, ci si può chiedere, gioire per la morte, anche atroce, di un altro essere umano, di migliaia di esseri umani? Come hanno potuto così tanti abitanti delle Grandi Mele globali rallegrarsi per la sofferenza della Vecchia Mela, del prototipo politico, economico e tecnologico di tutte quelle che l’hanno seguita nella storia del capitalismo? La complessità delle reazioni emotive seguite all’attentato ha fatto, questo sì, dell’11 settembre un major event: un evento globale, accaduto in qualche modo in tutto il mondo. Ha permesso al florilegio delle lingue, delle religioni, delle esperienze e delle memorie di concepire la possibilità di una ferita nell’unica superpotenza mondiale, nel gendarme globale, nel grande magazzino di insegne pubblicitarie da esportare nel mondo con gli affari, con i complotti, i colpi di stato e le bombe; e ha dato la possibilità alla superpotenza stessa di esportare ancora qualche insegna e qualche complotto, e una valanga di bombe su cinque paesi in dieci anni (Afghanistan, Pakistan, Iraq, Yemen, Libia) con un corollario di milioni di morti, giustificati ora in termini di vendetta, ora in termini di sicurezza preventiva, ora in termini di liberazione delle donne o imposizione della democrazia. In questo senso l’11 settembre è un tremendo concentrato di ambivalenza politica e, paradossalmente, l’episodio meno adatto ad essere accostato nei termini manichei, ed essenzialmente pilateschi, del bene e del male.

Bene per chi? Male per chi? Lo sguardo crucciato del cittadino onesto, che non ha bisogno del terrorismo per sentirsi terrorizzato, non è che la manifestazione grave e profonda della sua ignoranza, e del fatto che altri mille 11 settembre, altri mille attentati o massacri saranno possibili, finché una diversa consapevolezza politica non saprà produrre un sapere diverso sulle verità amare dell’odio sociale, dell’odio post-coloniale, dell’odio di classe. Anche quello del 1973, a Santiago del Cile, fu un 11 settembre con migliaia di morti. A organizzarlo furono gli Stati Uniti, e il Cile paga ancora in questi giorni le conseguenze del neoliberismo che allora la dittatura filoamericana impose sul paese; tutto il mondo, in verità, è da allora stato colonizzato dal modello unico del conservatorismo liberale, dal linguaggio sordo dello sfruttamento e della repressione della pluralità e del dissenso. Ed ecco che inizia la conta dei morti: “Quante migliaia di cadaveri hanno fatto i bombardamenti in Afghanistan, i massacri di Najaf, Ramadi e Falluja in Iraq? Quanti Israele con Piombo Fuso, nel 2008-2009, con la benedizione degli U.S.A. e dei loro alleati?”. Continuare sarebbe inutile, e non solo perché si tratta di un esercizio macabro e in parte sterile, ma perché il problema rappresentato da un mondo che produce lutti su lutti non si risolve che a partire dai conflitti che in esso si producono, e non con la loro rimozione moralistica, buona forse per i mezzibusti del telegiornale.

L’11 settembre, per quanto autoreferenziale nella sua progettazione, ha saputo polarizzare il mondo: questo lo rende un evento di rilievo storico, e non una pietà che è scandalosamente selettiva, e per questo disgustosa. L’ambivalenza dell’accaduto è ciò da cui dobbiamo partire per interpretare il decennio: tragedia innegabile causata da un gesto di critica all’ordine globale; tentativo di una minoranza politicamente arretrata, organizzata e ideologizzata, di ergersi ad avanguardia del mondo contro il paese più forte, ma anche Reichstag degli anni 2000, casus belli per giustificare i peggiori crimini lungo l’arco di un decennio. Per dieci anni è sembrato che, al di là delle manifestazioni partecipate ma poco incisive dei movimenti contro la guerra, l’unica opposizione a tale ordine, in un mondo orfano del comunismo, fossero i militanti armati dei paesi occupati, o quelli pronti a portare la guerra in casa al nemico e nei suoi villaggi vacanze, da Madrid a Londra, da Bali a Sharm El-Sheik. Oggi tutto sembra diverso. Il mondo arabo vuole rivoluzione e modernizzazione, l’occidente vacilla nelle sue deficienze economiche e nelle sue sclerosi finanziarie, e gli Stati Uniti perdono le guerre che hanno inziato, mentre migliaia o milioni invadono le strade da Tunisi a Damasco, dal Cairo ad Algeri, da Atene a Madrid, si dedicano al saccheggio dei quartieri di Londra.

Il decennio iniziato con l’11 settembre è in questo senso concluso. Mohamed Bou’azizi, il ragazzo che si è dato fuoco in Tunisia, dando inizio al domino delle rivolte globali, ne ha inaugurato uno nuovo. Una morte singola, ottenuta per scelta al colmo della disperazione, ha aperto il tappo del malcontento mondiale per l’ordine costruito in questo decennio con lo sfruttamento, la guerra, la paura. Qualcosa è nell’aria, e appare in grado di disperdere la cappa nera e buia, reazionaria e cupa che il crollo di New York ha allargato sul pianeta a inizio secolo. Evento complesso e drammatico, ancora tutto da decifrare, l’11 settembre ha rappresentato anche un inquietante dispositivo di sperimentazione del controllo mediatico, comunicativo, politico e d’opinione, tentando, anche con successo, di imporre in occidente il diktat della narrazione ufficiale, l’uniformazione dei punti di vista con la scusa del nemico esterno/interno, e la minaccia di ciò che non si può definire a beneficio dell’arbitrarietà poliziesca e giudiziaria: il fantasmatico “terrorismo”. Purtroppo per loro, non è stata certo la comparsa della violenza aerea là dove non era mai arrivata a farci smettere di ragionare, di riflettere, di pensare; e in questo senso ci sentiamo complici di tutti coloro che, in questi dieci anni, hanno tentato di pensare il significato di ciò che era accaduto altrimenti e, di ciò di cui non avrebbero dovuto parlare, non hanno taciuto.

redazione Infoaut

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Approfondimentidi redazioneTag correlati:

11 settembreguerrastati unititorri gemelle

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Gaza, un futuro di controllo della AI che ci riguarda

Se andiamo a leggere i piani di controllo dell’ordine pubblico prefigurati per la nuova amministrazione di Gaza, vediamo come questi convergano sulla previsione di un modello di sicurezza basato sull’integrazione di Intelligenza Artificiale (IA), robotica avanzata e sorveglianza aerea.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Un opuscolo su riarmo, genocidio e logistica della guerra

Ripubblichiamo un opuscolo realizzato dall’assemblea cittadina torinese STOP RIARMO.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Colonialismo accelerato: un piano contro la Palestina

Qual è la logica del piano Trump su Gaza? La costruzione di spazio meticolosamente controllato e depoliticizzato, cioè pacificato, per la circolazione, il consumo e la produzione del capitale.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il bluff dell’ intelligenza artificiale

Perché la bolla speculativa è solo la punta dell’iceberg di un piano per consolidare il potere.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

L’ottavo fronte: la Cupola di Ferro Digitale di Israele e la battaglia narrativa

Mentre i suoi militari bombardano Gaza, nonostante l’accordo per un cessate il fuoco, Tel Aviv lancia un’offensiva parallela su internet volta a mettere a tacere le narrazioni della Resistenza, manipolare le percezioni globali e riprogettare la memoria digitale dei suoi Crimini di Guerra.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Ecocidio, imperialismo e liberazione della Palestina/1

La devastazione di Gaza non è solo genocidio, ma anche ecocidio: la distruzione deliberata di un intero tessuto sociale ed ecologico.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Perché Trump vuole “salvare” Milei

Swap multimilionario del Tesoro Usa in cambio dell’impegno a cacciare la Cina dall’Argentina. Sospetti di fuga di fondi speculativi.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Perché la Silicon Valley sostiene Trump

Nei racconti della Silicon Valley scritti da sé medesima, tutti disponibili in rete o in libreria, si legge di un capitalismo eccezionale, guidato da uomini fuori dal comune.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Lo storico israeliano Avi Shlaim ha abbandonato il sionismo molto tempo fa. Ora è al fianco di Hamas

Shlaim, dell’Università di Oxford, sostiene che Hamas incarna la resistenza palestinese e si allontana persino dai suoi colleghi più radicali.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Gli Stati Uniti e il «capitalismo fascista»

Siamo dentro a una nuova accumulazione primitiva, a un nuovo ciclo strategico innescato da Trump.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Nuovo DDL nucleare: via libera all’energia dell’atomo in Italia. Alcune considerazioni per prepararsi al contrattacco

Pubblichiamo il primo di una serie di contributi sul tema del nucleare. Questo testo è stato realizzato dal collettivo Ecologia Politica di Torino che prende parte al progetto Confluenza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Dalla strategia di Trump ai pakal

Nelle analisi non è bene separare le diverse dimensioni della dominazione, né di nessun oggetto di studio.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

USA: quasi 7 milioni di persone partecipano alla giornata di protesta No Kings Day

Di seguito traduciamo il comunicato del movimento No Kings dopo l’imponente mobilitazione di ieri che ha visto la partecipazione di milioni di persone in tutti gli Stati Uniti.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

La Procura, la Mafia e il Dissenso in salsa torinese

Domenica 12 ottobre una intera pagina della Stampa di Torino era dedicata al “Dissenso violento”.
Una pagina immonda (così immonda che non ce la sentiamo di pubblicarla) frutto della ormai consolidata collaborazione tra stampa e procura: il giornalista ricopia fedelmente il dispositivo emesso dal Gip, parola per parola, e correda il tutto con fotografie, nomi e cognomi dei giovanissim3 attivist3.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Alba: Blocchiamo tutto! Free Palestine!

Alba. Venerdì scorso un corteo in sostegno alla popolazione palestinese è partito da Zona h (parco cittadino) in direzione del teatro sociale: si inaugurava la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco; oltre al presidente della regione Alberto Cirio, era previsto l’intervento di Paolo Zangrillo ministro del governo Meloni.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La giudice federale impedisce a Trump di inviare truppe della Guardia Nazionale a Chicago

Il pendolo tra guerra civile e guerra esterna negli Stati Uniti di Trump oscilla sempre più vorticosamente.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bambini con armi anticarro: orrore a Palermo al villaggio dell’Esercito

Bambini con armi in mano più grandi di loro, giri sui carri armati, mentre nel maxischermo vengono proiettate immagini di soldati in azione.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Continuano le piazze per la Palestina e nella notte nuovo abbordaggio della Flottilla

Ieri, 7 ottobre, in particolare in due città italiane, Torino e Bologna, si sono tenuti appuntamenti per continuare la mobilitazione in solidarietà alla Palestina. Entrambe le piazze sono state vietate dalle rispettive questure in quanto considerate “inopportune”.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

La guerra è pace

Uno dei famosi slogan incisi sul Ministero della Verità del romanzo di George Orwell “1984” recita così.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Trump ritira il visto anche al colombiano Petro: troppo filopalestinese e anti-Usa

Alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Gustavo Petro ha scelto ancora una volta di alzare la voce contro quello che definisce l’ordine globale dell’ingiustizia.