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A proposito di NIMBY.

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Di seguito riportiamo un contributo pubblicato qualche mese fa sul portale di informazione antudo.info. Resta attuale il tema delle lotte territoriali e dell’opposizione alle grandi opere inutili e imposte. La grandissima partecipazione registrata all’assemblea del 26 gennaio a Roma ci dice che tanti “nimby” insieme possono raccontare e praticare un altro modello di sviluppo possibile.

 

 

Proprio qualche giorno fa in TV, durante un “approfondimento” sulle recenti vicende della TAP, un “esperto” sosteneva: “Si tratta di opere strategiche ma bisogna fare i conti con il deprecabile NIMBY” e il conduttore annuendo: “Oh certo, naturalmente NIMBY no; NIMBY è un problema”. Nimby: Not In My Back Yard (Non nel mio cortile). Questa espressione, biasimata da tutti i mass media sull’onda della scriteriata propensione a ripetere quello che i partiti e i loro esperti (e tra questi ultimi ci sono pure alcuni super-esperti di Legambiente) suggeriscono come “politicamente corretto”, è diventata la parola magica e il cavallo di battaglia di chi vuol delegittimare e imbavagliare le proteste dei territori contro opere ritenute inutili e dannose.

La cosa curiosa è che sui social, sui giornali alternativi e persino nelle assemblee di tante realtà territoriali in lotta ci si è lubrificati l’anima con l’espressione “Not in my name” a proposito delle guerre ed ora – di bonu a bonu – NIMBY è una schifezza, il segno di un egoismo viscerale, di una mancanza di senso comunitario, una sindrome. Ed è assai strano perché, invece, le due espressioni sono varianti di un medesimo discorso: la dissociazione da scelte ritenute errate, il rifiuto di un coinvolgimento in qualcosa di sgradito, la non condivisione di decisioni calate dall’alto. Insomma chi dice “Non nel mio cortile” è davvero da biasimare, davvero ha tutti i torti? Ma soprattutto è davvero “fisiologicamente egoista” come sostengono i fautori NO NIMBY? Proprio così, dicono che trattandosi di scelte fatte per il “bene comune” chi le combatte offende e osteggia il bene di tutti. Non solo, poiché LORO sono veramente altruisti – detentori del bene comune. Sostengono che le opere – vedi Tap, Tav, Biogas, ecc. – vadano fatte ad ogni costo: “esiste un bene comune da perseguire nonostante le opposizioni locali, cieche ad esso”. Le opposizioni locali sarebbero, quindi, cieche al “bene comune”. Ma il “bene comune” di chi?
Perché mai, per il “bene comune”, noi o i nostri cari ci si dovrebbe ammalare di leucemia? Non c’è qualcosa di malvagio in tutto questo? La risposta dei NO NIMBY è: “Ma se tutti dicono NO, l’opera non si può realizzare”. E allora? Non si realizzerà, si farà in altro modo, si cercherà un’altra via o se vogliono realizzarla per forza, allora la realizzino sotto casa loro o dentro il loro “gabinetto” di Governo.
Per farla breve per noi NIMBY non è “il peggior servizio che possiamo fare a noi stessi” come ritengono i timorosi delle parole dei governanti e dei loro tirapiedi. Il peggior servizio è cedere al biasimo che i governanti utilizzano – e gli affaristi attraverso loro – per portare avanti in modo ricattatorio i loro progetti. Il peggior servizio che possiamo fare a noi stessi è cedere alla paura delle loro parole.
Certo, per noi si tratta di trasformare lotte particolari in lotte generali, perché generale è la problematica dei territori e del loro utilizzo. Per noi la parola d’ordine è “non nel cortile di nessuno”. Il nostro “no agli impianti inutili e dannosi” è un elemento del programma di chi ritiene essenziale muoversi sul terreno dell’autogoverno dei territori.

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