
Pensare l’Europa oggi: spazi e soggetti delle lotte in tempo di guerra
RESET Against the War – invito alla discussione
Bologna 11 ottobre 2025
Lo scorso marzo si è tenuta a Roma la tre giorni Rearm? No, Reset, un incontro nazionale che ha visto protagonisti spazi sociali, collettivi studenteschi, femministi, ecologisti e antirazzisti, singole e singoli, coordinamenti e sindacati di base per affrontare e superare i blocchi che hanno impedito in questi anni la crescita di un ampio movimento sociale contro la guerra [leggi qui lo statement finale dell’incontro]. La continuazione del conflitto in Ucraina, l’acuirsi del genocidio a Gaza, il deflagrare dello scontro tra Israele, Iran e Stati Uniti, insieme ai piani di riarmo, hanno nel frattempo reso più diffusa la consapevolezza di come la guerra abbia modificato radicalmente lo scenario politico mondiale. In continuità con questa consapevolezza, si sono susseguite prima dell’estate diverse mobilitazioni e appuntamenti di piazza, sia a livello nazionale che europeo, contro il genocidio a Gaza e direttamente contro il piano ReArm, mentre nuovi appuntamenti sono già previsti per l’autunno. Guardiamo con interesse ad alcune di queste iniziative, mentre abbiamo preso parte attivamente ad altre, come la manifestazione del 21 giugno promossa dalla rete NoRearm, con uno spezzone in cui abbiamo portato la prospettiva e l’ambizione di uno sciopero sociale europeo contro la guerra. Tuttavia, in questo scenario in movimento, pensiamo sia necessario non solo condividere date e iniziative, ma continuare a costruire insieme una prospettiva che possa guidarci e orientarci tra svolte nella cronaca bellica, decisioni politiche e mobilitazioni di piazza.
A partire da questo contesto politico, con questo appuntamento vogliamo dare seguito alla discussione avviata a Roma affrontando una delle questioni emerse con forza durante la tre giorni e che, oggi, appare ancora più centrale: la necessità di fare i conti con processi che richiedono la costruzione di una capacità di immaginazione politica e azione transnazionale. Per noi questo significa ragionare su come lottare oggi in Europa.
Si tratta di una necessità non più rinviabile di fronte ai progetti di riarmo, alla crescente militarizzazione della società e a un contesto europeo che ha visto emergere lotte significative, ma anche la difficoltà di produrre percorsi comuni di discussione e iniziativa. Pensare lo spazio europeo significa non limitarsi a osservare le spinte di centralizzazione politica operate dalla Commissione su alcuni terreni, o le spinte sovraniste che hanno rimesso gli Stati al centro dell’iniziativa politico-istituzionale, né pensare che tornare a parlare di Europa fornisca delle soluzioni. Non si tratta dunque di essere europeisti o antieuropeisti, perché in ogni caso le politiche europee incidono pesantemente sugli spazi e i tempi delle nostre lotte. Dobbiamo organizzarci necessariamente dentro a questa Europa, sapendo che lo dobbiamo fare contro di essa e anche oltre i suoi confini istituzionali.
Con il piano ReArm Europe la guerra entra ancora più direttamente nei bilanci e nelle politiche della Commissione Europea e degli Stati Membri, per quanto con ritmi e intensità differenti tra i diversi paesi. L’Europa in guerra contro cui lottare non si lascia però riassumere nelle politiche di riarmo, come se in esse fosse possibile ritrovare una controparte con cui negoziare una quota di ricchezza sociale. ReArm Europe, infatti, non è solo un piano industriale militarista che pretende di asservire alla guerra la produzione, la ricerca e le spese sociali degli Stati e i fondi dell’Unione, ma è anche parte di una più generale intensificazione del comando sul lavoro vivo e sulla riproduzione sociale. Cosa c’è dietro il mostrare i muscoli di Stati e Commissione? L’ipotesi che vogliamo discutere è che il militarismo, il costante richiamo alla sicurezza e l’individuazione di nemici che assumono di volta in volta la faccia di migranti, donne, persone trans, lavoratori e di chiunque si ribella, in varie forme, dalle università alle periferie, esprimano soprattutto la ricerca di nuovi strumenti di disciplina sociale e quindi di coazione al lavoro per garantire i processi di accumulazione dentro un disordine transnazionale che li mette costantemente a rischio.
Come agiamo dentro questo quadro e che cosa vuol dire opporsi alla guerra e al riarmo in questa situazione? Crediamo che due siano gli assi intorno a cui costruire una risposta: in primo luogo, il riarmo non può essere inteso come politica isolata, ma è un pezzo della più generale trasformazione che attraversa l’Europa in guerra. In secondo luogo, l’opposizione al riarmo non può riconsegnarci al tempo breve della risposta immediata, una tendenza che abbiamo riconosciuto come una delle cause della difficoltà di costruire le condizioni di una forza reale. Il riamo e la guerra vanno certamente contestati in modo diretto, ma per liberarcene serve altro.
Non si tratta solo di svelare le incongruenze di chi dichiara di volere la pace preparando la guerra, ma di guardare ai campi reali in cui la guerra, il riarmo e il militarismo producono i loro effetti sociali e sulle condizioni di vita e di lavoro: i progetti di riconversione industriale che già attraversano le filiere dell’auto o quelle ‘verdi’; l’ampio indotto militare-industriale-tecnologico in cui la ricerca è messa al servizio della valorizzazione, così come il militarismo che si infiltra nella formazione e produzione culturale; le politiche della sicurezza e il modo in cui colpiscono le forme di organizzazione nelle metropoli; l’impatto della ridefinizione degli spazi logistici e infrastrutturali; la violenza e il razzismo istituzionale che si scaricano sui migranti; la ridefinizione dei regimi di welfare in ambito locale, nazionale e comunitario e il loro impatto sulle condizioni delle donne; il rafforzamento delle gerarchie di genere e di classe e la valorizzazione di donne e persone LGBTQIA+ solo quando sono funzionali alle strategie aziendali o all’arruolamento nei fronti di guerra. Guardiamo all’Europa non per evocare soluzioni o nemici, ma per tracciare sulla loro scala reale le diverse forze, i soggetti, le possibilità che compongono lo spazio e il tempo in cui ci muoviamo.
Per guadagnare il nostro spazio e il nostro tempo, abbiamo allora bisogno di discutere apertamente come questi processi ridefiniscono le possibilità e le prospettive di tutte le nostre lotte, incidendo sulle possibilità di comunicazione e di organizzazione tra soggetti che vivono differenti condizioni di sfruttamento e di oppressione. Discutere di Europa in guerra significa anche riconoscere le diverse forme e modi in cui il lavoro vivo interagisce con le istituzioni (comunitarie, nazionali e locali) tanto in termini di contrattazione quanto di prestazioni sociali: viviamo un tempo frammentato, nel quale si moltiplicano le gerarchie interne tra lavoro autoctono e migrante, tra uomini, donne e persone lgbtq+. Inoltre, oggi la sfida dell’organizzazione non può che fare i conti anche con la mobilità transnazionale degli stessi soggetti che con i loro comportamenti si oppongono quotidianamente ad ogni pretesa di comando e di ordine.
Vogliamo discutere collettivamente a partire da alcune domande-guida: che cosa vuol dire indicare l’Europa come spazio minimo di organizzazione all’interno di un disordine transnazionale che la guerra ha reso evidente? Quali strumenti per rafforzare la comunicazione e i percorsi comuni tra soggetti che vivono condizioni differenti, in un momento in cui il militarismo divide questi soggetti e le loro istanze? Come organizzarsi quando, con la crisi delle mediazioni sociali e istituzionali, individuare una controparte contro cui lottare si fa sempre più difficile e i processi transnazionali rendono ancora più ardua la possibilità di localizzarla in un singolo luogo? Come rendere evidente l’impatto sociale e sui processi di produzione e riproduzione del piano ReArm Europe? È possibile immaginare collettivamente una strategia, delle forme e delle modalità per andare oltre la reazione e la resistenza per pensare e rafforzare un processo di sciopero dentro la dimensione transnazionale?
Sulla scorta di queste domande, stiamo costruendo un programma di discussione il cui scopo è permettere un confronto franco e aperto a partire da problemi comuni. Reset è uno spazio di discussione e una proposta di organizzazione che, partendo da questo ‘metodo’, non è ristretto alle realtà che lo hanno animato sin qui: per questo invitiamo chiunque voglia partecipare alla costruzione della giornata a contattarci.
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