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Algeria: intervista al coordinamento dei sindacati autonomi universitari

 

Mentre in Tunisia lo scontro tra il regime di Ben Ali e la piazza rivoluzionaria stava raggiungendo livelli altissimi anche in Algeria scoppiò una rivolta che portò in strada per giorni moltissimi giovani e meno giovani a scontrarsi ripetutamente con la polizia…

 

Le rivolte che si sono succedute in Algeria sono iniziate il 3 gennaio a causa di un “ras le bal” , un “non se ne può più”, generalizzato provocato dallo stato di miseria in cui vive la più parte del popolo algerino e dalle provocazioni della polizia. Pochi giorni prima c’era stato un incontro di calcio seguito da una forte repressione poliziesca scatenata per niente: non c’erano state provocazioni delle tifoserie contro le forze dell’ordine, neanche una scaramuccia, eppure la polizia ci andò con la mano pesante. È stata quella la scintilla che ha provocato la rivolta di Bab El Oued, un quartiere popolare molto famoso di Algeri. Da lì con una rapidità incredibile iniziò qualcosa di simile ad un contagio e la rivolta si allargò agli altri quartieri di Algeri, e poi alle altre città.

In poche parole come un quartiere vedeva che l’altro si muoveva iniziava a rivoltasi subito e così via. All’inizio erano in strada soprattutto giovani e giovanissimi proletari ed è un gran peccato che in quell’occasione gli intellettuali e i partiti della sinistra rivoluzionaria non hanno seguito il movimento, non hanno voluto o non sono riusciti ad intervenire nella rivolta. Eppure le condizioni per costruire qualcosa di meraviglioso c’erano tutte, far partire una rivolta generalizzata e duratura era possibile. Davvero un gran peccato non aver colto quell’opportunità.

 

Quali sono state le ragioni che hanno lasciato a guardare la rivolta popolare dalla finestra gran parte degli intellettuali e dei partiti dell’opposizione algerina?

 

Innanzi tutto in Algeria non ci sono intellettuali che vivono in prima persona le condizioni reali di vita dei giovani proletari del paese. Certo, ci sono intellettuali ed intellettuali, ci sono quelli che vivono e lavorano per il sistema clientelare del regime, e altri che si rifiutano, che sono dell’opposizione, ma la loro distanza e la distanza dei partiti anti-regime con i ceti popolari è amplissima. I partiti dell’opposizione in quelle giornate non hanno mostrato alcuna voglia di organizzare con i giovani proletari qualcosa, niente di niente.

 

Eppure in Algeria le lotte organizzate per il diritto alla casa coinvolgono migliaia e migliaia di famiglie…

 

Hai fatto bene a citare la lotta per il diritto alla casa che in Algeria mettono a nudo il sistema clientelare del regime: quando vengono assegnate le case pubbliche in un modo o nell’altro vengono sempre favorite le famiglie vicine al capo della municipalità, della prefettura. E’ per queste ragione che c’è una rivolta ad ogni pubblicazione di liste per l’assegnazione di case pubbliche. Non appena vengono rese note le liste dell’assegnazione trovi sempre già centinaia di poliziotti schierati in tenuta antisommossa nei quartieri proletari. Ma la distribuzione delle case può sortire anche effetti differenti, ad esempio se il regime ha paura di una rivolta come quella di gennaio per far calmare il popolo, oltre alla repressione, ricorrerà subito all’elargizione di qualche tetto proprio nei quartieri più arrabbiati, proprio come nel caso delle rivolte dello scorso gennaio. Ma poi è ovvio che ci sono famiglie e persone che nella lotta per il diritto alla casa si sono molto politicizzate e che rifiutano queste mosse rifiutandole e denunciando che non ne possono più della “hogra” (ingiustizia, umiliazione in arabo dialettale nordafricano, ndr).

 

 

Finite le rivolte dei primi giorni di gennaio mentre Ben Ali in Tunisia era già fuggito da qualche giorno e Mubarak in Egitto era prossimo a perdere il potere incalzato dal movimento rivoluzionario egiziano, anche in Algeria i partiti d’opposizione al regime e la società civile hanno iniziato ad incontrarsi promuovendo una campagna pubblica “per il cambiamento democratico” sul modello degli altri paesi nordafricani, anche tramite il lancio di giornate della collera…

 

Alla prima manifestazione eravamo circa 8000 persone ad essere scese in piazza ad Algeri rispondendo all’appello del Coordinamento Nazionale per la Democrazia e il Cambiamento. Era il 2 febbraio e la manifestazione era iniziata alle 10h per concludersi verso le 14h. Ci fu fin da subito una forte repressione poliziesca: a colpi di manganelli il corteo fu spinto in una piccola strada laterale e il corteo quasi non riuscì a fare un passo verso il centro della città. Una repressione davvero feroce forte di più di 30000 poliziotti schierati nella sola Algeri, e come se non bastasse ci trovammo a che fare anche con numerosi mercenari. Per circa 20 euro erano stati assoldati dal regime alcuni giovani proletari che praticamente a qualche metro dai manifestanti scandivano slogan pro-regime e ci provocavano, ma la cosa incredibile fu che intorno alle 12h cambiarono lato della barricata per divenire dei “veri” rivoluzionari dicendo a gran voce che “ci hanno pagato 2000 dinar per fare slogan pro-potere solo per due ore, adesso che le due ore sono passate non torniamo dalla parte del popolo!”. Da non credere! Ma è andata così e la prima manifestazione del Coordinamento Nazionale per la Democrazia e il Cambiamento tra repressione e mercenari si concluse in un disastro. Ad influire negativamente per il proseguo del movimento anti-regime come sempre ci si mise anche la televisione che anche questa volta si chiuse alle ragioni e alle verità dei manifestanti per raccontare tutta un’altra storia.

 

Dopo i primi tentativi di organizzare manifestazioni contro il regime le opposizioni e la società civile propongono una campagna per l’abolizione dello Stato d’Emergenza in vigore da anni, ma i primi tentativi non vanno a buon fine. Sarà il movimento degli studenti universitari a riuscirci con la grande manifestazione d’Aprile che riuscirà a rompere tutti i divieti imposti. Come siete riusciti ad organizzare quella giornata di lotta che in molto definiscono storica per il suo portato politico?

 

Abbiamo lavorato duro nelle facoltà di tutte le università dell’Algeria organizzando numerosi scioperi e assemblee, facoltà per facoltà. Poi su spinta delle assemblee abbiamo provato ad inviare alcuni delegati al ministero che, come tutti ci aspettavamo, rifiutarono di riceverli.

A quel punto l’unica cosa dare fare era organizzare una manifestazione nazionale ad Algeri contro la riforma universitaria e così abbiamo intensificato l’iniziativa nelle facoltà di tutto il paese: abbiamo organizzato comitati di agitazione dentro l’università per decidere le rivendicazioni esatte e gli slogan del corteo, poi ad Algeri sono iniziati i lavori per la logistica, l’accoglienza agli studenti delle altre città, e ancora sono stati decisi i portavoce per la stampa. Insomma abbiamo curato tutto nel minimo dettaglio. I partiti e i sindacati ufficiali non erano presenti nell’organizzazione della manifestazione e sono sempre stati fuori dal movimento, mentre il sindacato studentesco era apertamente contro. Va detto infatti che il sindacato degli studenti algerini è organo del regime e che pur di sabotare la manifestazione ha usato tutti i mezzi, anche aggressioni all’arma bianca contro militanti dei sindacati studenteschi autonomi. Ma alla fine hanno perso grazie alla lotta degli studenti stessi!

 

…che il 12 aprile sono riusciti ad arrivare in corteo fin sotto i palazzi presidenziali scandendo slogan contro il regime e resistendo per ore ad una durissima repressione.

 

Certo! Ma va detto che all’inizio gli studenti nelle assemblee non volevano che durante il corteo si scandissero degli slogan politici anti-regime, non c’era ancora la percezione che le rivendicazioni sociali del movimento contro la riforma universitaria fossero già estremamente politiche. E per questo si era deciso di non andare al di là delle rivendicazioni studentesche riguardanti l’università.

Ma poi durante il corteo si è verificata una cosa veramente inaspettata, straordinaria: mentre la polizia iniziava a perpetrare un massacro con una repressione feroce addirittura prima che iniziasse il corteo, tutti i partecipanti sembravano aver dimenticato la piattaforma della lotta studentesca e ad ogni colpo di manganello sentivi che lo slogan “potere assassino” era sempre più forte, gridato da sempre più gente. E’ stato incredibile ma durante la mattanza della polizia stava succedendo qualcosa di meraviglioso: tutti gli studenti e le studentesse uniti insieme, senza più paura di nominare l’innominabile a marciare in direzione del palazzo presidenziale gridando slogan contro il regime. E alla fine avevamo fatto l’impensabile, annullando concretamente lo stato d’emergenza e portando la protesta oltre la rivendicazione studentesca ma dritta verso il regime.

 

E da quel giorno l’Algeria come ha guardato alla rivoluzione araba?

 

Nel mio paese c’è grande orgoglio e fascinazione della rivoluzione araba, si dice spesso “e alla fine il popolo arabo si è sollevato”, tutti guardano ammirati, incantati il mondo, il nostro mondo che sta cambiando, ma ancora in Algeria manca quel piccolo evento, la scintilla che in Tunisia ad esempio è stata l’immolazione di Mohamed Bouazizi. Dopo il suo suicidio di protesta di Mohamed anche nel mio paese in molti si sono immolati sperando che con il loro gesto qualcosa potesse cambiare ma così non è stato. Eppure la disperazione e la miseria sono le stesse. Ma attenzione anche da noi non c’è stata una “rivolta del pane”, quella è una sporca invenzione mediatica, un modo per minimizzare e coprire le vere ragioni della rabbia e la manifestazione del 12 aprile ha smascherato questo gioco mediatico. Insomma in Algeria non siamo al punto di scendere in piazza per un tozzo di pane! E credo che quando hai il problema del tozzo di pane neanche hai la forza di protestare, guarda in altri paesi africani! Diciamo come stanno le cose in Algeria si scende in piazza perché c’è la “mal vie” (la vitaccia, ndr) generalizzata. Vediamo un pugno di persone avere tutto, possedere tutto, e il popolo niente, sempre niente! Eppure in Algeria c’è tanto petrolio, e i dollari del petrolio dove finiscono? Il problema è sempre il solito come ovunque: il problema è che c’è il capitalismo.

 

 

 

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