Amministrative, la fine di Arcore per come l’abbiamo conosciuta
Dopo i risultati di Milano, ma anche di Torino e di Napoli (dove dall’attesa vittoria al primo turno del centrodestra si è passati ad un ballottaggio che sarà serrato), è evidente che il perno simbolico di questo sistema politico, il Berlusconi fisico, si è rotto. Adesso la questione sta tutta nel cosa lo sostituirà. Se una naturale, traumaticamente naturale, fase di transizione o se un passaggio autoritario nel quale il berlusconismo tenterà di farsi regime.
Perché, e questo è tanto più evidente oggi, il berlusconismo non è più in grado di essere elemento regolativo di questo sistema politico. La stessa opinione pubblica moderata non gli riconosce più questo ruolo. Non solo, Berlusconi ha la capacità di coalizzare pezzi molto differenti di elettorato uniti da un solo scopo: votare contro di lui. Esattamente il contario di quanto pensato, e poi sostenuto, con il bipolarismo. Che doveva essere un dispositivo politico che permetteva di scegliere tra due opzioni simili, quelle preferite dalle élite, allontando le ali “estreme” dell’elettorato. Qui, che si venga da sinistra o da destra dall’area di Fini come da quella di Vendola, si finisce per votare contro Berlusconi a partire dal cartello politico-identitario di riferimento.
E’ evidente che il bipolarismo in questo modo, con Berlusconi, non serve più alla società italiana e nemmeno al capitalismo. Perché non è più un dispositivo di scelta tra opzioni simili, grazie alla quale vincono immancabilmente i poteri forti, ma un referendum permanente sulla persona di Berlusconi. In questo modo un ventennio di sistema politico, o nella forma elettorale o nella scelta dei personaggi è destinato a tramontare. L’importante è che questa consapevolezza non alberghi negli strateghi del centrodestra. Altrimenti non resterebbe loro che la razionalità della prova di forza.
Quello che è accaduto a Milano, campo di forza principale del berlusconismo e terreno di battaglia principale, è qualcosa di diverso dall’idea che viene fatta circolare in queste ore. Ovvero che a perdere è stato l’estremismo berlusconiano, i suoi toni “radicali”, e che a vincere sono stati i toni concreti e moderati. La realtà è naturalmente più complessa. Nel 2006, con la campagna delle politiche e del pareggio con Prodi, Berlusconi condusse una campagna elettorale simile a quella milanese di queste settimane. Rimontò, in questo modo, tutto un calo di consensi dovuto a cinque anni di malgoverno e di enormi cortei contro il centrodestra. La propaganda, si sa, è un sistema simbolico sempre asimmetrico rispetto alla realtà sociale. Quest’ultima assorbe gli argomenti della propaganda elettorale grazie alle proprie pieghe, alle fratture cognitive fatte di necessità di spiegazione e di orientamento nel mondo. Ma qualche piega, qualche anfratto, qualche necessità di una voce dall’alto, come lo è quella della propaganda, ci vogliono.
Nel 2006 Berlusconi parlava ad un’Italia stagnante, pietrificata. Alla quale una classica campagna elettorale fatta di comunicazione negativa, di capri espiatori, di “chi vota a sinistra è un coglione” si adattava benissimo. La campagna del 2011 è quella di signore di una certà età, travolto dagli scandali con le minorenni e dai processi, che parla ad un paese che non è stagnante ma è in via di disgregazione. E che non ne vuol sapere di elezioni che si trasformano in un referendum su questo signore che oggi rappresenta solo se stesso e stagioni di immaginario ormai passate. E poi, se si vogliono vincere le elezioni creando capri espiatori che danno alla gente il piacere di odiare, si devono individuare i bersagli. La campagna “via le Br dalle procure” a giovani di 20-30 anni non dice assolutamente nulla, non crea nemmeno l’adrenalina dell’odio.
Inoltre la campagna berlusconiana si è trovata entro una doppia dinanica centrifuga. Nel centrodestra, che ha perso con il tempo pezzi oggi costituenti del terzo polo, ma anche nel centrosinistra. Che così non è più identificabile
nel solo mummificato PD e, paradossalmente, non facilmente attaccabile con le vecchie consolidate armi della propaganda. La stessa Lega, che vive frizioni significative nel proprio elettorato a causa di questo governo soccorso in maniera democristiana, non è riuscita ad approfittare di questa doppia dinamica centrifuga che quando è avvenuta l’ha sempre premiata.
Nei prossimi giorni si tratterà di entrare nel dettaglio dei risultati elettorali definiti e disaggregati. Ma un dato adesso è certo: Arcore non sarà mai più come l’abbiamo conosciuta. Si è aperta una fase di transizione ad un sistema politico che potrà essere una ulteriore regressione di quello attuale o una decisa mutazione. Ma non sarà più l’attuale. Al momento tutto questo lo stanno pensando in tanti, da Cologno Monzese, dove Mediaset ha governato l’Italia alle sedi delle grandi banche, a quelle dei poteri oscuri e incoffessabili. Si è aperta una pagina nuova. Con molte incognite sinistre e qualche possibilità.
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