Antifascismo al ritmo delle lotte
– Ci hanno quasi ammazzato un compagno, smettila di lamentarti! Dobbiamo attaccare quella sede anche se l’hanno chiusa, anche se non si riesce a respirare, dobbiamo assolutamente dare una risposta politica.
Dietro a quella nuvola bianca ci sono gli sbirri. E non sono loro alla fine i veri fascisti? Pensa a tutti quelli che ammazzano nelle questure e nei CIE. Il fascismo alla fine è prepotenza, e chi è più prepotente di questi maiali in divisa?
Ci sono momenti in cui l’emozione gioca un ruolo determinante nella risposta ad un attacco da parte dei nostri nemici. E’ successo quando Luca è caduto dal traliccio e la risposta è stata immediata, ha saputo oltrepassare sia i confini della Val Susa che le nostre differenze ed identità. Insieme abbiamo occupato stazioni e autostrade. L’emotività e la rabbia per un compagno in pericolo di vita, il timore di non vederlo più, la necessità di dare una risposta di cuore rendono una giornata come quella di Cremona una giornata positiva. I calcoli politici stavano a zero e la determinazione a mille. Gli obbiettivi erano chiari e condivisi, non c’è stata separazione tra ciò che si enunciava e ciò che si è fatto. Nelle tre ore di battaglia siamo diventati un indistinto, eterogeneo ma compatto. Nessun fermato, nessun bevuto. E se pure si prenderanno qualcuno ce lo difenderemo tutti e tutte.
L’antifascismo democratico che si indigna e invoca lo Stato per fermare gli squadristi è l’espressione più compiuta della strumentalizzazione dell’antifascismo e della resistenza. L’antifascismo è una sfumatura del movimento rivoluzionario e non può che essere partigiano . Dobbiamo affermare, mille volte ancora, la natura partigiana della nostra vita. Partigiani dunque, cioè coloro che prendono parte. A Cremona abbiamo visto finalmente l’antifascismo slegarsi dalla retorica attendista dei gestori della protesta, degli “antifascisti” da parlamento. Non hanno avuto spazio nella piazza Cremonese. Era come se semplicemente non ci fossero. Nessuno a parte gli stolti o quelli in malafede ne ha sentito la mancanza. Quello che invece è mancato davvero erano pezzi di città e di proletariato Cremonese. Sarà compito dei compagni costruire questo allargamento al di là della sfera militante. Ma non dimentichiamoci che eravamo lì per rispondere ad una gravissima aggressione. “Guai a chi ci tocca” non è uno slogan.
L’opposizione tra democrazia liberale e fascismo è funzionale solo alle esigenze di governo. Queste due forme sono in realtà complementari e la loro alternanza è determinata artificialmente dal comando capitalista. Lo stato democratico di emergenza permanente è la sintesi perfetta di queste due forme. Il capitalismo e la sua condizione ottimale di riproduzione cioè la democrazia liberale hanno fatto da balia alla nascita di ogni fascismo dalla marcia su Roma ad Alba Dorata, da Hitler a Pinochet.
I tempi sono cambiati, le lotte crescono e si rafforzano creando immaginario e conflitto. L’antifascismo segue lo stesso ritmo. Se è vero che bisogna unire le lotte, bisogna farlo anche in questo campo, perché quando mettiamo in comune tempo, energie, cordoni, fumogeni, bomboni, bastoni e presa bene, facciamo paura ai nostri nemici.
“Prima credevo che ci fossero solo gli zingari ad occupare le case e che in qualche modo rubassero la casa a noi italiani, ma da quando sono venuti a cacciare fuori di casa gli occupanti, anche loro sono scesi in strada a difendere la casa di una famiglia italiana, nonostante non fosse la loro… In fondo quelli che ci prendono per il culo sono sempre gli stessi, e noi ci facciamo la guerra tra poveracci”.
Lottare contro i fascisti soprattutto nel quotidiano significa togliere loro agibilità e consenso nei quartieri. In tempo di crisi, la rabbia, la povertà e la solitudine diventano bombe ad orologeria. Lo si vede e lo si sente nei quartieri popolari, dove è sempre più facile prendersela con lo straniero e identificarsi nei luoghi comuni dell’italianità. Essere presenti in queste zone piene di contraddizioni con metodo, prospettiva e curiosità ci permette di conoscere e lottare accanto agli abitanti dei quartieri, perché questa rabbia può diventare potenza rivoluzionaria. I fascisti diventano allora degli esiliati su marte, bersaglio dell’odio di tutti.
Nelle nostre città esistono piccole sedi con sigle diverse di gruppi fascisti. In questi posti si svolgono incontri, presentazioni e concerti. Essere antifascisti oggi vuol dire anche attaccare queste basi materiali e ideologiche. A volte si può fare in pochi e ha un suo significato a livello di efficacia, ma a volte deve essere una pratica di massa. Cremona ci ha insegnato quanto sia importante, assumibile e comprensibile quando ad attaccare una sede lo si fa in tanti.
– Le vetrine delle banche no! Cosa c’entrano? Oggi siamo qui contro i fascisti…
– Ma insomma, i fascisti non ci sono e stiamo attaccando gli sbirri. La sede l’hanno chiusa. Secondo te dovremmo stare qua a cazzeggiare? Vedrai che dopo oggi li passa la voglia di fare gli agguati. E levati che ci sono altre banche da sfondare…
Tanti compagni sono entrati nel movimento attraverso l’antifascismo. Nelle scuole tramite i collettivi si cantano i primi slogan, si fanno le prime scritte. Questa evidenza, che non ha niente di ideologico, deve essere inserita dentro un processo rivoluzionario, perché i fascisti spuntano sempre fuori ogni volta che le cose si mettono male. Essere
antifascisti vuol dire essere anticapitalisti e rivoluzionari. Non dobbiamo però credere ingenuamente che il capitalismo sia semplicemente concentrato nelle vetrine delle banche. Il capitalismo è diffuso dappertutto, nella polizia, nella merce, nelle relazioni quotidiane.
Ci sono automatismi che devono essere distrutti come quello di fare appello alla società civile o al mito dell’unità antifascista ogni volta che i fascisti si manifestano. Abbiamo già visto come ogni volta che invochiamo l’antifascismo “che tenga insieme tutti” senza praticarlo in maniera conflittuale e partigiana forniamo ai fascisti l’occasione per prendere forza. Non saranno sicuramente quattro denunce per aver fatto il saluto romano ad impedire a questa feccia di prendersi le strade, ma la capacità collettiva di costruire un piano d’azione, allargamento e conflitto che tenga insieme tutti quelli che si dicono antifascisti. Questo senza farsi determinare da chi ha fatto dell’antifascismo una bandiera stinta da rispolverare alle cerimonie quando fa comodo, gli stessi che appena una piazza si scalda prendono le distanze, ancora prima che succeda qualcosa. “L’antifascismo non si delega” vuol dire proprio questo.
Il 29 aprile a Milano sarà una giornata importante. L’anno scorso i fascisti hanno sfilato indisturbati con svastiche e celtiche. Dobbiamo rispedirli dentro i tombini a nuotare nelle fogne. Quest’anno non vogliamo vedere i lacchè di Pisapia, i partigiani della pace sociale e dell’ipocrisia sinistroide a dirci cosa fare e cosa non fare.
Gli occhi si chiudono al punto tale di non vedere più niente. I polmoni si attorcigliano e senti l’inferno dentro. In mezzo al fumo dei gas CS per un attimo riesci a riconoscere gli occhi di un compagno. “Hanno quasi ammazzato Emilio, la devono pagare!” Con questa consapevolezza e sputando rabbia, arrivi in fondo dove le reti e le camionette chiudono il passaggio e da dove le merde ci tirano i lacrimogeni. Non sono riusciti a tenerci lontano, non sono riusciti a farci paura. Per Emilio, per Dax, per tutti.
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