Borroka!, ZAD e NO TAV: Note sulla difesa e l’autogestione dei territori
Presentiamo un altro dei lavori di approfondimento che, come redazione di InfoAut, abbiamo avuto l’occasione di produrre durante il Festival Alta Felicità in Val Susa. In questo caso abbiamo provato a sintentizzare alcune note salienti dell’incontro di venerdì mattina in cui sono intervenuti alcuni compagni e alcune compagne della ZAD con a seguito una breve intervista a una compagna da quattro anni abitante della ZAD che ci presenta il suo punto di vista sulle lotte in difesa del territorio e sui processi di autogestione. Buona lettura!
Se l’anno precedente li avevamo visti al Festival per il lancio della traduzione di Contrade. Storie di Zad e No Tav, stavolta hanno presentato l’abbecedario Borroka!, un tributo del collettivo francese alla lingua e alla storia basca. Ogni capitolo del libretto è una lettera dell’alfabeto, a ciascuna corrisponde un termine attorno al quale si condensano brevi spiegazioni, racconti o interviste del suo significato nel contesto d’uso: quello della lotta di Euskadi. La prima lettera è dunque quella di “Abertzale”, il cui significato “amante della patria”, in un contesto che non riconosce lo Stato, diventa “indipendentista”. Il testo chiarisce come la traduzione non restituisca la complessità semantica del termine, inizialmente condiviso tanto dal Partito Nazionalista Basco che dall’ETA, assieme a tutti i movimenti di sinistra non praticanti la lotta armata.
L’incontro ha trovato, in questa edizione del campeggio No Tav, terreno fertile. È la vigilia della marcia di sabato 27: di quei momenti rimane impressa la determinazione ad arrivare fino al cantiere e il passaparola condiviso che dal palco attraversa le tende, ricordando la priorità dell’appuntamento. A posteriori, si sorride e ci si compiace di come con questo spirito si sia riusciti ad arrivare in più di 15000 laddove ci si era prefissati. Ma non sono solo le ultime ore in preparazione di una vittoria del popolo No Tav. Quel pomeriggio, in valle, si tengono conferenze sul mutamento climatico e sulla crisi ambientale. Presenti i comitati che da anni si occupano di lotta per la salvaguardia dei territori contro l’inquinamento e le grandi opere, nonché i tantissimi giovani che nel corso dell’ultimo anno si sono visti ai cortei di F4F e ad occasioni come la marcia del 23 dicembre a Roma.
Un contesto in cui, accanto ad una lotta locale rinvigorita dal divorzio con la sua sponda partitica, si propone la costruzione di una prospettiva globale dalle istanze condivise. In questo contesto cadono le parole della compagna zadista: “Occorre rompere l’isolamento per ripartire dalle storie individuali dei territori”. Emerge la necessità di pensare un nuovo internazionalismo, con basi territoriali che siano orizzontalmente organizzate. Di queste basi non occorre una storiografia che spieghi la lotta dei gruppi, ma racconti singolari che esprimano in maniera immediata la specificità di ciascuna esperienza.
Far parte di un gruppo auto-organizzato di conflitto per la difesa del territorio significa infatti innanzitutto prender parte a delle pratiche di vita comuni, che legano gli individui ai luoghi spaziali in cui si danno, generando un ciclo in cui l’attività del singolo contribuisce alla costruzione di strutture e orizzonti di senso condivisi.
Come esempio, si racconta della visita di brigate di baschi alla Zad. Pur non conoscendo le realtà francesi, la ricerca di pratiche di lotta alternative assume una valenza per loro fondamentale dai tempi dell’abbandono della lotta armata e la dissoluzione di ETA. La sensibilità basca al fattore della tradizione ha fatto sì che il loro contributo si realizzasse nella costruzione di una gigantesca “cabane”, uno dei simboli dell’autogestione della Zad, nonché della brutalità della controparte che ad ogni incursione poliziesca ne fa un cumulo di macerie. Ci si congeda dopo che il mega-presidio viene ultimato, ma siamo nell’aprile del 2018 e da lì a pochissimo la Zad verrà sgomberata. Alla notizia, la delegazione basca prenota un pullman e torna indietro all’istante, a calcare la prima linea in difesa di ciò che si era costruito insieme.
Ciò va oltre una (mai) semplice dimostrazione di solidarietà. La difesa dei momenti di vita costruiti in comune è un principio che sta alla base di tutte le piccole Zad che nascono annualmente sul territorio francese. È un qualcosa che attraversa anche i Gilet Jaunes, nella misura in cui il movimento ha assunto una dimensione di massa tale per cui i problemi di autogestione materiale sono passati in secondo piano e parti di popolazione affatto riconducibili al militantismo hanno incominciato a condividere pratiche che sarebbero state di norma giudicate “scandalose”, come scendere in strada spontaneamente con le maschere antigas per affrontare la polizia. “Per la controparte è impossibile utilizzare l’arma dell’antiterrorismo dinnanzi ad una dimensione di massa del genere” afferma il compagno francese, portando vari esempi di come il movimento dei Gilet Jaunes sia riuscito a mettere in discussione le tradizionali forme di lotta.
La differenza che i compagni della Zad ci tengono a rimarcare è che, nell’attacco al potere, i Gilet hanno privilegiato (anche) luoghi simbolici, come Bastille, mentre la loro scelta è quella di un sovvertimento del potere che attraversa capillarmente i territori. L’idea che si sta propagando sul territorio francese, dopo l’esempio della Zad, è che l’embrione della rivoluzione possa costituirsi attraverso i legami profondi e specifici tra ciascun piccolo territorio in lotta, nei quali poter sperimentare modi di vivere alternativi e di comunità.
Ciò detto, lanciano un appuntamento contro ciò che a fine agosto diventerà occasione di un concentramento del potere politico: il G7 a Biarritz. L’ipocrisia di un vertice che si propone di affrontare il tema delle diseguaglianze, riunendosi nei Paesi Baschi ad un anno dalla dissoluzione di ETA, costituisce per i compagni francesi un incentivo a rafforzare quel legame creato ai tempi della visita della delegazione basca alla Zad.
L’organizzazione del contro-vertice si svolgerà in due tempi: dal 19 al 23 di agosto con un campeggio a sud di Hendaye. Da Hendaye sabato mattina partirà un corteo delle famiglie. Dal 24 pomeriggio fino al 26 si susseguiranno blocchi nelle zone limitrofe, le cui strade già di norma intasate dal traffico locale saranno ulteriormente riempite dall’afflusso di turisti previsto ogni anno per quel periodo.
Alleghiamo una breve intervista a Z, compagna francese, da quattro anni abitante della Zad.
Cosa ne pensi del definitivo “divorzio” che si è consumato in questi ultimi giorni tra il movimento No Tav e i 5Stelle?
Noi della Zad siamo stati appoggiati un po’ informalmente dai Verdi, ma non abbiamo mai lasciato che dei partiti entrassero nel movimento. Abbiamo avuto associazioni, sindaci che erano dalla nostra parte, ma non abbiamo mai chiesto, ad esempio, di votare per un partito. La mia idea è che non si possano riporre troppe speranze su un partito politico. Invece ho l’impressione che alla Zad le vittorie conquistate sono state possibili anche grazie ad episodi di dissenso entro le sedi di potere. Nel 2012 ad esempio, è successo che il Primo ministro [Ayrault] e il ministro della Giustizia Territoriale e dell’Alloggiamento [Duflot] non fossero d’accordo su cosa si sarebbe dovuto fare della Zad. In quel momento c’è stato il primo grande sgombero della zona, l’operazione César, e il dissenso tra loro ci ha regalato del vantaggio perché c’erano molte discussioni interne. Ogni volta che si generano delle separazioni nelle sedi amministrative, noi ne approfittiamo e vale anche l’inverso, cioè che loro ne approfittano dei nostri dissensi interni. Allora può darsi che l’attuale dissenso entro l’istituzione possa risultare utile alla lotta No Tav. In un certo senso, le rotture che si generano dentro l’amministrazione non siamo noi a crearle, ma per un altro verso sì: l’ampiezza del movimento, la sua celebrità, l’importanza data all’ecologia sono cose che toccano tutti quanti.
L’internazionalismo delle lotte territoriali può esser favorito dalla progressiva sensibilizzazione alle tematiche ecologiste, ai discorsi sulla crisi ambientale, o sono cose diverse?
Sono due questioni collegate. Perché quando succederà qualcosa, sarà legato a quel che tocca noi, che tocca le persone, perché abbiamo coscienza del capitalismo. Fino all’arrivo dei Gilet Jaunes, noi credevamo di avere questo tipo di coscienza nei luoghi dei nostri progetti, anche nei luoghi in cui si registrava quel tipo di sensibilità, senza che fosse legata a cose concrete (come qui [No Tav] o alla Zad), progetti piccoli o grandi, ma comunque cose su cui si pensava che vi fossero vittorie più a nostra portata. Oggi il movimento che c’è in Francia, che non è un movimento di ecologia, rimette in questione anche quel modo di pensare, perché abbiamo visto che qualche cosa che credevamo finito, un popolo intero che si solleva, non è affatto finito, anzi. E questo rimette in causa i termini con cui pensare la lotta stessa a livello internazionale. I Gilet Jaunes hanno avuto qualche eco nei paesi limitrofi, in Belgio ad esempio, ma per niente su basi ecologiste. Per questo, abbiamo avuto l’impressione di non riuscire più a prevedere niente, di essere veramente una retroguardia della situazione. E io trovo molto positivo che i militanti rivoluzionari diventino retroguardia del movimento, perché in quanto avanguardia non è che siamo arrivati a chissà che punto.
Riguardo le vostre scelte narrative, che rapporto c’è tra la storia delle lotte e i racconti dei singoli?
Noi cerchiamo di tenere insieme le due cose, spesso partendo da interviste che poi non compaiono nel testo. L’importante è non adottare il punto di vista esclusivo di uno storico o di un sociologo che guarda e analizza dall’alto, perché le lotte di cui abbiamo parlato, le lotte di cui parliamo tutt’ora, sono portate avanti da persone che ci sono dentro. È importante, perché per molto tempo la storia delle lotte è stata presa sia dal potere che da persone che non le hanno vissute; questi si perdono ciò che gli individui hanno vissuto, i momenti che hanno cambiato la loro vita. Ciò che ho trovato davvero interessante delle interviste ai No Tav sono i giovani che raccontano di fino a che punto la loro vita quotidiana, la loro vita famigliare, nonché amorosa sia stata completamente cambiata dalla lotta; queste cose non compaiono facendo della macro-storia o una cronologia del movimento. Se leggiamo questi scarti individuali come un fenomeno collettivo vediamo tutta la bellezza, quel che ha fatto la forza del movimento, il suo aspetto popolare. Tutto ciò lo perdi se non vai a cercare la parola delle persone.
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