Bozza preliminare di studio per una inchiesta sul quartiere San Donato a Bologna. Prima parte
A pochi giorni dall’avvio dei lavori del convegno “Per una critica della città globalizzata” che si terrà a Bologna presso il Laboratorio Crash!, pubblichiamo di seguito l’introduzione al dossier scaricabile in allegato dedicato al quartiere San Donato. Con questa “bozza preliminare per uno studio sul quartiere” curata dal nodo redazionale bolognese, si tenta di portare uno sguardo dentro la complessità territoriale e antropologica che la nozione stessa di quartiere comporta, in relazione alle trasformazioni che intercorrono nella periferia di una città, il capoluogo emiliano, in profonda quanto rapida trasformazione.
Si cerca anzitutto di cogliere, attraverso lo strumento dell’intervista e dei questionari, quali identità percepiscono gli abitanti in relazione al “proprio” territorio, e rilevare comunanze e differenze di necessità è desideri tra diverse figure sociali che risiedono nello stesso spazio geografico ma lo vivono,subiscono e agiscono in molteplici modalità.
Il proposito è quello di perfezionare un fare indagatore che permetta di poter tracciare ipotesi di inchiesta su contraddizioni, tematiche e problematiche comuni relative alla qualità della vita e alla vivibilità stessa del quartiere, e tratteggiare le peculiarità che fan si che un territorio di periferia si caratterizzi come tale e al contempo sia parte di un processo di urbanizzazione non solo cittadino ma a carattere globale.
Buona lettura
INTRODUZIONE: UNO STUDIO SUL QUARTIERE OGGI
Questa bozza di studio sul vecchio tessuto del quartiere di San Donato è stata concepita con la pretesa di accumulare spunti e considerazioni su una realtà territoriale per fotografarla e connotarla per quello che è attualmente alla luce della discussione emersa posteriormente all’e-book di Infoaut che ha raccolto i materiali del convegno “Città, spazi abbandonati e autogestione”.
Prima di addentrarci nelle tematiche trattate nelle pagine che susseguono, vorremmo qui porre l’ accento sulla necessità di definizione di “quartiere” e “periferia” alla luce del rapido processo di trasformazione urbana che caratterizza Bologna, con le sue continuità e discontinuità nel farsi (e non farsi) metropoli all’interno del contesto globalizzato di un mondo modellato dal capitalismo finanziario.
A simbolo di questa trasformazione, che disegna nuovi margini e modelli di inclusione/esclusione differenziale, percorrendo la tangenziale dall’altezza di San Lazzaro verso il centro storico, si erge imponente il grattacielo dell’Unipol, nuova torre-simbolo dell’odierno potere bolognese che “invade” aree un tempo a connotazione rurale.
Un territorio, quello di San Donato, definito istituzionalmente come “quartiere” negli anni Sessanta per dare una identità a una espansione urbanistica che non poteva non tener conto dell’aumento della forza-lavoro e degli studenti universitari che approdavano in città.
Il tentativo di creare nuove forme di urbanizzazione, collocandole attorno al nucleo primigenio di Via San Donato, e connettendo le sue forme rurali da Santa Viola a Quarto Inferiore, passando per la costruzione di un polo come il Pilastro, ha caratterizzato l’attività umana e la progettazione nei decenni dal Settanta del Novecento in poi. Quasi tutte le costruzioni principali e maggiormente evidenti della zona risalgono a quarant’anni fa, dai padiglioni della Fiera ai torrioni del Palazzo della Regione. Risulta evidente in questo processo come l’accelerazione capitalistica abbia portato alla valorizzazione in senso profittuale e di rinnovamento di queste strutture, fino ad arrivare all’odierno FICO, integrato al CAAB e ai distretti agro-alimentari di Cadriano ma staccato complessivamente dal tessuto delle relazioni socio-economiche di chi attorno a quella zona vive e lavora.
Nel contempo, è altrettanto evidente che progetti urbanistici di popolamento e creazione di spazi a usufrutto della popolazione siano divenuti in breve periodo post-progettazione incapaci di rigenerarsi – si pensi al caso del “Virgolone” nel Pilastro, lasciato presto a sé stesso in una zona divenuta poi fulcro importante di lotte per il diritto all’abitare a partire dagli “scioperi dell’affitto”, ma si pensi anche allo svuotamento del Mercato San Donato, che da piazza coperta è divenuto solo recentemente sede di estemporanei progetti culturali. A un primo sguardo, San Donato rappresenta dai Duemila in poi un esempio di quartiere divenuto sempre meno socializzante e sempre più dormitorio, con le strutture atte a svago e divertimento notturno decentrate ai margini periferici, e le attività ristorative inserite nei distretti a maggiore densità abitativa che fungono essenzialmente da dopo-lavoro e lontane per esempio dai bisogni della popolazione studentesca che qui ha una rilevanza numerica considerevole, e si riversa perlopiù nell’attiguo centro storico.
Si può partire altresì dal dire che la ricerca di una identità di quartiere così come intesa nella progettazione del Comune di Bologna sia venuta meno al venir meno dei modelli welfaristici caratteristici della società fordista con la conseguente atomizzazione, individualizzazione e iper-burocratizzazione delle vite dei ceti subalterni. A ciò fa da corollario un senso di lontananza dal sentirsi appartenente e attivo nelle decisionalità del territorio, e la creazione di micro-identità a compartimenti stagni a forte connotazione classista: comunità migranti che si relazionano per nazionalità, comunità studentesca, comunità locale insediatasi prima dell’espansione urbana degli anni ’60, nuove figure del precariato giovanile e cognitivo sempre pronte a far la valigia alla ricerca di reddito e strette dalla morsa del ricatto salariale.
Si può ipotizzare una concezione della periferia intesa dunque come condizione materiale, che crea barriere di accesso ai centri intesi come luoghi di accumulazione del potere finanziario, non più rinvenibili solamente nel cosiddetto centro-storico in quanto centro della città geograficamente tangibile, ma distillati lungo tutto il tessuto urbano della città in via di “metropolitanizzazione”, che se fotografata dall’alto attraverso questa lente su centri-periferie reali acquisisce una conformazione molto simile a quella della distribuzione del potere e delle disuguaglianze del capitalismo globale nel sistema-mondo. Ma anche luogo dove la crescente e pervasiva precarizzazione sia della forza-lavoro giovanile che studentesca porta a conflitti latenti e potenzialmente generalizzabili in quanto capaci di accomunare e sciogliere le differenze classiste e di genere a cui si oppongono. Le forme di inclusione/esclusione differenziale, dettate dalla possibilità di accesso e usufrutto di servizi a cui sono state imposte sempre più restrizioni e burocratizzazioni, si intravvedono anche in alcuni passaggi delle interviste qui riportate, fatte ad alcune figure che nel territorio di San Donato vivono e a cui sono dedicate le pagine di questa prima parte del breve studio a carattere preliminare.
Nelle pagine iniziali sarà invece esposta brevemente la storia e i tratti fondamentali, urbani e architettonici della parte dell’attuale Quartiere San Donato-San Vitale corrispondente al Quartiere San Donato, seguite dalle prime due interviste a taglio storiografico a persone attive nel territorio da decenni e che l’hanno visto trasformare nel tempo. A corredo, una serie di immagini e foto che mostrano alcuni punti del quartiere, edifici, strutture e spazi verdi nella loro contemporaneità, per poi concludere con una parziali considerazioni scaturite dall’insieme di questa prima parte di interviste e dei primi questionari fatti in questi due mesi e che verranno pubblicati e tematizzati nelle parti a venire.
(Aprile – Maggio 2018).
Bozza preliminare di studio per una inchiesta a San Donato (Bologna)
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