Carige: finita la luna di miele gialloverde?
Il tema della vicinanza dei governi agli interessi delle banche è stato probabilmente quello più utilizzato dal Movimento Cinque Stelle negli ultimi anni. Un adagio utile per marcare la propria distanza dagli esecutivi tecnici e a guida PD. Così come per proporsi come alfieri del cambiamento da realizzare una volta arrivati al governo.
Con il decreto salva-Carige l’esecutivo gialloverde però sembra mettere la pietra tombale sulla percezione pubblica della sua “diversità”. Lo fa con una mossa giocata in maniera pessima anche comunicativamente, con il decreto-fotocopia a rappresentare plasticamente una continuità di azione tra esecutivi rispetto ai salvataggi bancari.
Una differenza che in termini reali sorprende poco. Che al governo ci siano da decenni burattini del mondo della finanza è infatti un dato noto. Ma ai tempi del governo liquido, tutto fondato sulla comunicazione e sull’abilità di padroneggiare i social, il caso-Carige è probabilmente uno spartiacque.
Siamo di fronte ad uno step importante nell’immaginabile istituzionalizzazione del “governo del cambiamento”. Da cui l’esecutivo potrebbe iniziare la sua fase discendente, in cui ad una caduta costante nel gradimento dovuta all’usura dello “stare al potere”, si accoppierà probabilmente una progressiva divaricazione tra i due alleati.
Del resto, già in passato sapevamo che gli equilibri tra i due partiti di governo erano condizionati dalla scadenza delle Europee. Un voto dove bisognava arrivare con in mano l’approvazione di alcuni provvedimenti bandiera su cui compattare il proprio elettorato. In particolare, decreto sicurezza e reddito di cittadinanza, da approvare in una sorta di scambio tra le due forze governative.
Negli ultimi giorni però la situazione è ulteriormente precipitata, e alcune differenze tra gli alleati, in particolare sul caso SeaWatch e sul reddito di cittadinanza. Sviluppi che fanno presagire, oltre all’inizio della campagna elettorale per maggio, la possibilità di una futura divisione.
La Lega è senza dubbio messa meglio del CinqueStelle. Ciò perchè Salvini, nonostante i primi scossoni nel suo gradimento social, continua a fare quello di cui consiste la sua strategia. Vale a dire, opposizione mediatica totale sul tema dei migranti, comunicazione tarata sul cittadino bianco rancoroso ultracinquantenne, occhi strizzati il più possibile alla provincia.
Lo dimostra ad esempio la gestione del caso relativo agli scontri di San Siro e alle furbe posizioni pro-ultras del leader leghista. Ben consapevole che spesso soprattutto nelle città di provincia il mondo ultras muove direttamente e indirettamente molti voti. Rappresentando un’importante identità popolare che Salvini ha spesso sfruttato anche grazie alle sue felpe personalizzate.
I Cinque Stelle invece sono rimasti col cerino in mano. Prima prostrandosi agli interessi internazionali a cedere sulla TAP. Poi piegandosi alle richieste di austerità dell’Unione Europea che hanno “obbligato” a ridurre i fondi per il reddito di cittadinanza. Infine costretti a firmare un decreto salva banche, per giunta ricalcato in maniera idiota su quello Pd per Banca Etruria. E ancora, in assenza di una presa di parola chiara e definitiva sullo stop alla Tav.
Una contraddizione davvero enorme con la tragicomica posizione pubblica di appoggio ai gilet gialli francesi, in lotta per una redistribuzione della ricchezza sociale proprio mentre i CinqueStelle firmavano l’ulteriore trasferimento di soldi pubblici nelle mani di un istituto di credito. Perfino Renzi e la Boschi sono riusciti a rendere ridicolo il decreto-Carige, plaudendo alla misura del governo al fine di ri-legittimare la loro politica pro-istituti finanziari, travolta all’ultimo appuntamento elettorale.
I CinqueStelle alla prova del governo al momento sembrerebbero riuscire ad effettuare un doppio capolavoro all’incontrario. Da un lato in pochi mesi adoperandosi nel distruggere tutto il capitale simbolico da loro accumulato in anni di teorica opposizione, dando alle misure del PD tanto criticate un afflato quasi da “there is no alternative”. Dall’altro, sembrando ormai sottomessi nel tirare la volata alla Lega, appoggiandone tutte le peggiori misure reazionarie, securitarie e xenofobe, rischiando di inimicarsi sempre più consensi all’interno della propria base.
E tutto ciò in cambio dell’assenso leghista ad una misura come quella del reddito di cittadinanza, che definire monca rispetto alle prospettive iniziali è dire poco. Con la conseguenza che in eventuali nuove elezioni generali, Salvini farà quasi sicuramente la parte del leone.
Ad ogni modo, quello che ci interesserà capire dal caso Carige è se con il salvataggio si chiuderà la luna di miele del governo con il corpo elettorale. Va da sè che il punto interrogativo del titolo di questo articolo riporta come si rimanga nel campo delle ipotesi. L’assenza di opposizione rende difficile immaginare alcun ribaltone già in occasione delle prossime elezioni regionali ed europee, come del resto confermano i sondaggi. Ma non è ovviamente questo tipo di consenso che ci interessa in particolare.
Quello che andrà invece colto è il sentimento rispetto al tradimento delle promesse di questo governo, e le possibilità di attivazione sociale che ne potrebbero derivare. In particolare rispetto al tradimento sul reddito di cittadinanza e alla questione delle condizioni di vita nei territori meridionali, potrebbero aprirsi nei prossimi mesi spazi interessanti di intervento a partire dalla crisi di fiducia nei partiti votati il 4 marzo.
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