Anche per la scuola niente governi amici
L’anno scolastico 2019/2020 inizierà con un record di supplenze, alla faccia delle promesse fatte dal governo giallo-verde.
Le cattedre che non andranno assegnate saranno circa 28mila a cui si aggiungono le cattedre che si sono svuotate in seguito ai pensionamenti per quota cento e non ancora comunicati (sarebbero circa 20 mila). A tutto ciò si sommino le migliaia di supplenze affidate ogni anno agli insegnanti precari. Le cattedre saranno dunque occupate da supplenti, penalizzando lavoratori e lavoratrici, oltre agli studenti che si vedranno negato, come ormai ogni anno, il diritto alla continuità didattica. Continua la propaganda mediatica sui social del ministro Bussetti che pare dare chissà quali possibilità bandendo concorsi che riservano ai ruoli pochissimi posti rispetto alle necessità reali. L’ultimo annuncio su facebook: 60mila assunzioni di insegnanti a partire da settembre. «Ho appena firmato la richiesta al Mef di autorizzazione. Il nostro obiettivo è avere tutti gli insegnanti in classe dal primo giorno di scuola». Sappiamo già che ciò non si potrà realizzare. Come dovrebbe avvenire tutto ciò infatti non è dato sapersi. Il MEF da pochi giorni ha dato il via libera alle immissioni in ruolo dei docenti (53.627) ma con una riduzione di più di 5 mila posti, taglio giustificato dalla riduzione delle iscrizioni degli alunni. Dunque i posti liberati dai pensionamenti di quota 100 non sono stati messi a disposizione per la mobilità e nemmeno per le immissioni in ruolo. Comunque non è una novità che 200mila precari rimarranno tali nonostante i posti vacanti. La giustificazione della diminuzione degli alunni iscritti poi non può reggere perché comunque gli insegnanti precari ci saranno comunque. (se questi posti sono necessari perché non stabilizzare?) così come le classi pollaio dovute alla riforma Gelmini… Insomma, propaganda già sentita dai governi precedenti. Negli ultimi anni il fenomeno della precarietà nella scuola continua ad aumentare: decine di migliaia di cattedre sono rimaste scoperte ogni volta, mai occupate da docenti di ruolo, ma solo da precari e supplenti: 50mila cattedre si sono perse in tre anni, nonostante livello di disoccupazione in Italia, e di precarietà nella scuola, dove tra l’altro le abilitazioni sono state acquisite dopo corsi post-laurea “a pagamento” (così come lo sono i corsi universitari) con grandi sacrifici economici e di tempo.
Gli insegnanti italiani sono sempre più fonte di guadagno per lo stato, per il quale è economicamente più vantaggioso impiegare precari, inserendoli, piuttosto che nell’organico di diritto, nell’organico di fatto (il personale effettivo derivante dalle variazioni numeriche di studenti ecc… nel corso dell’anno) evitando così di dover assumere a tempo indeterminato. Ad oggi, oltre 100 mila persone abilitate nella secondaria di primo e secondo grado e oltre 50 mila diplomati magistrali abilitati non sono ancora riusciti a inserirsi nelle graduatorie ad esaurimento. E che appunto non parlino di titoli non adatti o mancanza di abilitazioni, perché piuttosto che assumere o inserire gli abilitati, e le persone con anni di precariato alle spalle (esperienza che vale più di qualsiasi corso abilitante) quest’anno saranno migliaia le domande di messa a disposizione accolte dai dirigenti. La domanda di messa a disposizione è un’istanza presentata alle scuole, tramite la quale si “avverte” della propria disponibilità per eventuali incarichi di supplenza da parte di persone che non hanno titoli adatti all’insegnamento e che non hanno mai messo piede a scuola e che vengono lasciate a se stesse senza un minimo di formazione. Dunque si tratta di una vera e propria volontà politica. Il problema sarebbe risolvibile senza grandi problemi. Basterebbe assumere, punto. Invece, come se non bastasse, l’ultima manovra ha tagliato alla scuola ben 4 miliardi, pari al 10% della spesa in istruzione, in tre anni. L’Italia in Europa è agli ultimi posti per impiego del Pil nel sistema educativo. Pochi giorni fa, il 25 luglio, persino la Commissione Ue ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per abuso di ricorso ai contratti termine nella pubblica amministrazione in Italia anche con riferimento alla retribuzione di anzianità. Lega e Movimento 5 Stelle hanno basato gran parte della loro campagna elettorale proprio sul problema della precarietà nella scuola, disattendendo, come volevasi dimostrare, le speranze di insegnanti, famiglie e studenti, penalizzati sempre più dall’impossiblità di attuare la continuità didattica che invece dovrebbe essere garantita.
Già dalla scuola primaria i bambini e le bambine sempre più spesso vengono smistati in altre classi quando mancano gli insegnanti, vedendosi negato il diritto di fare lezione; pur di risparmiare ormai le scuole-aziende, fanno sì che queste assomiglino sempre più a dei “parcheggi”. È evidente la volontà di qualsiasi governo di volere cancellare il diritto dei precari all’assunzione a tempo indeterminato e di conseguenza il diritto allo studio. Insomma Lega e M5S continuano l’opera di distruzione della scuola portata avanti da Renzi, non dimentichiamo le promesse pre-elettorali della cancellazione della legge 107. In tutto questo ovviamente abbiamo la complicità dei sindacati confederali. Pensiamo al contratto nazionale 2018 che conferma le differenze salariali e di diritti tra lavoratori e lavoratrici. I sindacati di base dal canto loro non hanno saputo gestire la volontà di lottare di molte/i insegnanti. Lo abbiamo visto con la mobilitazione delle maestre, licenziate in massa e pronte a scendere in piazza tutti i giorni, e invitate a mollare la presa dai sindacati di base stessi, che non hanno voluto supportare le mobilitazioni di piazza fino in fondo, fidandosi delle promesse del movimento 5 stelle, che prima delle elezioni ha promesso la risoluzione del problema e che appena salito al governo ha confermato le intenzioni dei governi precedenti. Vedremo anche cosa succederà con la questione della regionalizzazione della scuola. Intanto infatti, sotto la spinta del governo, le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto hanno chiesto al Governo forme ulteriori e condizioni specifiche di autonomia in materia di istruzione e formazione. L’obiettivo è quello di regionalizzare la scuola e l’intero sistema formativo tramite una vera e propria “secessione” delle Regioni più ricche, che porterà a un sistema scolastico che funzionerà meglio o peggio in base alla ricchezza del territorio. Si avranno dunque inquadramenti contrattuali del personale su base regionale: salari, forme di reclutamento e sistemi di valutazione diversi tra loro; livelli differenziati di welfare studentesco e percorsi educativi diversificati. Non parliamo poi dell’attacco alla libertà d’insegnamento. Non dimentichiamo i licenziamenti di Torino, che hanno colpito la maestra Lavinia Cassaro e il tecnico dell’Università Pier Paolo Pittavino, così come la sospensione della professoressa Dell’Aria a Palermo. Insomma, le prospettive non sono rosee per le lavoratrici e per lavoratori della scuola, così come per studenti e studentesse. Non ci sono governi amici neanche in questo caso.
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