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Alcune note a caldo sulla crisi di governo

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Infine la crisi di governo è arrivata, era nell’aria da mesi, ma Salvini ha aspettato con prudenza il momento a suo parere più consono per infilare la stilettata. Poco ci interessa discutere adesso sugli scenari prossimi delle geometrie parlamentari e sulle polemiche spicciole. E’ più interessante provare a capire come questo passaggio si inserisce nel ciclo neopopulista italiano, quali contraddizioni scioglie, o liquida e quali ulteriori invece apre per il futuro.

1 – La crisi di governo è latente dall’inizio dell’esperimento giallo-verde. L’incompatibilità tra le istanze sociali che questo governo avrebbe dovuto combinare era chiara dall’inizio, ma, paradossalmente, in una fase iniziale era proprio questa profonda ambiguità a costituire la tenuta del governo. L’esecutivo Conte formalmente funzionava come una delle prime esperienze di governo “pigliatutto” che come presupposto al famoso contratto di governo aveva una sostanziale armonizzazione e organizzazione tendenziale della società, in una forma totalmente incoerente. Al di là del costrutto ideologico, che passava per un certo grado di neutralizzazione e istituzionalizzazione del conflitto sociale, a divergere profondamente erano le proposte di politica economica. Non che quelle del cinquestelle contenessero nulla di rivoluzionario, ma di fatto de-intermediavano la distribuzione delle risorse dalla presenza degli intermediari privati, aggredendo dunque, in forme molto edulcorate, la finanziarizzazione e privatizzazione del welfare e della spesa pubblica. Una ricetta socialdemocratica fuori tempo massimo. La ricetta leghista invece, al contrario prevede un keynesismo finanziarizzato, in cui la combinazione tra l’inclusione differenziale della forza lavoro, la riduzione delle tasse e la maggiore liberalizzazione dell’accesso dei privati alla spesa pubblica dovrebbe ri-impulsare l’economia e fare aumentare gli investimenti. Entrambe le ricette partivano dall’ipotesi comune che l’autoregolazione del mercato è una stronzata, tanto più in un contesto globalizzato e competitivo, e che dunque l’intervento dello stato è necessario, ma mentre i primi volevano, illusoriamente, restituire al pubblico un suo briciolo d’indipendenza dal mercato, i secondi, comprendendo che ormai il legame è inscindibile, puntano a una sempre più profonda distribuzione di risorse pubbliche ai privati. E’ palese che l’opzione salviniana ha da subito ricevuto il sostegno degli imprenditori, dei media e di ciò che rimane della classe media soprattutto in contrapposizione con i miseri tentativi di redistribuzione grillini. Ma anche delle fette di proletariato più o meno tradizionale si sono fatte irretire dalla promessa della “crescita”, mentre perché le proposte dei 5stelle assumessero un minimo di credibilità era necessario almeno un accenno di mobilitazione sociale significativa, che non solo non è emersa, ma è stata fortemente scoraggiata e evitata dalla compagine pentastellata. L’autodelega è dunque via via mutata in debolezza e infine in trasformismo. Infatti Salvini, consapevole che questo rischio alla lunga potrebbe riguardare anche lui, nell’ultima fase del governo giallo-verde ha aperto a una ri-intermediazione con le parti sociali “tradizionali” in una sorta di embrione neo-corporativistico. Il governo giallo-verde dunque per circa un anno è riuscito a rappresentare in maniera ancora molto frammentaria un arco di soggetti composito, ma adesso, se si dovesse andare ad elezioni, la ricetta salviniana sarà adeguata per farlo ancora? Cosa sostituirà le proposte blandamente sociali dei 5stelle? O vedremo riemergere delle contrapposizioni su una linea implicitamente di classe?

2 – Non bisogna però pensare al salvinismo come una semplice restaurazione che oggi arriva al suo compimento. In parte lo è, ma è soprattutto una innovazione sia per quanto riguarda gli assetti istituzionali, di cui parleremo dopo, sia per quanto riguarda la collocazione internazionale dell’Italia, sia per le forme comunicative che per la forma dello scontro politico che impone. Non bastano vecchie categorie, né consolatorie, né drammatizzanti per affrontare una seria opposizione sociale al Capitone.

3 – E’ veramente nata la Terza Repubblica. Non nel senso del “governo del cambiamento” o del “popolo” come Di Maio (pace all’anima sua) in maniera sbruffona affermava. Piuttosto ad essere significativamente mutati sono i rapporti istituzionali non nelle loro caratteristiche formali, ma in quelle agite. Lo Stato, come comando, e la sua transizione in una direzione o in un’altra è la vera posta in palio di questa fase. Salvini si scontra e ricuce, colonizza e tenta di cooptare, tutti gli apparati della funzione stato, dalla magistratura, ai burocrati, al Presidente della Repubblica, all’Autorità Nazionale Anticorruzione. Sa bene che oggi per contare, per imporre la propria visione politica non basta vincere delle elezioni, ma tocca riorganizzare nel profondo la macchina statale. Salvini inoltre deve ridefinire le forme della legalità (impresa non riuscita neanche completamente a Berlusconi) per dare risposte agli imprenditori sempre più voraci che non riescono a rubare abbastanza con i lacci e lacciuoli imposti dalle legislazioni attuali. Non è una questione banalmente di corruzione, è una necessità sistemica nella contrazione della capacità produttiva italiana. Bisogna dare il via libera a nuove forme di accumulazione e estrattivismo per rilanciare la “crescita” senza che nessuno metta i bastoni tra le ruote. Per fare ciò bisogna rimettere completamente in discussione gli assetti istituzionali post-tangentopoli. I 5stelle puntavano a una banale razionalizzazione dello Stato, Salvini deve osare molto di più. Questo potrebbe portare a frizioni intra-istituzionali, nonostante l’apparente disfacimento e delegittimazione in cui versano oggi tanti di questi apparati. Per chi crede che sia necessaria un’opposizione di classe alla Lega non si tratta di tifare Mattarella come fanno certi o le magistrature, ma piuttosto di tenere ben presenti le contraddizioni nel campo avverso e di sfruttarle quando possibile.

4 – Salvini annuncia la crisi di governo poco prima di alcuni passaggi centrali dell’anno politico. Una manovra economica con il rischio dello scatto dell’IVA al 25%, il taglio del numero dei parlamentari e la scelta del commissario UE. E’ chiaro che l’obbiettivo del Capitone è di agire su questi temi senza dover trovare una mediazione interna con i 5stelle. Dovrà trovare i soldi per la Flat Tax e evitare l’aumento dell’IVA. Cosa succederà dunque al “reddito di cittadinanza” e al “decreto dignità”? La Lega cancellerà con un colpo di spugna queste riforme? Chi ha avuto accesso a questi dispositivi come reagirà alla loro possibile cancellazione?

5 – L’affare Russia Gate è probabilmente tra le questioni che ha portato ad un’accelerazione della crisi di governo. Non solo per l’evidente imbarazzo della compagine giallo-verde di fronte all’opinione pubblica nel gestire lo scandalo, ma soprattutto perché evidenzia la strategia di reazione alla politica estera trumpiana che gli ambienti democratici americani stanno provando ad articolare in Europa. Il tentativo è quello di far saltare o almeno mettere in cattiva luce i referenti del sovranista sul vecchio continente. Altrove la strategia ha funzionato, in Italia per il momento no, ma Salvini sa bene che sta giocando una partita assai rischiosa su quel fronte. Proseguire il gioco di equilibrismi in cui si sta muovendo con la palla al piede dei grillini avrebbe potuto rappresentare un disastro. Oggi Salvini in Europa è effettivamente piuttosto isolato e la strategia di parziale cooptazione delle forze populiste messa in atto dalla nuova Commissione Europea potrebbe metterlo in difficoltà. Dunque la Lega si troverà ad un bivio, senza la possibilità di scaricare la responsabilità su altri, tra adeguarsi a una qualche forma di contrattazione al ribasso con l’UE o approfondire la conflittualità sperando di avere le spalle coperte dagli yankees. Entrambe le strade avrebbero conseguenze in termini di consenso e di effetti economici e sociali tutt’altro che prevedibili oggi.

6 – Il governo giallo-verde vede la sua fine su una tematica ormai paradigmatica, per quanto apparentemente marginale come quella del TAV. In questo Salvini è stato un animale politico non indifferente, costruendo mattone su mattone la crisi del 5stelle e svuotandolo di senso fino ad attaccare una delle battaglie costituenti dei grillini. Dopo averli ammansiti e addestrati, averne completamente annullato l’aurea di alterità li ha abbandonati a se stessi. Ma più che per la dinamica in sé è importante annotare che la crisi si è data su questo tema perché è un simbolo, il più palese, dello scontro latente nella società tra la “crescita” senza limiti e la conquista di forme di vita più egualitarie e umane. Il movimento No Tav e i movimenti contro le grandi opere sono una ferita aperta nel piano sovranista perché sono le uniche forme di opposizione di classe di una certa dimensione in questo paese che si contrappongono alle vie di uscita dalla crisi dall’alto. Questo chiaramente vorrà dire un approfondirsi dello scontro con le compagini popolari che compongono questi movimenti, ma potrebbe anche significare una progressiva generalizzazione delle loro istanze, tanto per via dello scontro in sé, quanto per il moltiplicarsi dei fronti determinati dai cambiamenti climatici e dalla ripresa dell’accumulazione indiscriminata.

In sostanza le contraddizioni con cui si dovrà confrontare un eventuale governo sovranista sono tutt’altro che lisce e la fase che si apre potrebbe chiarificare una polarizzazione, se non immediatamente nelle piazze, almeno nell’opinione che non potrà tornare nell’alveo destra-sinistra come dimostra il sostanziale girare a vuoto della proposta liberaldemocratica del PD. Bisognerà fare attenzione a non cedere alla retorica del frontismo antifascista che è rimasta l’unica tenue arma nella mani dei Dem per provare a rifarsi una verginità. Ci aspettano tempi, strani, faticosi, ma interessanti.

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