Cattivi maestri, buoni consigli. #3. L’organizzazione nella classe
Guadagnare l’unilateralità di fini indipendenti e antagonisti come classe autonoma proletaria nel conflitto sullo sviluppo del rapporto di capitale significa perseguire il progetto comunista. Questa traiettoria strategica passa per le dimensioni tattiche del conflitto di classe descrivendo la duplicità leninista “e in parte del pensiero marxiano: il passaggio dalla teoria dello sviluppo alla toeria della distruzione dello sviluppo”(1).
Ma cosa preserva la direzione strategica del progetto comunista nella lotta del proletriato, il suo essere movimento che abolisce lo stato di cose presenti, il movimento di distruzione dello sviluppo? È l’organizzazione, risponde Lenin. Da questo si può dedurre un primo elemento caratterizzante la forma partito storica bolscevica: l’organizzazione sorge su un’esigenza offensiva e ha una funzione offensiva. “La forma organizzativa leninista è inseparabilmente connessa con la previsione che la rivoluzione sia vicina. Perchè solo in tale situazione ogni deviazione dalla retta via della classe appare fatale e irrimediabile” (2)
Quindi l’autonomia proletaria impone l’esigenza dell’organizzazione per sostenere il conflitto di classe ma allo stesso tempo l’organizzazione preserva la direzione del progetto comunista che si sviluppa sull’autonomia di classe. “Se l’indipendenza del proletariato è condizione, e deve essere caratterististica dell’organizzazione, d’altra parte senza organizzazione non c’è e non può esserci neppure indipendenza del proletariato”(3). Quindi l’autonomia proletaria è da un lato il presupposto dell’organizzazione e dall’altro lo sviluppo dell’organizzazione come sviluppo dell’autonomia proletaria dentro il progetto comunista. La classe è un referente materiale che ha sempre priorità logica.
“Il fatto è che il referente materiale del movimento- la spontaneità scientificamente registrabile dalla scienza operaia del programma e della tattica – è più importante, viene logicamente prima del problema dell’organizzazione: questa è il completamento di quella e le questioni che la toccano possono balzare e – come avviene nel momento considerato dell’esperienza di Lenin- sono storicamente in primo piano.”(4)
La spontaneità dell’autonomia di classe è ciò che impone il passaggio all’organizzazione per non disperdere la stessa come forza attiva nella lotta di classe, per non farla riassorbire neutralizzandone l’unilateralità e l’indipendeza del proprio progetto, ma al contrario per farle risalire dei livelli nella stratificazione di classe, nelle sue alleanze per ricomporre una parte nello scontro.
“L’organizzazione è infatti la verifica della spontaneità (…). La realtà è dialettica, la spontaneità è la base dialettica del passaggio all’organizzazione. Quando questo passaggio non si dà, allora la spontaneità stessa si immeschinisce e si neutralizza. Spontaneità diventa in questo caso impotenza organizzativa. Il suo sviluppo si impedisce di configurarsi come totalità del processo rivoluzionario. L’organizzazione è la spontaneità che riflette su se stessa. Altrimenti è l’impotenza e la sconfitta che tentano di autogiustificarsi”.(5)
Cosa può significare risalire dei livelli? Significa sviluppare la dialettica dello scontro su interessi antagonisti, perchè l’incedere della lotta semplifica il carattere dello scontro. Dunque, proprio perchè lo sviluppo delle contraddizioni è dialettico e non meccanico, l’autonomia di fini antagonisti si guadagna non di per sè sulla spontaneità, ma sull’organizzaione che, come detto, è verifica della spontaneità, suo sviluppo e rafforzamento. Se così non fosse resterebbe una direzione ideologica e di principio sul ruolo direttivo del proletariato nel conflitto di classe a partire dalla sua posizione staticamente intesa nel rapporto di capitale, il quale è un rapporto oggettivamente antagonista. A questo oggettivismo Lenin oppone il punto di vista soggettivo della scelta dell’organizzazione per il conflitto:
“Sarebbe un uso meccanico del marxismo, e quindi anche un illusionismo antistorico, immaginarsi che la giusta coscienza di classe del proletariato, che lo abilita alla sua funzione direttiva, possa svilupparsi poco alla volta di per se stessa, senza attriti e senza intoppi; che il proletariato possa maturare spontaneamente sul piano ideologico alla sua vocazione di classe rivoluzionaria”.(6)
L’organizzazione è organizzazione per il conflitto di classe a partire dalla “collocazione che il soggetto rivoluzionario di classe assume entro i rapporti di forza complessivi con le altre classi e nei confronti delle strutture di potere esistenti”(7). Non è dunque un’organizzazione per la propaganda in cui soggetti già coscienti del progetto autonomo e indipendente del proletariato spiegano e “portano coscienza” al resto della classe. Lenin anzi contesta l’insufficienza dei soli strumenti dell’agitazione e della propaganda per promuovere il proletariato a classe dirigente nel conflitto di classe.
Se “si sostiene che un’autoeducazione spontaneamente rivoluzionaria delle masse proletarie (mediante le attività di massa e le esperienze di massa) sostenuta da una corretta agitazione e propaganda teorica etc. del partito è sufficiente a garantire in modo efficace il corretto sviluppo si resta ancora fermi in qualche modo all’ideologia di una maturazione spontanea del proletariato alla propria missione rivoluzionaria”(8).
Non c’è né un progressivismo delle lotte né delle condizioni oggettive di sviluppo capitalistico che a un certo punto, per la sua posizione nel sistema produttivo, porterebbero automaticamente il proletariato a ribaltare il rapporto di sfruttamento e quindi alla vittoria. La concezione leninista dell’organizzazione rompe dunque imponendo un salto, con un certo fatalismo meccanicista: “sia con quello che considera la coscienza di classe del proletariato come il prodotto meccanico della sua situazione di classe; sia con quello che nello stesso processo rivoluzionario intravvede soltanto l’esplicarsi di forze economiche che prorompono fatalisticamente, forze che – quando le condizioni oggettivamente rivoluzionarie siano sufficientemente mature – portano, per così dire automaticamente, il proletariato alla vittoria”(9).
L’organizzazione è un salto nella continuità. Contro ogni primitivismo e antimodernismo, il punto di vista di internità alla classe alla ricerca delle sue determinazioni più complete, a partire dalle sue trasformazioni più avanzate, impone la continuità della lotta di classe seguendo la continuità della lotta per lo sviluppo del capitale. Ma per l’appunto Lenin è un pensatore dialettico, non un meccanicista; pur essendo la lotta economica lotta politica, non sarà dallo sviluppo progressivo delle sole lotte spontanee che la lotta politica si farà lotta economica, ovvero scontro rivoluzionario sulla sovversione del rapporto di capitale. Da dentro la concretezza del soggetto proletario preso in un rapporto antagonista si impone un salto qualitativo in cui lo stesso proletariato si supera nel superare la determinattezza del proprio rapporto di subordinazione rivelato dalla lotta e si ponga, in funzione direttiva di se stesso, proponendo un’intelligenza complessiva sul progetto autonomo e indipendente del proletariato intero. Qui sorge l’esigenza dell’organizzazione nella classe e al tempo stesso il concetto di organizzazione esterna della classe.
“La lotta politica non è solo lotta economica: se la lotta politica si mantiene su un livello fabbrichista, se l’organizzazione spontanea non riesce a trovare al suo interno la capacità di rompere il processo indefinito della lotta economica e a superarsi nella determinazione di un atto di volontà soggettiva, costituitasi all’esterno, in termini di totalità, – bene, se questo non avviene, il processo dell’organizzazione non si sposta all’altezza della formazione sociale determinata edella sua necessità”(10).
Dunque non basta la propaganda, l’organizzazione è organizzazione per il conflitto e pertanto interna ai processi di trasformazione sul conflitto ma, per preservare l’autonomia della classe e del suo progetto antagonista e farsi direzione della totalità di questo interesse senza disperderlo nella ciclicità delle lotte è necessario che la parte (il partito) sia anche organizzazione esterna della classe.
Ci sono dei rischi in questo salto? Ovviamente sì, in primo luogo l’autoreferenzialità del gruppo rivoluzionario, l’autonomia del politico che non tiene in conto dell’autonomia della classe:
“Il piano organizzativo bolscevico trasceglie così un gruppo di rivoluzionari coscienti pronti a ogni sacrificio, dalla massa più o meno caotica della classe. Ma con ciò non sorge il pericolo che questi rivoluzionari di professione finiscano per separarsi dalla vita reale della classe, trasformandosi in un gurppo di congiurati, in una setta?”(11).
La separatezza rispetto alla classe è costitutiva della stessa idea di organizzazione in quanto organizzazione esterna della classe. Allo stesso tempo questa separatezza deve essere sempre colmata poichè si è comunque organizzazione per il conflitto della classe. La militanza rivoluzionaria allora custodisce certo una direzione strategica, ma questa deve sempre essere adeguata alla vita della totalità per verificare, sviluppare e organizzare la stessa autonomia di classe come forza attiva nel conflitto. L’autonomia, come detto, viene logicamente prima dello stesso principio di organizzazione. Il militante rivoluzionario è sempre preso in questa tensione tra la vita della classe e la tensione strategica alla sua sovversione, lo spazio dell’attualità della rivoluzione è quello che intercorre tra questi due poli e nella loro circolarità: tra quello che c’è e quello che non è ancora, tra l’esclusività e l’universalità.
“L’idea leninista dell’organizzazione si concreta quindi tra due poli necessari: la più rigorosa scelta dei membri del partito sulla base della loro coscienza di classe proletaria e insieme la più piena solidarietà e appoggio a tutti gli oppressi e gli sfruttati della società capitalistica. Si congiungono quindi in essa dialetticamente l’universalità con l’esclusività consapevole dei propri fini, la direzione della rivoluzione in senso rigorosamente proletario con il carattere generalmente nazionale (ed internazionale) della rivoluione”(12).
Se “è chiaro che la situazione rivoluzionaria non può essere, in sé stessa, il prodotto dell’attività del partito”(13) allora, l’attualità della rivoluzione per i militanti rivoluzionari significa preparare la rivoluzione, ovvero “con la sua azione (con il suo influsso sull’azione del proletariato e anche degli altri ceti oppressi) deve cercare di agire come fattore di accelerazione sulla maturazione di queste tendenze rivoluzionarie. Deve anche però, d’altra parte, preparare da un punto di vista ideologico, materiale, tattico e organizzativo il proletariato alle azioni che nella situazione rivoluzionaria acuta si renderanno necessarie”(14).
Per tornare al tema dell’adesione alla vita della totalità in riferimento al problema della separatezza costitutiva di ogni organizzazione della classe in quanto classe subalterna, Lenin impone, come compito dell’organizzazione, a partire dell’irriducibilità del punto di vista e dell’interesse proletario, uno sguardo all’intera complessità e stratificazione dei segmenti interni alla macroclasse subalterna. Secondo la sua linea strategica il proletariato allinea tatticamente questi interessi:
“Quanto più è profonda la crisi, quanti più strati della società coinvolge, tanto più vari sono i movimenti elementari che vi si incrociano, tanto più intricati e mutevoli divengono i rapporti di froza tra le due classi dalla cui lotta, in ultima istanza, dipende la sorte del tutto: borghesia e proletariato. Se il proletariato vuole uscire vincitore da questa lotta deve incoraggiare e sostenere ogni corrente che contribuisca alla discgregazione della società borghese, deve cercare di coordinare nel complessivo movimento rivoluzionario ogni movimento elementare, anche se ancora confuso, di tutti gli strati in qualche modo oppressi”(15).
Coordinare significa perseguire la traiettoria di un progetto il quale corrisponde all’irriducibilità antagonista dell’interesse proletario. Attualità della rivoluzione e compresenza di questo progetto (esterno perchè ancora non presente, come uno spettro) nei movimenti interni alla classe come parte di una totalità da sovvertire. Preparare la rivoluzione significa allora tanto accelerare questi movimenti nel verso del conflitto, quanto anticipare la parabola degli stessi, guardare più avanti, essere, in quanto organizzazione, un passo più avanti.
“Il partito dirigente del proletariato può realizzare la sua missione solo se si trova sempre un passo più avanti rispetto alle masse in lotta, per poter indicare loro la strada. Ma esso è sempre più avanti di un solo passo, per poter continuare a restare alla guida della loro lotta. La sua chiarezza teorica ha dunque valore soltanto se essa non si ferma alla giustezza generale, meramente teorica, della dottrina, ma se fa sfociare continuamente la teoria nell’analisi concreta della concreta situazione, se la giustezza teorica esprime sempre soltanto il senso della situazione concreta”(16).
L’organizzazione allora parte dal movimento trasformativo della classe e suo compito è imparare dalle lotte e su queste trasformarsi, poichè lo stesso processo rivoluzionario nel suo movimento è un processo disgregativo e “ogni nuova forma della lotta, che comporta nuovi rischi e nuovi sacrifici, disorganizza inevitabilmente le organizzazioni che non sono preparate a questa forma di lotta”(17).
Quindi “non rientra assolutamente tra i compiti del partito quello di imporre alle masse alcun comportamento escogitato in astratto. Esso ha anzi sempre da imparare dalla lotta e dai metodi di lotta delle masse. Ma anche mentre impara deve essere attivo e preparare le successive azioni rivoluzionarie”(18).
Come vale per ogni militante rivoluzionario il partito “non si presenta come qualcosa di già definito nella sua vocazione di guida: anch’esso non è ma diviene”(19) nella continua ed elastica tensione tra l’emergere degli elementi nuovi in seno alle trasformazioni di classe prodotti dalle sue stesse spinte autonome nel conflitto e l’orizzonte strategico del progetto rivoluzionario. Questo posizionamento militante si situa nell’irriducibilità essenziale dell’antagonismo di classe.
Leggi le puntate precedenti:
1. Attualità della rivoluzione
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1 A. Negri, Trentatre lezioni su Lenin, Manifesto libri, Roma, 2004, p. 67.
2 G. Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970, p.35.
3 A.Negri, op. Cit., p.65.
4 Ivi, pp. 42-43.
5 Ivi, p. 42.
6 G.Lukacs, op. Cit., p. 29.
7 A. Negri, op. Cit., p. 60.
8 G. Lukacs, op. Cit., p. 30.
9 Ivi, p. 37
10 A. Negri, op. Cit., p. 35.
11 G. Lukacs, op. Cit., p. 31.
12 Ivi, pp. 36-37.
13 Ivi, p. 39.
14 Ibid.
15 Ivi, pp. 35-36.
16 Ivi, p. 42.
17 V.I. Lenin, Opere Complete, vol.11, Editori Riuniti, Roma, 1962, p. 201.
18 G. Lukács, op. Cit., p. 43.
19 Ivi, pp. 45-46.
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