Contro la buona coscienza bianca
Recensione di “I bianchi, gli ebrei e noi” di Houria Bouteldja
L’autrice del libro “I Bianchi, gli Ebrei e Noi” è la portavoce del “Partito degli Indigeni della Repubblica” (PIR), lanciato nel 2005 con un manifesto, “L’appel des indigènes de la République”, che denuncia la permanenza di rapporti coloniali nei dispositivi e nelle pratiche della Repubblica francese. Il movimento emerge dalle lotte contro le discriminazioni sociali, tra cui la lotta contro la legge del 2004 che vieta alle donne di indossare il velo negli spazi pubblici. Le rivolte della fine del 2005 nelle banlieues danno un’eco inaspettato alle analisi proposte. Diventato “partito”, senza però alcune pretese elettorali, il PIR intraprendre una strategia di contro-egemonia, partecipando a creare una produzione teorica antirazzista radicale, occupando lo spazio mediatico e imponendosi negli spazi intellettuali. Con il suo progetto di autonomia politica si oppone all’antirazzismo classico rapresentato da varie associazioni, come ad esempio “SOS Racisme” (legato al partito socialista) e riesce – con altre organizzazioni – a discreditarle e marginalizzarle nell’ambito antirazzista.
La visibilità del PIR si espande sia nello spazio mediatico tradizionale, portando polemiche molto accesse, sia con la partecipazione all’organizzazione della “Marcia della dignità e contro il razzismo” del 2015. Una manifestazione che aveva come obiettivo da una parte di commemorare la grande “Marcia per l’uguaglianza e contro il razzismo” del 1983, che vide migliaia di immigrati di prima e seconda generazione, in particolare maghrebina, attraversare la Francia a piedi. E dall’altra, andare oltre le rivendicazioni sul piano puramente integrazionista di trent’anni prima e affermare la propia dignità senza chiedere più niente alle istituzioni. Il successo della marcia del 2015, riproposta due anni dopo, inserisce il PIR nel paesaggio dell’antirazzismo politico accanto alle famiglie di vittime delle violenze poliziesche e molteplici collettivi delle banlieue, che tornano ad organizzarsi in un clima segnato da un’ islamofobia e un razzismo sempre più violenti nella Francia post-attentati.
Il PIR è riconosciuto anche all’estero, stringe in particolare rapporti con personalità come Angela Davis, inoltre la prefazione della traduzione in inglese del libro di Houria Bouteldja è scritta da Cornel West, famoso filosofo nero professore ad Harvard e Princeton.
Fin da subito il PIR viene attaccato da tutto lo spettro politico francese, dall’estrema destra all’estrema sinistra, attraverso la demonizzazione della figura di Houria Bouteldja che catalizza su di sé tutte le accuse di antisemitismo, omofobia, sessismo, comunitarismo e persino razzismo (anti-bianchi). Bouteldja viene ricoperta di vernice per strada, aggressione poi rivendicata dalla “Lega di difesa ebrea”, viene processata e poi assolta per insulti razzisti, diventando la prima persona della storia ad essere accusata legalmente di razzismo anti-bianchi. Viene regolarmente denunciata come personalità pericolosa da parte di personalità appartenenti a ogni schieramento politico. Cosi Serge Halimi, figura importante della sinistra anticapitalista, non esita ad accusarla pesantemente di antisemitismo dalle pagine del giornale Le Monde Diplomatique di cui è redattore.
Lo stile particolarmente provocatorio del PIR e della sua portavoce non lascia nessuno indifferente. Se la loro scelta di battaglia opinionistica invece che di lavoro sul campo, la loro conseguente esposizione mediatica rispetto altri collettivi antirazzisti e la loro strategia di alleanza con le organizzazioni bianche suscitano critiche anche da parte del loro propio “campo”, le tesi proposte rimangono una lettura indispensabile per chi vuole tentare di pensare la storia e il presente del capitalismo e del colonialismo, per costruire un antirazzismo veramente politico.
I bianchi, gli ebrei e noi. (ed. Sensibili alle foglie, 2017, 128 p.) è un manifesto. Un manifesto per una « politica dell’amore rivoluzionario », « una serie di schiaffi alternati a carezze » dice la presentazione della casa editrice francese. Un manifesto rivolto ai bianchi, gli ebrei, e « noi », gli « indigeni ». Indigeni. Il termine usato dalla Francia imperiale per i popoli autoctoni delle sue colonie : Algerini, Tunisini, Marocchini… Oggi, per il PIR, gli « indigeni della Repubblica » sono i figli e figlie dell’immigrazione che la Repubblica continua a discriminare e reprimere con violenza, perpetuando le pratiche coloniali di una storia con la quale rifiuta di fare i conti. Il libro propone quindi innanzitutto una nuova narrazione storica, che mette il massacro delle Americhe, la schiavitù dei popoli africani e la colonizzazione al centro della storia non solo francese ma mondiale.
Ai bianchi ricorda la loro “bianchità”, non una bianchità genetica ma un rapporto di potere. Non si è colpevoli di essere nati bianchi, ma responsabili di avere accettato il patto razziale, tra proletariato bianco e borghesia bianca, e di approfittare dei privilegi così ottenuti. L’autore propone di contrapporre un patto tra forze indigeni e bianchi proletari. Di fronte alla precarizazione sociale, alle minacce di tempi sempre più incerti, al vuoto lasciato dell’utopia comunista, l’autore offre la pace ai sacrificati dell’Europa neoliberale, ma questa ha un prezzo : rinunciare al loro privilegio bianco in modo totale e imprescindibile.
Agli ebrei, l’autore ricorda il tratto che li accomuna: il fatto di non costituire il corpo legittimo della nazione. Se la Repubblica francese, dall’Algeria coloniale ad oggi, li ha sempre piazzati un gradino sopra, era soltanto per calpestare gli arabi, non certo come segno di riconoscimento. Anche agli ebrei offre di scardinare quel patto razziale che privilegia i bianchi europei e cristiani a discapito dei “cugini” arabi. La Shoah non è, agli occhi di Houria Bouteldja il crimine assoluto, ma l’applicazione di una politica discriminatoria e stragista, iniziata nel sistema della schiavitù e nelle colonie, ad un popolo europeo. Non solo l’antisemitismo è geopoliticamente europeo, ma fare di quel genocidio l’unico ricordabile permette di diluire le colpe e di assolvere schiavisti e coloni.
Alle donne indigene dice che il femminismo bianco non può essere l’unico percorso per l’emancipazione. Soprattutto perchè questo femminismo, secondo l’autore, ha come primo obbiettivo di strappare i corpi delle donne dalle loro comunità, di isolarle per meglio sottometterle all’ordine bianco, e di strumentalizzarle contro gli uomini indigeni. Sottolinea quanto il razzismo sia presente in molte coscienze femministe quando esse pretendono di occuparsi della difesa delle donne indigene dei quartieri popolari, delle donne afgane o saudite, o quando si compiacciono del coming out di un nero o arabo. Così, l’autore rivendica la scelta della “comunità” contro l’alleanza di genere. Le donne indigene hanno sempre più in comune con i loro uomini che con le femministe bianche.
Su quest’ultima parte emergono forse le affermazioni più criticabili. Non solo Boutedja non assume il fatto di considerare la donna indigena come potenziale avanguardia rivoluzionaria, rimandando cosi la lotta di genere al secondo piano. Ma accerta anche la concezione diffusa seconda la quale gli uomini non-bianchi sono i più violenti, non più per una ragione genetica o culturale, ma per una ragione storico-sociale. La critica sembra cosi prendere comunque in considerazione il linguaggio del nemico. Al contempo sceglie di presentare l’uomo indigeno come dotato di caratteri specifici, quale la virilità, calpestata dalla virilità bianca. Così facendo, rimanda la sua descrizione dell’indigeno ad un essenzialismo poco convincente per non dire problematico.
Resta, però, l’apporto maggiore di questo libro. Quello di ripensare la catena di responsabilità coloniale e di considerare che oggi il razzismo – definito come razzismo strutturale, razzismo di Stato – costituisce il cuore dei rapporti di dominio. Il soggetto indigeno è un soggetto sovversivo, di cui la sinistra si è sempre dimenticata o che ha usato, troppo a lungo, per rivendicazioni proprie. E’ tempo di scardinare questo patto. Come dice Sadri Khiari, altro esponente del PIR, “la sinistra, in quanto compagna obbligata degli indigeni, è il loro primo avversario.”
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Il libro “I Bianchi, gli ebrei e noi” di Houria Bouteldja verrà presentato a Torino all’Askatasuna (cso regina margherita 47) il 10 marzo alle 17.30.
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